Introduzione   |   Indice sinottico   |   Capitoli   |   Ricerca   |   Contatti

(3)

BUSSHŌ

La Natura di Buddha

 

 

In questo capitolo l’insegnamento del Maestro Dōgen è volto all’analisi e alla spiegazione della natura di Buddha, in sanscrito Buddhatā, o Thāthatā, che egli considera non come potenziale né come attributo naturale, ma piuttosto come stato o condizione del corpo e della mente, nell’istante presente. Il Maestro Dōgen, quindi, interpreta la  natura di Buddha dal punto di vista dell’azione, quindi dinamicamente. Il capitolo si conclude poi con l’analisi di due famosi koan, uno dei quali è il ben noto: “Ha, un cane, la natura di Buddha?”

 

Il Buddha Śākyamuni disse: “Tutti gli esseri senzienti possiedono integral­mente la natura di Buddha. Il Tathāgata[1] costantemente dimora in essi, non sog­getto a mutamento.”

Questo è il modo in cui il Grande Insegnante Śākyamuni  fa girare la ruota della Legge ed è anche l’essenza e la visione illumi­nata di tutti i Buddha e Patriarchi. Questo insegnamento è stato inve­stigato per 2.190 anni,[2] essendo stato trasmesso direttamente attra­verso cinquanta generazioni:[3] ventotto  generazioni in India e ven­titré in Cina.[4] Tutti i Buddha e i Patriarchi nelle dieci direzioni pos­siedono e custodiscono questo insegnamento.

Cosa significa: “Tutti gli esseri senzienti possiedono, inte­gralmente, la natura di Buddha?” È forse il: “Da dove vieni?”[5] che mette in moto la ruota della Legge? Talvolta questo è chiamato esseri sen­zienti, esseri animati, cose viventi, specie viventi. ‘Integral­mente’ equivale a esseri senzienti, tutte le cose viventi. ‘Possie­dono integral­mente’ è la natura di Buddha, e la totalità di que­sto pos­sedere è ‘Esseri senzienti’. Al momento giusto, dentro e fuori gli esseri senzienti, c’è integralmente la natura di Buddha. Questo non vale soltanto per la trasmissione di pelle, carne, ossa e midollo, ma anche per tutte le trasmissioni di “Tu possiedi la mia pelle, carne, ossa e midollo.”[6]

Dobbiamo sapere che il ‘possiedono’ di ‘Possiedono integralmente’ non ha nulla a che fare col possedere o il non-possedere. ‘Possie­dono integralmente’ è la parola e la lingua del Buddha, la visione il­luminata dei Buddha e dei Patriarchi, e le narici dei monaci Zen. ‘Pos­siedono integralmente’ non significa un possesso iniziale, od originario, miracoloso, o di qualche altro genere. Ovviamente non viene conseguito per effetto del karma[7] o della illusione, e non ha nulla a che fare con la mente, le circostanze, la natura, la forma, e così via.

Per questo la corretta comprensione della frase: “Gli esseri senzienti possiedono integralmente” non scaturisce per effetto del karma, non nasce per illusoria causalità, non sorge spontaneamente né si sviluppa mediante il potere sovranormale che deriva da prassi e illuminazione. Se il ‘Possiedono integralmente’ degli esseri senzienti, dipendesse dal karma, dalla causalità, dalla natura e così via, lo stesso dovrebbe va­lere per la realizzazione dei santi, per il risveglio dei Buddha e per l’illuminata visione dei Buddha e dei Patriarchi. Non è così.

Il mondo intero è libero dalla polvere; qui e ora non può esserci una seconda persona. Allo stesso tempo non siamo consapevoli che la radice dell’illusione è troncata e che non c’è modo di far cessare il turbolento flusso del karma. ‘Possiedono integralmente’ non è stato prodotto dalla illusoria causalità poiché nulla, nel mondo relativo, è mai stato celato. ‘Nulla è stato celato’ non significa necessariamente che tutti i mondi siano manifesti. Che il mondo relativo sia esistente di per sé, è una opinione errata degli eretici. ‘Possiedono integralmente’ è oltre l’esistenza che c’è fin dall’origine, perché pervade l’eterno passato e pervade l’eterno presente; non è un evento iniziale, perché non con­tiene alcunché di estraneo.[8] Non è esistenza indipendente perché è interrelato, e nemmeno è non-creato perché viene semplicemente così com’è. Non è manifestato fin dall’ori­gine, ma significa piuttosto che la nostra mente quotidiana è la Via. Dobbiamo innanzitutto sapere che è molto difficile trovare esseri senzienti all’interno di ‘Possiedono integralmente’. Se comprendiamo il significato vero di ‘Possiedono integralmente’, queste stesse parole diventano completa liberazione e non-attac­camento.

Quando gli intellettuali ascoltano le parole “Natura di Buddha”, pensano che sia una sorta di sé eterno, analogo a quello insegnato da Senika.[9] Ciò dimostra che essi non hanno mai incon­trato un uomo della Via, chiarito che cosa sia il loro sé, né incontrato un maestro. Essi scambiano i disordinati movimenti della loro mente per la saggezza illuminata della natura di Buddha. Chi può dire che c’è una saggezza illuminata nella natura di Buddha? Anche se gli esseri illuminati sono Buddha, la natura di Buddha non è illuminazione o ri­sveglio. Il risveglio dei Buddha illuminati e risvegliati non è la travisata idea di illuminazione di cui parla la maggior parte della gente, e non è certamente l’il­luminazione di una mente confusa. Sol­tanto il volto di ogni Buddha e Patriarca è illuminazione.

Numerosi saggi del passato, all’epoca delle dinastie Han, Tang e Sung, si sono recati in India e molti affermavano di essere in­segnanti di uomini e dèi. Insegnavano che i movimenti disordinati della mente sono il risveglio della natura di Buddha. Questo è vera­mente un peccato dovuto alla carenza di studio della Via del Buddha.

Gli studenti della Via, siano essi esperti o principianti, non dovrebbero incorrere in un simile errore. L’investigazione del risve­glio non è costituita da disordinati movimenti della mente. Anche se indagate questo movimento, esso non è quello che sembra essere. Riuscendo a capire il vero movi­mento, capirete la vera illuminazione e il vero risveglio. Riuscendo a capire il Buddha, possiamo capire la na­tura, dal momento che si compenetrano l’un l’altro. ‘Natura di Bud­dha’ è dunque certamente ‘Possiedono integralmente’, perché ‘Possie­dono integralmente’ diviene ‘Natura di Buddha’. Possedere integralmente non rappresenta una molteplicità di oggetti, né una esi­stenza unificata. Esprimetelo alzando un pugno: non è grande né pic­colo. Dire: “Natura di Buddha” significa essere al di là del livello rag­giunto da tutti i santi, ed essere al di là della stessa natura di Bud­dha.

Alcuni affermano che la natura di Buddha è paragonabile al seme di una pianta: quando riceve la nutriente pioggia del Dharma germoglia naturalmente. Compaiono foglie, fiori e frutti, ed il frutto contiene i suoi stessi semi. Questo è il punto di vista della gente co­mune e non risvegliata. Coloro che sostengono questo dovrebbero sa­pere che semi, fiori e frutti, separatamente e contempora­neamente, possiedono la pura mente. Nel frutto ci sono i semi; anche se questi non sono visibili, si sviluppano le radici, il fusto e tutto il resto. Senza alcun aiuto dall’esterno, i rami si moltiplicano e compare un grande albero. Questo sviluppo non è fuori né dentro, ed è vero in ogni mo­mento del passato e del presente. Dunque, anche se il nostro punto di vista non è illuminato, le radici, il fusto, i rami e le foglie tutte con­temporaneamente vivono, muoiono, ‘Possiedo­no integralmente’, di­ventano e sono la natura di Buddha.

Il Buddha disse: “Se volete conoscere il principio della na­tura di Buddha, cogliete il giusto momento e circostanze. Quando viene il momento, la natura di Buddha si manifesta.” “Se volete cono­scere il principio della natura di Buddha” non significa semplicemente conoscere, ma anche addestrarsi, illuminare, chia­rire e infine dimenticare. Spiegare, addestrarsi, illuminare, sbagliare o non sbagliare, rappresentano tutti il giusto momento e circostanze. Il modo per cogliere il giusto momento e circostanze, è quello del momento giusto. Cogliete il momento giusto con uno scacciamosche, un bastone o cose del ge­nere. Il risveglio originario, il risveglio iniziale, il non-risveglio, il cor­retto risveglio e la saggezza che da questo deriva, non possono essere colti attraverso qualche forma di conoscenza, profana o sacra che sia. Questo cogliere non ha rapporto né con chi coglie né con ciò che è colto, e neppure con un vero o falso cogliere. È soltanto cogliere. È puro cogliere; non è la propria percezione, né quella di altri. È co­gliere al di là del momento giusto. È la natura di natura, ed è il ‘Bud­dha’ di Buddha.

Molti, sia in passato che oggi, hanno creduto che la frase: “Il giusto momento e circostanze” volesse dire: “Aspetta il futuro momento in cui la natura di Buddha apparirà.” Costoro affermano: “Addestrandosi in questo modo, la natura di Buddha apparirà spontanea­mente al momento giusto. Pur studiando sotto un maestro e ricercando il Dharma, se non è giunto il momento giusto, la natura di Buddha non si manifesta.” Chiunque la pensi in questo modo è un profano che si aspetta che le cose buone cadano direttamente dal cielo, e ragiona come quelli che sostengono che tutto avviene per caso.

Se volete conoscere il principio della natura di Buddha” si­gnifica cono­scere direttamente il principio della natura di Buddha. “Cogliete il giusto momento e circostanze” significa conoscere diret­tamente il momento giusto. Vale a dire, se vogliamo conoscere la na­tura di Buddha, dobbiamo cercare il giusto momento e circostanze.

Quando viene il momento’ significa: “Il momento è già venuto.” Anche se stentiamo a crederci, la natura di Buddha si è già manifestata in noi. Dovete sapere che ‘Quando viene il momento’ si manifesta in ogni ora del giorno. ‘Quando viene’ è come fosse già ve­nuto. ‘Quando viene il momento’, la natura di Buddha non è venuta. Per questo ‘Il momento è già venuto’ è la manifestazione della natura di Buddha. In altre parole, la verità è di per sé evidente. Non c’è mai stato un momento che non sia venuto proprio ora, né una manifesta­zione della natura di Buddha che non si sia verificata proprio qui.

Il dodicesimo Patriarca Anabotei,[10] spiegando l’oceano della natura di Buddha al tredicesimo Patriarca,[11] disse: “Le montagne, i fiumi e la grande terra, tutti dipendono dalla natura di Buddha; il sa­mādhi e i sei poteri psichici[12] si manifestano attraverso essa.”

Dunque, le montagne, i fiumi e la grande terra sono l’oceano della natura di Buddha. ‘Tutti dipendono’ significa che le montagne, i fiumi e la grande terra dipendono dal momento giusto. Dovete sapere che ‘Tutti dipendono’ è come la forma dell’oceano della natura di Buddha: non ha a che fare con interno, esterno, o a metà tra i due. Perciò, vedere montagne e fiumi è vedere la natura di Buddha. Vedere la natura di Buddha è vedere la mascella di un asino o la bocca di un cavallo. ‘Tutti dipendono’ equivale a ‘Dipendono interamente’, al di là del capire e del non capire.

Il samādhi e i sei poteri psichici si manifestano attraverso essa.” Dovete sapere che il manifestarsi e il non manifestarsi di tutti i samādhi dipen­dono dalla natura di Buddha, così come dipende dalla natura di Buddha il fatto che i sei poteri psichici compaiano, o non compaiano. Questi sei poteri psichici non sono soltanto quelli de­scritti negli Āgama[13] dei seguaci dell’Hīnāyana. ‘Sei’ non è semplice­mente un numero adeguato, ma significa il perfezionamento dei sei pāra­mitā.[14] Non dovremmo perciò considerare i sei poteri sovranor­mali come fossero: “Le fulgenti punte di innumerevoli fili d’erba e la ra­diosa mente dei Buddha e dei Patriarchi.” Anche se possediamo i sei poteri psichici, un simile ostacolo sopraggiunge col fluire dell’oceano della natura di Buddha.

Il quinto Patriarca, il Maestro Zen Kōnin,[15] veniva dal monte Ōbaku. Era figlio di uno sconosciuto e conseguì la Via in giovane età; si dice che fosse una incarnazione di Saishodōsha. Nella sua esistenza precedente, mentre stava piantando pini sul monte Sei, nel Kishā, in­contrò per caso il quarto Patriarca[16] che era in viaggio nella regione. Il Patriarca gli disse: “Vorrei trasmettere a te il mio Dharma, ma sei troppo vecchio. Se rinascerai, ti aspet­terò.” Kōnin accettò, e inse­guito rinacque nella famiglia Shu. Sua madre lo abbandonò sulla riva di un fiume ma egli, protetto dagli dèi, sopravvisse per sette giorni. Fu poi salvato e allevato normalmente fino all’età di sette anni. Un giorno, percorrendo un sentiero sul monte Ōbai, incontrò il quarto Pa­triarca Dōshin. Quando vide il bambino, il Patriarca si accorse che aveva qualco­sa di speciale e gli chiese: “Qual è il tuo nome?” Il ra­gazzo rispose: “Ho un nome, ma non è un nome ordinario.” Allora il Patriarca chiese: “Qual è questo nome?” “È natura di Buddha”, ri­spose il ragazzo. Il Patriarca disse: “Tu non possiedi la natura di Bud­dha”, e il ragazzo replicò: “La natura di Buddha è vuota, per questo dici che non la possiedo.” Il Patriarca comprese che il bambino era un recipiente del Dharma e lo nominò suo assistente; in seguito, gli tra­smise l’Occhio e Tesoro della Vera Legge. Da quel momento, il quinto Patriar­ca visse sul Picco orientale del monte Ōbai, ed il suo pro­fondo insegnamento si diffuse in tutto il Paese.

Qual è il tuo nome?” Queste parole del quarto Patriarca sono un profon­do insegnamento: esaminatele molto attentamente. In passato i maestri Zen chie­devano spesso agli allievi: “Qual è il tuo nome?” oppure “Da dove vieni?” Gli allievi rispondevano: “Vengo dal tal posto”, oppure “Il mio nome è Tal dei Tali.” In sostanza, il ma­estro sta dicendo: “Io sono questo, e anche tu sei questo.”

Il quinto Patriarca rispose: “Ho un nome, ma non è un nome comune.” Vale a dire, c’è un nome ma non è comune; un nome co­mune non è il mio vero nome. Il quarto Patriarca chiese: “Qual è il tuo nome?” In altre parole, ‘quale’ è ‘questo’. ‘Questo’ è natura di Bud­dha. Sta interrogando su ‘questo’; ‘quale’ è ‘questo’. Sia ‘quale’ che ‘questo’ sono il nome. Possiamo trovare ‘questo’ nella vita quotidiana, consumando un pasto o bevendo tè verde.

Quando il quinto Patriarca rispose “Il mio nome è natura di Buddha”, voleva dire che ‘questo’ è natura di Buddha. ‘Quale’ è ciò che diven­ta Buddha. ‘Quale’ non è circoscritto al solo nome di fami­glia, ma è ‘non-questo’ e ingloba la natura di Buddha; così possiamo capire che ‘questo’ indica ‘quale’. Quando siamo distaccati da questo, c’è un nome. Questo nome è Shu;[17] non è ereditato dal padre o dagli antenati né è simile al nome della madre. Di sicuro non ha alcun rap­porto col nome di un’altra perso­na.

Il quarto Patriarca disse: “Tu non possiedi la natura di Bud­dha.” Qui, ‘tu’ non è qualcuno in particolare; la comprensione cambia a seconda della persona, eppure questo fatto rimane “Non-natura di Buddha”. La non-natura di Buddha esiste nel supremo stadio della Buddhità, o anche nella condizione al di là della Buddhità? Queste sono domande che dobbiamo porre. Dovete comprendere che la non-natura di Buddha è onnipervadente, e non tentate di definirla o di cercarla. La non-natura di Buddha può essere sperimentata in un solo istante di samādhi. Quando la natura di Buddha diventa Buddha, o quando la natura di Buddha è risveglia­ta dalla mente che cerca il Buddha, è forse non-natura di Buddha? Ponete la domanda ai pilastri del monastero, e chiedetelo alla vostra natura di Buddha.

L’espressione: “Non-natura di Buddha” nacque col quarto Patriarca, e fu capita dal quinto Patriarca che la trasmise a Joshin Dai-e. Quest’ultimo ne fece il punto centrale del suo addestramento. An­che tenendo conto che ‘qual è’ è il punto di riferimento per ‘Non-na­tura di Buddha’, è comunque necessario un grande sforzo per chiarire la non-natura di Buddha, anche usando ‘tu’, ‘questo’ oppure ‘Shu’.

Il quinto Patriarca disse: “Tu dici che non possiedo la natura di Buddha perché la natura di Buddha è vuota.” State attenti qui: non pensate che vuota significhi nulla. Se cercate di chiarire la vacuità della natura di Buddha, evitate le frasi futili, e parlate piuttosto del ca­rattere definitivo di quel ‘non’. Quando diciamo vuota, non intendiamo dire vuota; analogamente, quando diciamo non, non inten­diamo non. Diciamo ‘non’, perché la natura di Buddha è va­cuità. Comprendiamo la vacuità attraverso il ‘non’ utilizzato come punto di riferimento, e attraverso la vacuità comprendiamo il ‘non’.

Qui la vacuità è diversa dalla vacuità di. “La forma è va­cuità.”[18] ‘La forma è vacuità’ non significa che la forma diventa vacuità, o che la vacuità diventa forma. Questa è la vacuità di: “La va­cuità è vacuità.” All’interno di questa vacuità una solida roccia è va­cuità. Dunque il quarto e il quinto Patriarca si interrogavano sull’esistenza della natura di Buddha, sulla vacuità della natura di Buddha, sull’è e sul non-è della natura di Buddha.

Il sesto Patriarca, il Maestro Zen Enō,[19] stava studiando sotto il quinto Patriarca Kōnin;[20] un giorno questi gli chiese: “Da dove vieni?” Il sesto Patriarca rispose: “Da Renan.” Kōnin disse: “Perché sei venuto qui?” Enō rispose: “Per diventare un Buddha.” Kōnin disse: “La gente di Renan non pos­siede la natura di Buddha. Come puoi spe­rare di conseguire la Buddhità?”

Qui, la questione non è se la gente di Renan possiede o non possiede la natura di Buddha, ma è soltanto: “La gente di Renan non possiede la natura di Buddha.” ‘Come puoi sperare di conseguire la Buddhità?’ significa “Quale genere di Buddha speri di diventare?” Parlando in generale, pochi in passato hanno capito la natura di Buddha. Di sicuro i seguaci dell’Hīnayāna e gli eruditi non ne sapevano nulla. Solo i discendenti dei Buddha e dei Patriarchi la ricevono e la trasmettono. Si realizza la natura di Buddha soltanto dopo che si è diventati un Buddha, non prima. La realizzazione della natura di Buddha e il consegui­mento della Buddhità sono simultanei. Dobbiamo cercare di chiarire questo principio, anche se non è un argo­mento facile. Coloro che hanno acquisito le dieci sacre condizioni ed i tre stadi abili,[21] hanno fallito completamente, mentre altri hanno impiegato venti o trent’anni per riuscirci. Dobbiamo tenerlo presente.

Gli esseri senzienti possiedono la natura di Buddha; gli es­seri senzienti non possiedono la natura di Buddha.” Cercate di capire: la realizzazione della natura di Buddha e il conseguimento della Bud­dhità sono simultanei. Questo è il Dharma del Buddha. Se questo principio non fosse stato approfondito, oggi il Dharma non esiste­rebbe. Se non riusciamo a chiarire questo principio, non potremo compren­dere che cosa significhi conseguire la Buddhità e non riusci­remo a realizzarla. Perciò il quinto Patriarca disse al sesto Patriarca: “La gente di Renan non possiede la natura di Buddha.”

Gli esseri senzienti non possiedono la natura di Buddha.” Per una persona che abbia appena incontrato un Buddha e abbia udito il Dharma per la prima volta, questa affermazione è, tra tutte, la più incomprensibile e la più tormentosa. Più tardi, grazie agli insegna­menti di un buon maestro o allo studio dei sūtra, questa frase diventa, tra tutte, quella che procura la massima gioia. Se non siamo in grado di percepire totalmente la verità di: “Gli esseri senzienti non possie­dono la natura di Buddha”, significa che non abbiamo ancora speri­mentato la natura di Buddha.

Quando il sesto Patriarca, un sincero ricercatore della Via, incontrò il quinto Patriarca, quest’ultimo disse: “La gente di Renan non possie­de la natura di Buddha.” Non disse altro, e non usò alcun altro mezzo. Comprendiamo così che proprio interrogare e investi­gare sulla non-natura di Buddha è il sentiero diretto alla Bud­dhità. Al momento giusto della ‘Non-natura di Buddha’, c’è la Bud­dhità. Non abbiamo ancora conseguito la Buddhità, se non abbiamo sperimen­tato e chiarito la non-natura di Bud­dha.

Il sesto Patriarca disse: “Tra gli uomini del nord e quelli del sud ci sono differenze, ma nella natura di Buddha no.” Riflettete su questo con grande attenzione: ha un profondo significato. Cosa in­tende dire con nord e sud? Cercate di chiarire queste parole perché anch’esse sono un profondo insegnamento. La frase implica che, mentre l’uomo può conseguire la Buddhità, la natura di Buddha non può. Mi chiedo se il sesto Patriarca intende­va dire questo.

Le parole “Non-natura di Buddha” utilizzate dal quinto e dal se­sto Patriarca esprimono l’intera verità, sono non-attaccamento assoluto. È con lo stesso spirito che i Buddha del passato quali Shākyamuni e Kāśyapa, mettendo in moto la ruota della Legge, dis­sero con piena convinzione: “Tutti gli esseri senzienti possiedono la natura di Buddha.” Se all’interno di ‘Possiedono la natura di Bud­dha’ c’è un possesso, come potrebbe non esserci la trasmissione della ‘Non-na­tura di Buddha’?

Le parole “Non-natura di Buddha” furono udite molto tempo fa nelle stanze del quarto e del quinto Patriarca. ‘Non-natura di Bud­dha’, cosa significa veramente? ‘Natura di Buddha’, come possiamo interpretarlo? Queste sono domande fondamentali. Se il sesto Pa­triarca fosse stato più vicino alla verità, avrebbe posto queste do­mande, rimandando a più tardi la questione del ‘non’, in ‘Possedere o non possedere’. Anche oggi la gente non chiede mai che cosa sia la natura di Buddha. Si pongono soltanto domande sul fatto di possederla o meno. È vero che quest’ultima domanda non è sbagliata, ma non è di fondamentale importanza. Dunque il ‘non’ che è la base di tutte le cose deve essere compreso come il non di ‘Non-natura di Buddha’.

Gli uomini hanno nord e sud, la natura di Buddha no.” Esaminate queste parole del sesto Patriarca; investigatele da diverse angolazioni, più e più volte, e meditatele in silenzio perché esse hanno un profondo significato che deve essere colto. Gli sciocchi, fraintendendo le parole del sesto Patriarca, ritengono che il motivo per cui “Gli uo­mini hanno nord e sud, la natura di Buddha no” sia questo: i primi hanno una forma, la seconda no, essendo onnipervadente. Che idea ridicola! Addestratevi diligentemente, e capirete da soli la stupidità di questa affermazione.

Il sesto Patriarca disse una volta al discepolo Seigen Gyō­shi:[22] “L’impermanenza[23] stessa è natura di Buddha, la permanenza è la mente discriminante.” La com­prensione dell’impermanenza da parte del sesto Patriarca è molto diversa da quella di chi segue le errate dot­trine, o quelle dei seguaci dell’Hīnayāna. Questi ultimi, anche se insegnano l’impermanenza, non ne comprendono pienamente le implicazioni. In­segnare, chiarire l’impermanenza e addestrarsi sono dunque, per loro propria natura, impermanenti. Kanzeon,[24] mostran­dosi nella forma più adatta per salvare gli esseri senzienti, predica il Dharma. Questa è la natura di Buddha. Tal­volta si usa una forma estesa per predicare un Dharma esteso, talvolta una forma breve per predicare un Dharma breve.

L’impermanenza stessa è natura di Buddha”; perciò, sia i santi che la gente comune sono impermanenti. Solo agli occhi della gente ignorante e dalle idee ristrette non è così. Se le cose stessero come pensano costoro, il corpo del Buddha sarebbe davvero molto piccolo. Di qui l’affermazione del sesto Patriarca: “L’impermanenza stessa è natura di Buddha.” La permanenza è ‘Non girare’.[25] In altre pa­role, è qualcosa che è immune da attaccamento o non attaccamento, venire o andare, e così via; in questo senso, è permanenza.

Dunque erbe, alberi e cespugli, essendo impermanenti, sono la natura di Buddha. Proprio l’impermanenza del corpo e mente di un uomo è la natura di Budd­ha. La suprema illuminazione ed il parinirvāna, poiché sono impermanenti, sono la natura di Buddha. I seguaci dell’Hīnāyana e gli eruditi studiosi dell’abhidharma e dei sūtra sa­ranno stupiti e confusi da queste affermazioni ma, in effetti, costo­ro non sono migliori dei dèmoni.

Il quattordicesimo Patriarca Nāgārjuna[26] è talvolta chiamato Ryusho o Ryumo. Egli, benché nato nell’India occidentale, predicò il Dharma nel sud, una regione in cui gli uomini credevano che le buone azioni portassero come ricompensa un guadagno. Dopo aver ascoltato il suo insegnamento, parlarono tra loro e dissero: “La ricchezza è per un uomo il bene più prezioso, eppure costui parla soltanto della natura di Buddha, una cosa che nessuno ha mai visto.” Il Maestro Nā­gārjuna disse: “Se volete vedere la natura di Buddha, dovete liberarvi dall’io.” Chiesero allora: “La natura di Buddha è grande o piccola?” Il Maestro rispose: “Nessuno dei due, e non è neppure larga o stretta, dolorosa o piacevole, e non ha alcun rapporto con vita o morte.” Udite queste parole, tutti seguirono il Dharma del Buddha.

Una volta Nāgārjuna, mentre era seduto in zazen, manifestò la forma della completa libertà: una raggiante luna piena. I presenti udivano le sue parole, ma non potevano vedere la sua forma. Tra que­sti c’era Kānadeva, figlio di un possidente, il quale disse all’assemblea: “Vedete la sua forma meravigliosa?” Rispo­sero: “I nostri occhi non vedono alcunché, le nostre orecchie non odono alcun­ché, le nostre menti non conoscono alcunché, i nostri corpi non percepiscono alcun­ché.” Kānadeva disse: “Il venerabile sta mostrando la forma del Bud­dha. È il samādhi senza forma, simile alla luna piena. La natura di Buddha irraggia dall’interno ed illumina.” L’insegnamento del Dharma si concluse con queste parole, e la luna scomparve.

Seduto nella postura del loto, Nāgārjuna recitò questi versi:

 

Mostrando una luna piena

manifesto il corpo di tutti i Buddha.

La predicazione del Dharma è senza forma,

non ha immagine né suono.”

 

     Dovete comprendete che la predicazione della Legge non ha immagine, né suono; essa è senza forma. Nāgārjuna predicò il Dharma molte volte in molti luoghi diversi. Una volta disse: “Se volete vedere la natura di Buddha, dovete liberarvi dall’io.” Questo significa che esiste un modo per vedere, ma che è necessario liberarsi dall’io. Considerate l’io; non è niente di speciale, eppure equivale a vedere la natura di Buddha. Pensatelo nei termini del vedere quotidiano.

La natura di Buddha non è grande né piccola.” Questo con­futa l’opinio­ne, sostenuta dai seguaci dell’Hīnayāna e dalla gente co­mune, che la natura di Buddha sia immensa. Adottate il principio per cui la natura di Buddha non è grande né piccola, e pensate e parlate di conseguenza. Pensare e udire, che qui sono strettamente legati, non dovrebbero essere due atti diversi.

Mostrare una rotonda luna piena è la manifestazione di tutti i Buddha. È perché tutti i Buddha sono manifesti, che compare la forma di una luna piena. Dobbiamo perciò indagare tutte le forme di un corpo lungo, corto, quadrato e rotondo. Se non riusciamo a capire il significato di corpo e di manifestare, non comprenderemo la luna piena; di conseguenza i corpi di tutti i Buddha non si manifesteranno. Gli sciocchi pensano: “Nā-gārjuna, nell’aspetto della luna piena, sta mostrando la sua propria forma.” È un’idea ridicola, che dimostra come questa gente non abbia ereditato la Via del Buddha. In quale modo, luogo e tempo potrebbe manifestare la sua propria forma in un corpo diverso dal suo? Nāgārjuna era semplicemente seduto sul suo seggio; la sua forma non era diver­sa da quella di qualsiasi altro che stia se­duto. Dovete invece comprendere che il corpo è una manifestazione della luna piena.

Il corpo manifestato come luna piena non è quadrato o ro­tondo, esistente o non-esistente, nascosto o svelato, e non è forma senza limiti; è precisamente la manifestazione della forma. Qui la luna è piena, ma sappiate che può essere piena o al quarto. Poiché il corpo manifestato come luna piena non ha a che fare con l’io, non è Nāgār­juna ma è il corpo di tutti i Buddha. Inoltre, a causa della sua stessa na­tura trascende tutti i corpi dei Buddha, cioè è al di là dello stesso corpo del Buddha.

La natura di Buddha è una raggiante luna piena. Questo è vero, ma essa non è comunque limitata a questa forma, e tantomeno può essere resa con le parole, o manifestata come corpo o mente. Non si può trovare nel mondo dei fenomeni, eppure appare nel mondo fe­nomenico come corpo di tutti i Buddha. È un aspetto del predicare il Dharma senza forma. Quando l’assenza di forma diventa samādhi senza forma, il corpo è manifesto. I presenti osservavano l’immagine della luna piena, ma non potevano vedere la vera forma di Nā-gārjuna; la sua predicazione della Legge si era tra­sformata nell’illimitato senza forma. Ora visto, ora celato; questa è la funzione della rotondità della luna. Nel preciso momento in cui Nāgārjuna, seduto, manifesta un corpo di assoluta li­bertà, l’intera assemblea ode soltanto il suono della Legge e non vede la forma del Maestro.

L’erede nel Dharma di Nāgārjuna, Kānadeva, vide chiara­mente l’immagine della luna piena, la sua rotondità e il suo aspetto, e conobbe tutte le nature di Buddha e tutti i corpi di Buddha. Molti al­lievi studiarono sotto Nāgārjuna, ma nessuno può essere paragonato a Kānadeva. Gli fu concesso di sedere alla destra del Maestro, poi di­venne capo degli allievi e infine sedette sul seggio del Maestro. In seguito, egli ricevette la trasmissione del Dharma, l’Occhio e Tesoro della Vera Legge, come Mahākāśyapa sul Picco dell’Avvoltoio.

Prima di essere iniziato al Dharma del Buddha, il Maestro Nāgārjuna aveva molti allievi; quando cominciò a studiare la Via tutti lo abbandonarono. In seguito, egli trasmise l’Occhio e Tesoro della Vera Legge al Maestro Kānadeva, suo unico erede nel Dharma. Questa tra­smissione, da Maestro a Maestro, è la tradizione della suprema Via.

Tuttavia, diverse persone disoneste proclamandosi eredi nel Dharma di Nāgārjuna, scrissero in seguito trattati e commentari attri­buendoli al Maestro. Queste opere apocrife hanno confuso e fuorviato molte persone. L’unico vero discepolo di Nāgārjuna fu Kānadeva: lui solo trasmise le parole del Maestro. Capite bene questo, perché è una tradizione corretta. Alcuni, pur sapendo che certi testi erano apocrifi, li accettarono e li trasmisero. Questo fu veramente un grande oltraggio alla saggezza contenuta nella trasmissione di Nāgārjuna. Pos­siamo solo compatire questa gente.

Il venerabile Kānadeva indicando il corpo di Nāgārjuna manifestato come luna piena, disse all’assemblea: “Questa è la realizzazione della natura di Buddha nella forma di Nāgārjuna. Come faccio a saperlo? Perché il samādhi senza forma è come la luna piena. Il principio della natura di Buddha è perfetta vacuità, limpida e fulgente.”

Tra tutti coloro che, nelle migliaia di mondi di uomini e dèi, hanno udito la Legge, soltanto Kānadeva comprese che la natura di Buddha era realizzata nel corpo di Nāgārjuna che si manifestava come luna piena. Gli altri pensano soltanto che la natura di Buddha non può essere vista, udita o cono­sciuta. Costoro non comprendono che la manifesta­zione di un corpo è natura di Buddha, e così non riescono a capire quella frase. I Patriarchi non tengono nascosta questa conoscenza; av­viene piuttosto che la maggior parte della gente, avendo occhi e orec­chie tappati, non riesce a coglierla. Non ne hanno consapevolezza cor­porea, e quindi non riescono a capirla. Anche quando vedono e si pro­strano davanti al samādhi senza forma, che è simile alla luna piena, non ne hanno una completa comprensione.

Il principio della natura di Buddha è perfetta vacuità, lim­pida e fulgen­te.” Il vero corpo di Nāgārjuna svela la natura di Buddha; essa è limpida e fulgente, perfetta vacuità. Dunque, il corpo che sta sve­lando la natura di Buddha esprime il corpo di tutti i Buddha. Non c’è un solo Buddha che non manifesti la natura di Buddha nella forma del Buddha. La forma del Buddha è il corpo manifestato. Il corpo manife­stato è natura di Buddha.

Per questo, la forma del Buddha e la forma del Patriarca sono manifeste nei quattro elementi e nei cinque skandha.[27] L’intera virtù del Buddha è conte­nuta in questa virtù. È nel nostro corpo che la virtù del Buddha prende completamente forma ed è realizzata. L’illimitata, infinita azione della virtù è una parte della manifestazione del corpo. Le parole di Nāgārjuna e di Kānadeva sono l’espressione massima della prajñā,[28] e da allora non si è udito qualco­sa che stia loro alla pari, da nessuna parte. Quanti studiosi, esperti di sūtra e abhidharma, hanno frainteso la Via dei Buddha e dei Patriarchi?

Fin dall’inizio della dinastia Sung molti hanno cercato di dipingere questa storia con il corpo e con la mente, nello spazio o su un muro. Con il pennello non sono riusciti a rappresentare altro che uno specchio circolare appoggiato sul sedile usato per predicare; cioè la loro idea della luna piena come immagine del corpo di Nāgārjuna che si manifesta. Da allora sono passate centinaia di anni, ma nessuno ha capito l’errore e tutti si stupiscono di fronte a questi dipinti. Se ve­diamo soltanto come un cerchio l’immagine della luna rotonda mani­festata nel corpo, allora potrebbe essere benissimo una torta di riso di­pinta. Compiacersi di una simile comprensione è davvero risibile.

Durante l’epoca Sung nessuno, in Cina, monaco o laico che fosse, ha veramente capito le parole di Nāgārjuna o di Kānadeva; a maggior ragione, nessuno è certo riuscito a conoscerne il corpo che si manifesta. Indifferenti all’addestramento e prive dell’energia necessaria a ricercare la Verità, tali persone non sono in grado di conoscere una luna piena o rotonda. I Buddha, del passato e del presente, incon­trano il corpo che si manifesta come luna piena. Non sprecate il vostro tempo fissando come allocchi torte di riso dipinte.

Una rappresentazione pittorica della manifestazione del corpo, in forma di luna piena, deve mostrare la forma del corpo che si manifesta sul seggio usato per insegnare. Deve includere sopracciglia inarcate e occhi ammiccanti. L’auten­tica pelle, carne, ossa e midollo dell’Occhio e Tesoro della Vera Legge deve sedere – un forte, equili­brato sedere in zazen. È come la trasmissione tra il Buddha Śākyamuni  e Kāśyapa; poiché  diventa Buddha, diventa Patriarca. Se nel dipinto la forma della luna non è rotonda, allora non ci sono forma, predica­zione del Dharma, suono, colore e funzione. Poiché il corpo che si manifesta è l’immagine di una luna rotonda, coloro che lo ricercano devono disegnare una luna rotonda. Se volete disegnare una luna ro­tonda, disegnate la luna piena, la manifestazione della pienezza della luna. La gente non riesce a disegnare la manifestazione del corpo, la luna rotonda, la luna piena, il corpo dei Buddha o la predicazione del Dharma. Dipingono soltanto torte di riso – inutili! Pensateci sopra, e chiedetevi: “Si può accettare veramente una simile situazione?”

La figura della luna è rotonda, e la figura rotonda è la com­pleta manifesta­zione del corpo. Nell’esaminare una figura rotonda, non pensate a una mone­tina o a una torta di riso. La forma del corpo è quella della luna piena, l’immagine è quella della luna piena. Pos­sedendo una corretta comprensione della rotondità, si possono investi­gare anche una moneta o una torta di riso.

Nell’autunno del 1223, il mio viaggio attraverso la Cina della dinastia Sung mi portò nel monastero di Kori, sul monte Aikuō;[29] era la prima volta che lo visitavo. Mi ricordai che sui muri del corri­doio occidentale erano dipinte le rappresentazioni dei trentatré Patriar­chi indiani e cinesi, ma a quell’epoca non avevo informazioni su que­ste raffigurazioni.

In seguito, durante il ritiro estivo del 1225, tornai in quel monastero. Camminando nel corridoio con il Maestro ospite Sōkei di Seishoku, gli chiesi: “Che ritratti sono questi?” Egli rispose: “Questa è la manifesta­zione del corpo di Nāgārjuna in forma di luna rotonda.” Le sue parole erano però superficiali; sembrava insicuro. Dissi: “In verità, sembra il dipinto di una torta di riso, non è vero?” Fece un ampio sorriso, ma la sua mancanza di comprensione era evi­dente. Non aveva afferrato il significato di una torta di riso dipinta. Mentre proseguivamo la nostra visita del reliquiario e degli altri locali importanti del monastero, tornai sull’argomento ma egli non riusciva a vedere il problema. Altri monaci espressero la loro opi­nione ma anch’essi non coglievano il nocciolo della questione. Pro­posi: “Andiamo a chiedere all’Abate.” In quel tempo l’Abate era Daiko. Il Maestro ospite disse: “Non ha colto l’essenza. Non saprà ri­spondere.” Così abbandonai questa idea.

Dal modo in cui mi parlò, potreste pensare che il maestro ospite posse­desse una profonda comprensione, ma in realtà egli, come tutti gli altri in quel monastero, non aveva nulla da dire. Gli abati suc­cedutisi in quel tempio non si erano mai interessati al dipinto; il dise­gno non aveva mai provocato qualche dubbio, né l’avevano fatto modificare. È meglio non cercare di dipingere ciò che non è possibile raffigurare; se pro­prio è necessario, bisogna almeno farlo in modo cor­retto. Il corpo in forma di luna rotonda è una di queste cose non raffi­gurabili.

Poiché non erano riusciti a capire che la natura di Buddha non può essere percepita dalla cognizione mentale, non potevano spe­rare di afferrare il significato di natura di Buddha e di non-natura di Buddha. Di fatto, è raro che qualcuno faccia anche solo lo sforzo di chiarire queste espressioni. Manca davvero un’ardente concentrazione sulla Via.

Nei monasteri Zen, sono numerosi gli abati che per tutta la vita non parlano neppure della natura di Buddha. Alcuni sostengono: “Chi studia intel­lettualmente il Dharma parla della natura di Buddha, chi lo mette in pratica non ne parla.” Costoro sono peggio delle bestie, sono esseri perversi che profa­nano la Via dei Buddha e dei Patriarchi. Non è forse vero che la Via dei Buddha e dei Tathāgata consiste sia di studio, sia di addestramento nella prassi? Dovete comprendere che nel Dharma del Buddha non c’è distinzione tra studio e prassi.

L’Insegnante Nazionale Sai-an[30] di Enkan, nel Koshu, era uno dei discepoli principali di Baso Dōitsu.[31] Una volta, disse ad un gruppo di monaci: “Tutti gli esseri senzienti possiedono la natura di Bud­dha.”

Considerate con attenzione queste parole. Cosa voleva dire con ‘Tutti gli esseri senzienti’? Che cos’è un essere senziente? In primo luogo, non esiste un solo tipo di essere senziente, perché ogni essere è diverso dagli altri in funzione del karma personale e ambien­tale. Di conseguenza, ognuno ha i suoi propri punti di vista e perce­zioni. Vi sono persone non risvegliate, persone che non seguono il Dharma del Buddha, né i tre veicoli o i cinque veicoli, e così via. Nella Via del Buddha, un essere senziente è un essere che possiede una mente; ovvero, mente significa essere senziente. Proprio per il fatto che mente significa essere senziente, anche le cose prive di mente sono esseri senzienti.[32] Dunque, mente è essere sen­ziente, e gli esseri senzienti sono natura di Buddha. Erbe, alberi e ter­reni sono mente, e dunque sono esseri senzienti; poiché sono esseri senzienti, sono natura di Buddha. Sole, luna e stelle sono mente, e dunque sono esseri senzienti; poiché sono esseri senzienti, sono natura di Buddha. “Possiedono la natura di Buddha”, questo è il senso delle parole dell’Insegnante nazionale. Se così non fosse, non si tratterebbe del Dharma del Buddha.

L’affermazione dell’Insegnante Nazionale significa sempli­cemente che tutti gli esseri senzienti possiedono la natura di Buddha, vale a dire: senza esseri senzienti, nessuna natura di Buddha. “I Bud­dha possiedono la natura di Budd­ha?” Riflettete su questa domanda, e ponetela all’Insegnante Nazionale. Perché è stato detto “Gli esseri senzienti possiedono la natura di Buddha”, piuttosto che “Gli esseri senzienti sono la stessa natura di Buddha.”? Anche questa domanda merita un attento esame.

All’interno di “Possiedono la natura di Buddha” è necessario lasciare cadere il possesso. Qui, ‘Lasciar cadere’ cattura l’essenza, cioè è libertà definitiva. Abbiamo perciò “Tutte le nature di Buddha possiedono gli esseri senzienti.” In questa ovvia verità, sia gli esseri senzienti che la natura di Buddha sono lasciati cadere.

Anche se le parole dette dall’Insegnante Nazionale erano al di sopra del suo stesso livello di comprensione, verrà il momento in cui parole e compren­sione saranno alla pari. “Le sue parole erano al di sopra del suo stesso livello di comprensione”; non pensate che questo signifi­chi che le sue parole non fossero atten­dibili o che sia un fraintendimento della Verità. Al contrario, egli incorporava la Verità anche se non la com­prendeva. Vale a dire, ci sono nondimeno i quattro elementi, i cinque skandha, la pelle, la carne, le ossa e il midollo. Così, può essere necessaria una vita intera per capire la Verità, e un’altra vita ancora per esprimerla.

Il Maestro Zen Dai-en,[33] del monte Dai-e, disse ad un gruppo di monaci: “Tutti gli esseri senzienti non possiedono la natura di Bud­dha.”[34] Tra gli uomini e gli dèi che udirono questa frase, alcuni furono colmi di gioia, altri confusi. Śākyamuni  aveva insegnato che “Tutti gli esseri senzienti possiedono la natura di Buddha”, eppure Dai-e disse: “Tutti gli esseri senzienti non possiedono la natura di Buddha.” Possiedono e non-possiedono, sono completamente di­versi; molti si sono chiesti: “Quale dei due è corretto?” “Gli esseri senzienti non possiedono la natura di Buddha” è, comunque, la mas­sima espressione della Via.

Il raziocinio ci porterebbe a dire che l’insegnamento di Enkan: “Possiedono la natura di Buddha” concorda con quello di Śākyamuni  e si contrappone a quello di Dai-e, eppure le parole del primo e dell’ultimo non sono sostanzialmente diverse. Enkan era un allievo di Baso della prima generazione, Dai-e della se­conda. In questo caso la seconda generazione supera la prima e supera lo stesso vecchio maestro.

L’insegnamento di Dai-e: “Tutti gli esseri senzienti non possiedono la natura di Buddha” è la verità ultima, è l’illimitato Uni­verso. Chiedetevi: “Come possono gli esseri senzienti possedere una natura di Buddha?” Se gli esseri senzienti possedessero la natura di Buddha, dovrebbero essere annoverati tra i dèmoni, dèmoni sotto forma di esseri senzienti. La natura di Buddha è natura di Buddha, gli esseri senzienti sono esseri senzienti. Comprendete che, come essere sen­ziente, non possedete la natura di Buddha fin dall’inizio, né potete acquisirla perché non è qualcosa che compare ora per la prima volta.

Chang beve, Li è ubriaco”, in questo caso non è così. Un essere sen­ziente che possieda fin dall’inizio la natura di Buddha non è un essere senzien­te. E poiché vi sono esseri senzienti, dunque non c’è alcuna natura di Buddha.

Di qui le parole di Hyakujō: “Nell’insegnare che gli esseri senzienti pos­siedono la natura di Buddha, oltraggiamo il Buddha, il Dharma e il Samgha. Nell’insegnare che gli esseri senzienti non pos­siedono la natura di Buddha, oltrag­giamo il Buddha, il Dharma e il Samgha. Le affermazioni “Possiedono la natura di Buddha” e “Non possiedono la natura di Buddha” sono entrambe oltraggiose nei con­fronti dei Tre Tesori, eppure non possiamo limitarci a restare in silen­zio.”

Chiediamo a Dai-e e Hyakujō: “Entrambi avete impartito insegnamenti sulla natura di Buddha, non è vero? Questo non era ol­traggioso? E se lo avete fatto, non è forse questo un insegnamento che confonde più che chiarire? Insegnare e ascoltare sono interdipen­denti;  ognuno dei due ha bisogno dell’altro.”

Rivolti poi a Dai-e: “Hai detto che tutti gli esseri senzienti non possie­dono la natura di Buddha, ma non hai detto che tutta la natura di Buddha non possiede esseri senzienti, o che tutta la natura di Buddha non possiede la natura di Buddha; a maggior ragione, non sei in grado di capire, e neppure di sognare, che tutti i Buddha non possiedono la natura di Buddha. Che hai da dire in proposito?”

Una volta il Maestro Zen Daichi,[35] del monte Hyakujō, disse ad un gruppo di monaci: “Il Buddha è il veicolo più alto, la suprema saggezza, colui che è al di là della Via. Il Buddha possiede la natura di Buddha, è il maestro dell’insegnamento, colui che si muove nel mondo del non-attaccamento e che possiede una conoscenza priva di restrizioni. Egli utilizza la causalità e, utilizzando liberamente la cono­scenza compassionevole, controlla causa ed effetto. Egli af­fronta la vita, ma non è limitato dalla vita; fronteggia la morte, ma non è osta­co­lato dalla morte. Egli è costituito dai cinque skandha, eppure non è li­mitato da essi. Liberamente, a suo piacimento, procede e si ferma, entra ed esce. Superiore o inferiore, alto o basso, non hanno alcun si­gnificato. Tutti possiedono queste caratteristiche, anche la più piccola formica. Dunque, viviamo in un mondo che è puro e meraviglioso, in misura inimmaginabile.”

Queste sono le parole di Hyakujō. I cinque skandha sono il nostro corpo immutabile. I cinque skandha non ostruiscono la porta aperta. Utilizzate la vita, ma non aggrappatevi alla vita. Utilizzate la morte, ma non fatevi intralciare dalla morte. Non innamoratevi della vita e non temete la morte; esse esistono nel regno della natura di Buddha. L’attaccamento alla vita e il timore della morte non appar­tengono al Dharma del Buddha. Vita e morte sono semplicemente il risultato della causalità; quando ne siamo consapevoli non possiamo più essere ostacolati né confusi. Questo è il supremo veicolo del Buddha. Laddove c’è questo Buddha, c’è una terra pura e meravigliosa.

Il Maestro Ōbaku[36] era seduto nella stanza da tè di Nansen.[37] Nansen disse: “Se svi­luppiamo in modo equilibrato samādhi e pra­jñā, vedremo con chiarezza la natura di Buddha. Cosa hai capito di questo?” Ōbaku rispose: “Riusciamo a capire l’essenza evitando, in ogni momento, di aggrapparci.” Nansen disse: “Hai compreso questo da te stesso, non è vero?” E Ōbaku: “Oh no, no davvero!” Nansen disse allora: “Il denaro per l’acqua da bere è trascurabile, ma chi può risarcire il denaro usato per i sandali?” Ōbaku non replicò.

Sviluppiamo in modo equilibrato samādhi e prajñā.” Non pensate che questo significhi che la natura di Buddha viene percepita chiaramente quando nessuno dei due ha il sopravvento sull’altro. Piuttosto, cercate di capire che quando la natura di Buddha è chiara­mente percepita, samādhi e prajñā sono sviluppati in modo equili­brato. Nansen chiese: “Che cosa hai capito di questo?” In altre parole, “Chi è che percepisce chiaramente la natura di Buddha?” Tutte le frasi di questo dialogo sono espressioni della Via.

Ōbaku rispose: “Riusciamo a capire l’essenza evitando, in ogni momento, di aggrapparci”, vale a dire “In ogni momento e ovunque, non c’è alcun attacca­mento a una qualsiasi cosa. Il non ag­grapparsi a una qualsiasi cosa avviene in ogni momento.” Per questo percepiamo chiaramente la natura di Buddha. Relativamente al momento e cioè al tempo: quando cesserà di essere, questo tempo? In quale terra non esisterà? Riflettete su questo tempo. È il tempo così come lo conosciamo, oppure il tempo in qualche altro mondo, o ancora è il tempo nella radiosa Pura terra? Qualsiasi di que­sti possa essere, il punto essenziale è: “Non aggrapparsi ad alcunché.” Questa è la verità fondamentale, che non muta con le circostanze.

Hai compreso questo da te stesso, non è vero?” significa: “Queste sono parole tue, la tua personale comprensione, non è vero?” Non pensate che questo significhi che tale comprensione riguarda soltanto Ōbaku. Ōbaku era il recipiente dal quale provenivano le pa­role, ma la loro essenza è verità universale.

Ōbaku disse: “Oh no, no davvero!” In Cina, a quel tempo, era più o meno la risposta abituale quando si era interrogati sulle pro­prie capacità. Una persona, anche se possedeva la capacità in que­stione, dava normalmente questa risposta. Dunque non pensate che ‘Oh no, no davvero!’ significhi letteralmente ‘Oh no, no davvero!’; il significato globale trascende le parole. Ōbaku ha il suo punto di vista, egli è un maestro. Egli è Ōbaku, eppure dice: “Oh no, no davvero!” Quando un bufalo emerge dall’acqua dice “Muuu.” Le due espressioni non sono diverse, lo spirito sottostante è lo stesso. Anche le nostre pa­role dovrebbero essere così.

Il Maestro Nansen disse: “Il denaro per l’acqua da bere è trascurabile, ma chi può risarcire il denaro usato per i sandali?” Vale a dire, il denaro per l’acqua, cioè il livello di illuminazione di Ōbaku, può essere trascurato mentre il costo dei sandali, cioè il valore della prassi e dell’addestramento, non può essere risarcito, è inestimabi­le.

Cercate di chiarire questo argomento per tutta la vita. Con­sideriamo separa­tamente la frase: “Il denaro per l’acqua da bere è tra­scurabile.” Riflettiamo su questo: perché Nansen non è interessato al denaro per l’acqua da bere? “Chi può risarcire il denaro per i sandali?” Questo significa che durante i suoi anni di pellegrinaggio ha consu­mato molte paia di sandali. Ōbaku avrebbe perciò dovuto rispondere: “Se il denaro per i sandali non può essere risarcito, allora non li si do­vrebbe calzare”, oppure: “Due o tre paia.” Questa è la risposta cor­retta, che contiene l’essenza.

Ōbaku non replicò. Questo non significa che la sua risposta fosse stata bocciata, e neppure il contrario. Con dei veri studenti Zen questo non potrebbe accadere. Dentro il silenzio giace il vero signifi­cato; dietro al sorriso, una spada. Questo è il significato di percepire la natura di Buddha nell’adde­stramento quotidiano.

Commentando questo dialogo, il Maestro Isan[38] disse a Gyō­zan:[39] “Ōbaku non riuscì ad acchiappare Nansen, non è vero?” Gyōzan rispose: “Non credo. Ōbaku era capace di agguantare le tigri.” Isan re­plicò: “La tua visione non manca di nulla.”

Isan disse dunque: “Ōbaku era capace di agguantare le ti­gri.” Con una simile capacità egli era anche in grado di coccolare le tigri. Agguantare e coccola­re le tigri, muoversi tra stranieri e amici; diverse espressioni per la stessa cosa.

Vediamo chiaramente la natura di Buddha, i nostri occhi sono aperti. La natura di Buddha vede chiaramente, i nostri occhi sono perduti. Dite qualcosa subito! Svelti! Svelti! La visione del Buddha non manca di nulla. Dunque qual­siasi cosa, e anche una mezza cosa, è indipendente. Un miliardo di cose, tutte sono indipendenti. Centinaia di migliaia di ore sono indipendenti. Perciò è stato detto: “Un solo ce­sto di vimini per tutto il giorno.” Uniti l’un l’altro o indi­pendenti, i rampicanti si intrecciano inestricabilmente. Tutti i paradisi conflui­scono in ogni luogo; dopo, non esistono parole.

Un monaco chiese al Maestro Jōshū:[40] “Un cane ha la natura di Buddha?” Esaminate questa domanda molto attentamente. Il punto essenziale non è se il cane possieda o non possieda la natura di Bud­dha. Formulata in modo diverso, la domanda diventa: “Assodato che la natura di Buddha esiste nel cane, cioè un essere che non si addestra nella Via, perché l’addestramento è necessario?” Può darsi che Jōshū si irriti per questa domanda, ma può darsi che abbia scoperto il genere di allievo che aveva cercato per trent’anni.

Jōshū rispose: “Mu”[41]. Esistono diverse strade concrete per studiare ‘mu’: il ‘mu’ col quale la natura di Buddha descrive se stessa, il ‘mu’ che descrive il cane, e il ‘mu’ espresso da chi osserva. Viene il giorno in cui questo ‘mu’ diventa soltanto il frantumarsi di una pietra.

Il monaco chiese allora: “Tutti gli esseri senzienti possie­dono la natura di Buddha. Perché il cane no?” Questo significa: “Se non esistono esseri senzienti, allora non esiste la natura di Buddha e non esiste il cane. Che cos’hai da dire su questo? Perché la natura di Buddha del cane dovrebbe dipendere dalla non-esistenza[42]?”

Jōshū rispose: “Perché ha una coscienza karmica.”[43] Il senso della rispo­sta è questo: anche se il motivo per cui il cane esiste è la co­scienza karmica, ed il fatto di avere una coscienza karmica è il motivo per cui esiste, il cane non possiede alcunché e la natura di Buddha non possiede alcunché. La coscienza karmica non può comprendere intellettualmente cosa sia il cane, come può dunque incontrare la na­tura di Buddha? Sia quando lasciamo cadere i dualismi, sia quando consideriamo entrambi gli aspetti, la condizione è precisamen­te l’ininterrotto operare della coscienza karmica.

Un altro monaco chiese a Jōshū: “Possiede un cane la na­tura di Buddha?” Questa domanda dimostra che il monaco era in grado di affrontare validamente Jōshū. Così, domande e risposte sulla natura di Buddha sono il tè e il cibo quotidiano di Buddha e Patriar­chi. Jōshū rispose: “U.”[44] Questo è al di là di quell’esistenza di cui parlano gli insegnanti dell’abhidharma e della scuola Sārvāsti­vāda.[45] E' necessatio andare oltre, e studiare l’esistenza del Bud­dha. L’esistenza del Buddha è l’‘esiste’ di Jōshū. Questo ‘esiste’ è l’esistenza del cane, che è la stessa esistenza della natura di Buddha.

Il monaco disse: “Dunque esiste già. Ma, allora, perché pe­netra con forza in questo tangibile sacco di pelle?” La frase del mo­naco pone il problema se essa esiste nel presente, se esiste nel futuro, o se esiste già. Anche se ciò che esiste già può somigliare alle altre esi­stenze, esso dimora chiaro e solitario. Tuttavia, ciò che esiste già deve forzare la sua penetrazione, o non è necessario? ‘Penetrare con forza in questo tangibile sacco di pelle’ mal si concilia con una inve­stigazione pigra e disattenta.

Jōshū rispose: “Perché ha trasgredito sapendolo e volen­dolo.” Da molto tempo questa frase era largamente utilizzata nel mondo secolare, ma qui è la manifestazione della verità da parte di Jō­shū. Molti sono incerti sul suo signifi­cato. Il significato di penetrare è difficile da comprendere e d’altra parte questa parola non è neppure necessaria. Inoltre, Sekito[46] ha affermato: “Volendo conoscere l’immortale individuo nella capanna, non dobbia­mo separarci da que­sto tangibile sacco di pelle, qui e ora.” L’individuo immortale non può essere separato dal suo sacco di pelle.

Trasgredire deliberatamente, non sempre implica penetrare nel sacco di pelle; essere inseriti con forza in un tangibile sacco di pelle non sempre implica aver trasgredito sapendolo e volendolo. Pro­prio sapendolo, può esserci una deliberata trasgressione. Ricordate, questa deliberata trasgressione può contenere l’atto di liberarsi dal corpo, il che è espresso dalle parole: “Penetrare con forza.” L’atto di liberarsi dal corpo, proprio nel momento del contenere, contiene sé e contiene gli altri. Allo stesso tempo, non lamentatevi del fatto che non si può evitare di essere una persona banale.

C’è di più. Il Patriarca Ungo[47] ha detto: “Anche aver appreso il Dharma del Buddha in ogni suo aspetto, significa già aver adottato un approccio sbagliato.” Così, anche se abbiamo a lungo commesso l’errore di studiare a metà ogni aspetto del Dharma del Buddha – un errore che si è consolidato col passare dei giorni e dei mesi – questa può comunque essere la condizione del cane che è penetrato con forza in un tangibile sacco di pelle. Pur avendo trasgredito sapen­dolo e volendolo, esso possiede la natura di Buddha.

Al termine di un discorso tenuto dal monaco Chōsa Keisi­hin,[48] il laico Chiku Shosho disse: “Se un lombrico viene tagliato in due continua a muoversi in entrambe le parti. Quale parte contiene la natura di Buddha?” Chōsa disse: “Non cadere nell’illusione.” “Ma come si può spiegare questo movimento?” chiese ancora Shosho. Chōsa rispose: “Gli elementi non sono ancora dispersi.”

Un lombrico viene tagliato in due” implica che in origine il lombrico era uno; questa è la comprensione di Shosho. La vita quoti­diana di Buddha e Pa­triarchi non è così. In origine il lombrico non era uno, e non poteva essere tagliato in due. Riflettete a fondo su uno e due.

Continua a muoversi in entrambe le parti.” Anche questo presuppone che prima di essere tagliato fosse uno. Significa forse che una delle parti ha trasce­so la Buddhità?  Shosho parla di due parti, ma non accettate ciecamente questa espressione. Affermare che entrambe le parti erano in origine uno, risponde al vero, ma qui c’è soltanto l’unica, totale esistenza. “Continua a muoversi in entrambe le parti”; qui, il muoversi è la simultanea azione di samādhi e prajñā.

Quale parte contiene la natura di Buddha?” Questo si può esprimere meglio con “La natura di Buddha è tagliata in due; quale parte contiene il lombrico?” Considerate questo con estrema attenzione.

Continua a muoversi in entrambe le parti” può significare una di queste due cose: “Giacché c’è movimento, non c’è natura di Buddha”, oppure “Giacché c’è movimento, c’è natura di Buddha, ma in quale movimento si trova?”

Chōsa rispose: “Non cadere nell’illusione.” Riflettete! Lo sta dicendo a proposito di “Continua a muoversi in entrambe le parti”, oppure sta affermando che non c’è illusione nella natura di Buddha, o ancora sta semplicemente dicendo che non c’è illusione da nessuna parte, indipendentemente dalla natura di Buddha e dalle due parti del lombrico?

Come si può spiegare il movimento?” Dobbiamo forse arrivare alla con­clusione che, poiché c’è movimento, vi sono due nature di Buddha, oppure che, dato che c’è movimento, non c’è alcuna natura di Buddha?

Gli elementi non sono ancora dispersi”, vale a dire, la na­tura di Buddha si è manifestata. Dobbiamo ritenere che il movimento dipenda dalla natura di Buddha, o piuttosto dal vento e dal fuoco? Do­vete comprendere che la natura di Buddha da un lato, il vento e il fuoco dall’altro, non possono manifestarsi né insie­me, né indipendentemente, e che vento e fuoco di per sé non sono natura di Buddha. È per questo che Chōsa non disse che il lombrico possiede, o non pos­siede, la natura di Buddha. Egli disse solo: “Non cadere nell’illusione.” Le parole di Chōsa “Non cadere nell’illusione” e “Gli elementi non sono ancora dispersi”, illuminano la funzione della na­tura di Buddha. Le parole “Gli elementi non sono ancora dispersi” meritano una particolare considerazione. Cercate di chiarirle nel silen­zio.

Non ancora dispersi”; qual è il principio qui? Significa che c’è un impasto di vento e fuoco che non si è ancora disperso? No, è difficile.

Vento e fuoco non si sono ancora dispersi” significa che il Buddha predica il Dharma. ‘Vento e fuoco non ancora dispersi’ signi­fica che il Dharma predica il Buddha. Detto in altro modo: al momento giusto, il Buddha predica il Dharma in un solo suono; l’unico suono che predica il Dharma è il momento giusto. Il Dharma è l’unico suono, è l’unico suono del Dharma.

Che la natura di Buddha esista nella vita ma non nella morte è la convin­zione di quelli che hanno una comprensione molto superfi­ciale. Natura di Buddha e non-natura di Buddha esistono tanto nella vita che nella morte. Nel disperde­re e nel non-disperdere vi sono sia la natura di Buddha, sia la non-natura di Buddha. Se siamo tra co­loro che ritengono che la natura di Buddha dipenda da movimento o non-movimento, da esistenza o non-esistenza, da consapevolezza o non-consapevolezza, da potere divino o non-potere divino, da cono­scenza o non-conoscenza, da natura o non-natura, allora siamo vera­mente degli eretici.

Fin dai tempi antichi, gli sciocchi hanno pensato che la con­sapevolezza del trascendente fosse la natura di Buddha e fosse la con­dizione umana originaria. È ridicolo e divertente! Non tentate di defi­nire la natura di Buddha, fareste solo confusione. Pensatela piutto­sto come un muro, una tegola o una pietra. Oppure, meglio ancora, se ci riuscite, accettate semplicemente il fatto che la natura di Buddha non è concepibile dalla mente razionale.

 

 

Questo testo fu scritto e poi letto all’assemblea dei monaci, nel Kannondōri del Kōshō-hōrinji, nell’ottobre del 1241.

Rico­piato da Ejō, il 19 gennaio 1243.

 

 




[1] Lett. “Così arrivato”.

[2] Essendo ora l’anno 1241.

[3] Escluso il Maestro Tendō Nyojō.

[4] Compreso il Maestro Tendō Nyojō.

[5] Si riferisce alle parole del Maestro Daikan Enō al Maestro Nangaku Ejō. Si veda il cap. 57, Henzan.

[6] Parole del Maestro Bodhidharma al Maestro Eka. Si veda il cap. 38, Kattō.

[7] La legge di causa ed effetto.

[8] Perciò è libero dalla polvere.

[9] Sull’insegnamento di Senika, Si veda il cap. 5, Sokushinzebutsu, ed il cap. 35, Bendōwa.

[10] Il Maestro Aśvaghosa.

[11] Kapimala.

[12] I sei poteri psichici sono: il potere di determinazione (per divenire multipli), il potere di trasformazione (per adottare un’altra forma), il potere di formazione di un corpo mentale, il potere di conoscenza penetrante (per dimorare salvi nel pericolo), il potere di concentrazione penetrante (per acquisire una visione profonda), il nobile potere (per dimorare imperturbabilmente ed equanimamente).

[13] Si tratta di traduzioni cinesi dei Sūtra raccolti dalla scuola Hīnayāna degli Sarvāstivādin. Non differiscono molto dai testi del Sutta Pitaka (il Canestro dei Sūtra) contenuti nel Canone Thera-vāda.

[14] I pāramitā, o perfezionamenti sono sei: dāna (il libero donare), śīla (l'integrità morale, l'etica), ksānti (la pazienza), vīrya (il vigore), dhyāna (l'assorbimento, la concentrazione), e prajñā (la saggezza trascendente). Il sanscrito pāramitā significa ciò che è arrivato alla sponda opposta, opera ben compiuta.

[15] Il Maestro Daiman Kōnin (688-761). [Ta-man Hung-jen]

[16] Il Maestro Dai-i Dōshin (580-651). [Ta-i Tao-hsin] 

[17] Lett. “Onnipervadente”.

[18] Si riferisce al Sūtra del Cuore. Si veda il cap. 2, Maka Hannya Haramitsu.

[19] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]

[20] Il Maestro Daiman Kōnin (688-761), successore del Maestro Dai-i Dōshin e quinto patriarca in Cina. Noto anche come Ōbai. [Ta-man Hung-jen]

[21] Un Bodhisattva, prima di divenire un Buddha, deve attraversare cinquantadue stadi o condizioni. Il primo gruppo di dieci sono i dieci stadi della fede. I successivi tre gruppi da dieci sono i tre abili stadi. Il quinto gruppo di dieci sono le dieci sacre condizioni. Il cinquantunesimo stadio è “L’equilibrata condizione della verità”, e il cinquantaduesimo stadio è “La sottile condizione della verità”.

[22] Il Maestro Seigen Gyōshi (?-740), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. Egli fu il settimo Patriarca in Cina. [Ch’ing-yüan Hsing-ssu]

[23] Dal sanscrito anitya, lett. “Non-costante”.

[24] Il Bodhisattva “Guardiano dei Suoni del Mondo”.

[25] Sul significato di ‘girare’, vedi il capitolo 90, Hokke Ten Hokke.

[26] Il Maestro Nāgārjuna era il quattordicesimo Patriarca in India. Fu il successore del Maestro Kapimala e insegnò al Maestro Kānadeva. Egli visse tra il 150 e il 250 d.C.

[27] I cinque skanda o aggregati sono: rūpa (il corpo-forma), vedanā (la sensa­zione), samjñā (la percezione, la nozione), samskarā (le impressioni risultanti, gli elementi della coscienza, lett. “I formati e i formanti”), e vijñāna (la coscienza individuale, la conoscenza discriminante).

[28] La prajñā è la saggezza trascendente, la forma più alta e completa di conoscenza non-concettuale.

[29] Nell’odierno Chekiang.

[30] Il Maestro Enkan Saian (?-842), nella linea di trasmissione del Maestro Baso Dōitsu. [Yen-kuan Ch’i-an]

[31] Il Maestro Baso Dōitsu (704-788), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō.  Daijaku Zenji è il suo titolo postumo. [Ma-tsu Tao-i]

[32] Questo perché tutti gli esseri, animati e inanimati, sono un tutt’uno con la mente stessa. Si veda il cap. 41, Sangai-Yuishin.

[33] Il Maestro Isan Reiyū (771-853), successore del Maestro Hyakujō Ekai. Il suo titolo postumo è Daien Zenji. Noto anche come Daii. [Kuei-shan Ling-yu]

[34] La formulazione prescelta, pur non essendo la più corretta, è la più fedele al testo originale e facilita la comprensione delle successive osservazioni del Maestro Dōgen.

[35] Il Maestro Hyakujō Ekai (749-814), successore del Maestro Baso Dōitsu. [Pai-chang Huai-hai]

[36] Il Maestro Ōbaku Kiun (?-855?), uno dei successori del Maestro Hyakujō Ekai. [Huang-po Hsi-yün]

[37] Il Maestro Nansen Fugan (748-834), uno dei successori del Maestro Baso Dōitsu. [Nan-ch’üan P’u-yüan]

[38] Il Maestro Isan Reiyū (771-853). [Kuei-shan Ling-yu]

[39] Il Maestro Kyōzan Ejaku (833-887), successore del Maestro Isan Reiyū. [Yang-shan Hui-chi]

[40] Il Maestro Jōshū Jūshin (778-897), uno dei successori del Maestro Nansen Fugan. [Chao-chou Ts’ung-shen]

[41] Non ce l’ha, non esiste.

[42] Cioè da ‘Mu’.

[43] Cioè la sua attuale coscienza è il concreto risultato delle sue azioni passate.

[44] Ce l’ha, esiste.

[45] La scuola dell’Esistenza, fondata da Kātyāyanīputra 300 anni dopo la morte del Buddha.

[46] Il Maestro Sekitō Kisen (700-790), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō. [Shih-t’ou Hsi-ch’ien]

[47] Il Maestro Ungo Dōyō (835-902), uno dei successori del Maestro Tōzan Ryōkai. [Yün-chü Tao-ying]

[48] Il Maestro Chōsa Keishin (?-868), nella linea di trasmissione del Maestro Nansen Fugan. [Chang-sha Ching-ts’en]