Introduzione   |   Indice sinottico   |   Capitoli   |   Ricerca   |   Contatti

(6)

GYŌBUTSU IIGI

Il Corretto Contegno del Buddha che Agisce

 

 

In questo capitolo il Maestro Dōgen mette in luce il dignitoso comporta­mento che solitamente accompagna i Buddha nel loro quotidiano agire nella prassi. A completamento del suo inse-gnamento, egli utilizza anche in questo caso alcune frasi di antichi maestri, investigandone il signifi­cato e commentandone il contenuto.  

 

Tutti i Buddha mantengono sempre un corretto contegno; questo è il Buddha che agisce. Il Buddha che agisce non è il sambhoga-kāya del Buddha e non è neppure il suo nirmāna-kāya.[1] Non è il corpo auto-risve­gliato del Buddha né il corpo risvegliato di altri Buddha. Non è illuminazione acquisita né innata, non è la natura dell’illuminazione né  è non-illumina­zione. Nessuno di questi Buddha è pari al Buddha che agisce. Dovremmo sapere che, nella Via dei Buddha, nessun Bud­dha si aspetta mai di conseguire il risveglio. Il continuo sviluppo del Buddha avviene soltanto attraverso il Buddha che agisce. Coloro che pensano che il Buddha si sia risvegliato da sé, non possono nep­pure so­gnarsi il Buddha che agisce.

Nel Buddha che agisce, la dignità è presente dall’inizio alla fine. Questa dignità si manifesta nel corpo e, svelando la Via, trasforma le passioni inferiori; essa comprende ogni tempo, ogni epoca, tutti i Buddha, e tutte le forme di addestra­mento. Se non c’è il Buddha che agisce, non è possibile lasciar cadere l’attac­camento a Buddha e  Dharma; saremmo in tal caso soltanto dèmoni-Buddha e dèmoni-Dharma.

Attaccamento al Buddha significa comprensione intellet­tuale del risveglio come ‘risveglio’; si tratta di un rigido intellettualismo, che è il capire di una mente limitata. Dedicando il nostro tempo a simili pen­sieri, la comprensione deside­rata non arriverà mai e sorgeranno solo opinioni errate. Considerare l’illuminazione come ‘illuminazione’ è ritenere che sia una specie di attributo o di concetto. Non è ovvia­mente una falsa idea? È un groviglio di opinioni errate, messe in­sieme a casaccio, a formare un ammasso incoerente che scalfisce ap­pena la superficie del Dharma. Chi nutre simili opinioni non può capire l’attuale presente del dharma-kāya del Buddha, né la perplessità che si trova nel sambhoga-kāya del Buddha. Gli eruditi, gli insegnanti dell’abhidharma e gli intellettuali che studiano la Via dall’esterno, spesso affermano: “Vedere la natura del Dharma[2] che si presenta come natura del Dharma è detto ignoranza.” Con questo essi vogliono sottolineare che considerare la natura del Dharma come natura del Dharma, è ignoranza. Non lo definiscono attaccamento, per­ché non sanno che nella natura del Dharma esiste l’attaccamen­to. È veramente un peccato; essi ritengono che il seme della mente che cerca il Buddha sia la conoscenza dell’ignoranza e dell’attaccamento. Il Buddha che agisce non si aggrappa a tali generi di attaccamento. Perciò troviamo questi versi: “La mia vita, da quando ho iniziato ad adde­strarmi sulla Via del Bodhisattva fino ad ora, non è esaurita e la sua durata è incalcolabile.”[3] Sappiate che la durata della vita di un Bodhi­sattva non dipende dal presente e non si esaurisce nel passato. Durata incalcolabile, significa interamente pre­sente. Fino ad ora, significa l’intera durata della vita. “Da quando ho iniziato ad addestrarmi” include ogni punto del tempo e dello spazio.

Perciò prassi-e-risveglio non è né nulla né qualcosa, e nemmeno è impurità. Esistono miliardi di luoghi in cui non ci sono né Buddha né esseri umani, ma in nessun luogo un Buddha che agisce è contaminato. Dunque la prassi e il risveglio del Buddha che agisce sono ‘Nessuna impurità’. Eppure, prassi e risveglio non sono sempli­cemente ‘Nessuna impurità’. Nessuna impurità, è non-nulla.

Le parole di Sōkei:[4] “Nessuna impurità” sono state custodite e conservate da tutti i Buddha. “Tu sei così, io sono così, e tutti i Pa­triarchi indiani sono anch’essi così.”[5] Per questo, ‘Tu sei così’ e ‘Io sono così’ diventano ‘Tutti i Patriarchi’. In verità non esiste io o tu. In questo ‘Nessuna impurità’ ci sono io in quanto me stesso, custodito e conservato da tutti i Buddha; questa è la dignità del Buddha che agi­sce. Allo stesso modo, anche tu in quanto te stesso, custodito e con­servato da tutti i Buddha, sei la dignità del Buddha che agisce. ‘Io’, si­gnifica che l’insegnante è eccellente; ‘tu’, significa che l’allievo è ri­solu­to. Quando il maestro è eccellente e l’allievo è risoluto, allora vi è risveglio, prassi e realizzazione del Buddha che agisce. Sappiate che ciò che tutti i Buddha custodiscono e conservano è ‘Io sono così’ e ‘Tu sei così’. Se in quella frase di Sōkei, il vecchio Buddha, non ci fosse un ‘io’, come potrebbe esserci un ‘tu’? In questo modo il Buddha che agisce custodisce e conserva. Dunque, prassi e risveglio non hanno una natura fissa o una forma fissa, non hanno inizio né fine. Le azioni del Buddha che agisce sono l’effetto della prassi del Buddha; il Bud­dha stesso è prassi. Qui abbiamo ‘Abbandonare se stessi per trovare il Dharma’ e ‘Abbandonare il Dharma per trovare se stessi’. Non tra­scurate e non ignorate la vita del corpo.

Non si tratta solo di abbandonare il Dharma per il bene del Dharma; c’è il corretto modo di abbandonare il Dharma per il bene della mente. Non dimenti­cate che l’abbandono non può essere quanti­ficato. Anche se si possedesse la capacità del Buddha, ancora non sa­rebbe possibile valutare l’estensione totale della grande Via. Perfino il potere del Buddha è solo una parte dell’intero, così come un fiore che sboccia è solo uno degli accadimenti della primavera. Anche se il po­tere della nostra mente è grande, non possiamo comunque penetrare completamente la dignità del Buddha. Il potere della mente è soltanto uno degli aspetti ca­ratteristici del mondo fisico. Le dimensioni di un singolo filo d’erba sono le dimensioni della mente di Buddha e Pa­triarchi. Sono un frammento nel quale, sempre, il Buddha che agisce riconosce la sua propria orma.

Anche se si ritiene che l’infinita capacità dei Buddha possa essere pene­trata da una singola mente, le illimitate azioni del Buddha che agisce non posso­no essere agevolmente percepite, né viste facil­mente. L’agire quotidiano dei Buddha, essendo senza limiti, è inesau­ribile,  inaccessibile e incommensurabile.

C’è un punto da chiarire a proposito della dignità del Bud­dha che agisce. ‘Il Buddha è il sé’, ‘Io sono’ e ‘Tu sei’ sono la dignità del Buddha e sono legate all’affermazione “Io solo conosco questa forma.” Nello stesso tempo sono la condizione liberata dei Buddha delle dieci direzioni, e non si tratta di un semplice rapporto di identifi­cazione. Perciò un vecchio Buddha disse: “Quando fate esperienza di tali cose, ciò è ininterrottamente esercitato nella vita quotidiana.” Quando questo è realizzato, tutti i dharma, tutti i corpi, tutte le forme di addestramento, tutti i Buddha diventano nostre vecchie conoscenze. L’adde­stramento, i dharma, i corpi, i Buddha, ciascuno di questi spe­rimenta l’impedi­mento assoluto.

Sperimenta l’impedimento assoluto” significa che ciascuno di essi è stato lasciato cadere completamente. Non siate perplessi se, osservando le miriadi di forme di esistenza così come sono, non riu­scite a vedere un solo dharma ed un solo oggetto. Ogni e ciascun ele­mento è in sé completo. Venire e andare, uscire ed entrare si verifi­cano continuamente. Nulla è celato in questo mondo e dun­que le parole segrete, il risveglio segreto, l’addestra­mento segreto e la se­greta trasmissione dell’Universalmente Venerato, diventano chiari.

Uscendo dalla porta, c’è erba; entrando dalla porta, c’è erba. L’erba ricopre ogni centimetro del terreno.” Qui uscire ed en­trare sono irrilevanti e non è possibile afferrare né abbandonare que­sta affermazione, perché ci sono sogni e fantasie, fiori di vacuità.[6] C’è forse qualcuno che, sbagliando, ritiene che sogni e fantasie, o fiori di vacuità, significhino errore? Progredire è un errore, regredire è un errore, un passo è un errore, due passi sono un errore, perché gli errori sono errori. Giacché c’è un profondo abisso tra cielo e terra, senza difficoltà, possiamo pervenire alla Via. Dobbiamo speri­mentare la libera funzione del corretto contegno come l’immenso corpo della grande Via.

Sappiate che la nascita è un uscire che si fonde con la Via e che la morte è un entrare che fluisce nella Via. Dalla testa alla coda, il corretto conte­gno opera facilmente, in completa libertà. Una singola manifestazione del corretto contegno dei Buddha comprende l’intero Universo, e la grande terra include il venire e l’andare di vita e morte all’interno del mondo di polvere e del mondo del Loto.[7] Ognuno di questi due mondi è una specifica manifestazione. Gli studen­ti pensano che la parola Universo rappresenti qualche zona del cosmo, uno spe­cifico mondo o perfino una singola nazione come la Cina o il Giap­pone; oppure credono che la grande Terra contenga migliaia di mondi, o magari, invece, che sia una singola provincia o prefettura. Per inve­stigare correttamente i termini Universo e grande Terra dobbiamo esaminarli più e più volte, senza prenderli alla lettera. Queste parole svelano l’esistenza dell’estremamente grande nella più piccola parti­cella, e la più piccola particella come estremamente grande; vale a dire, il conseguimento della Via trascende Buddha e Pa­triarchi. Non è nell’esistenza del grande, non è nell’esistenza del piccolo, ma è il corretto contegno del Buddha che agisce. Tutti i Buddha e ciascun Patriarca hanno affermato che sia l’Universo che la grande terra sono compresi nel corretto contegno; dobbiamo inve­stigare questo attuale mondo nel quale nulla è nascosto. C’è molto di più di questo attuale mondo nel quale nulla è celato: c’è il corretto contegno del Buddha che agisce.

È abitudine degli studenti del Dharma discutere sui vari modi di nascere, ma non si parla molto delle nascite da umidità, da uova, e così via. È possibile che qualche ignorante riesca anche solo a sognare altri generi di nascita oltre i quattro descritti dalla dot­trina del Buddha?[8] È possibile vedere, udire o conosce­re altri modi di nascere?

Nella grande Via dei Buddha e dei Patriarchi vi sono alcuni generi di nascita che non sono nascosti e sono correttamente tra­smessi, e altri generi di nascita che sono segreti e correttamente tra­smessi. Come possiamo descrivere coloro che non hanno mai udito, appreso, conosciuto o cercato questa frase? Abbiamo appena sentito parlare dei quattro modi di nascere, ma che dire dei diversi modi di morire? Esistono anche quattro modi di morire? Oppure sono due o tre, cinque o sei, mille o diecimila? Se nutriamo dei dubbi su questo principio dobbiamo investigarlo dettagliatamente. Esaminiamo la questione nei particolari. Tra i quattro modi di nascere, ne esiste uno che non comporta la morte? Esiste una tra­smissione della sola morte, senza una trasmissione della nascita? Dobbiamo chiarire l’esi­stenza o la non-esistenza dei vari generi di na­scita e morte. Non dovete concentrarvi esclusivamente sull’ascoltare e inve­stigare l’espressione “Non-nascita”; questo è l’approccio di una persona che ha smesso di addestrarsi con l’intero corpo-mente. Sarebbe troppo stupido, sarebbe il comportamento di bestie che sono solamente interes­sate a superficiali discussioni sulla fede o sulla contrapposizione tra graduale e improvviso, e così via. Per questo costoro, sia pure udendo l’espressione “Non-nascita”, non riescono a coglierne l’es­senza. Essi non sono in grado di capire non-Buddha, non-Via, non-mente, non-distruzione, non-nascita, non-mondo di Dharma, non-natura di Dharma e non-morte. Sono simili ad animali che non si curano d’altro che dell’acqua e del foraggio.

Sappiate che vita-e-morte è l’esercizio quotidiano della Via dei Buddha; vita-e-morte è l’argomento centrale per chiunque studi il Dharma. È uno strumento utile se sappiamo usarlo e, se riusciamo a comprenderlo, diventerà chiaro. Perciò tutti i Buddha lo capiscono chiaramente ed abilmente lo utilizzano. Se per voi vita e morte rimangono qualcosa di oscuro, chi riuscirà a chiamarvi col vostro vero nome, chi potrà dire che avete padroneggiato la vita e conqui­stato la morte? Non pensate mai che si sprofondi in nascita e morte, o che siate già afferrati da esse. Non crediate che nascita e morte siano sem­plicemente nascita e morte, e neppure che siano non conoscibili e non comprensibili. È stato detto: “I Buddha si manifestano soltanto nel mondo umano e non negli altri mondi.”[9] Chi ha affermato ciò vo­leva forse sostenere che ovunque il Buddha sia presente, lì necessa­riamente è il mondo degli uomini? Il Buddha ha affermato: “Io solo sono l’universalmente venerato.” C’è un Buddha nel mondo degli dèi ed un Buddha nel mondo dei Buddha. L’opinione che i Buddha com­paiano soltanto nel mondo degli esseri umani non è l’intimo insegna­mento dei Buddha e dei Patriarchi.

Uno dei nostri Patriarchi ha detto: “Il Buddha Śākyamuni ricevette la vera Legge dal Buddha Kāśyapa, salì al Cielo Tusita[10] per insegnare agli dèi, e lì’ ancora vive.” Dobbiamo sapere, in verità, che il Śākyamuni umano è scomparso da questo mondo ma il Śākyamuni  celestiale è ancora vivo ed insegna agli dèi. Gli studenti devono imparare che le innumerevoli forme dei discorsi, della prassi e della predica­zione del Buddha Śākyamuni sono tutte specifiche manifestazioni della sua umana gloria e splendore; l’azione del Śākya-muni  celestiale si estrinseca in un numero incalcolabile di modi.

Andate oltre l’idea che la grande Via della corretta trasmissione da Buddha a Buddha possa cessare, e scoprite invece il principio che non c’è inizio e non c’è fine; soltanto la Via dei Buddha ha in sé la corretta trasmissione. Coloro che percorrono altri sentieri, con un di­verso stile, non sentiranno mai parlare di questo grande potere e non lo conosceranno mai. Nel luogo in cui insegna il Buddha che agisce, vi sono esseri senzienti liberi dai quattro tipi nascita. Questo luogo non è nel mondo degli dèi, né in quello degli esseri umani né in quello del Dharma, e così via. Se volete osservare il corretto contegno del Bud­dha quando agisce, non guardatelo con gli occhi e non cercate di giu­di­carlo attraverso il comune sentire degli dèi e degli uomini. Non accostatevi ad esso attraverso simili limitate facoltà. Neppure coloro che hanno acquisito le dieci sacre condizioni ed i tre stadi abili[11] ne sanno qualcosa, come possono dunque semplici esseri umani e comuni divinità averci qualcosa a che fare? Poiché le facoltà degli esseri umani sono limitate, è ridottala loro capacità di acquisire conoscenza. La loro vita dura poco, così i loro pensieri sono effimeri. Come possono davvero giudicare il corretto contegno del Buddha che agisce?

Proprio per questo, coloro che credono che il Dharma del Buddha sia relegato al mondo degli esseri umani, ne limitano la por­tata alle leggi degli esseri umani; a costoro non deve mai essere con­cesso di diven­tare discepoli del Buddha perché sono imprigionati dal karma degli esseri senzienti. Essi devono ancora udire il Dharma con corpo e mente, non hanno corpo e mente adatti allo studio della Via. Nessuna delle loro azioni – vivere, morire, vedere, udire, camminare, star fermi, sedere o giacere – si basa sul rispetto della Legge. Nessuno di essi possiede il merito insito nel Dharma. Il Buddha che agisce non accarezza idee circa un’illuminazione acquisita o innata, e non è uno che non si risveglia, né uno che si risveglia – questo è il retto princi­pio.

I modi in cui la gente ordinaria considera pensiero e non-pensiero, illuminazione e non-illumi­nazione, risveglio acquisito e ri­sveglio innato, e così via, sono solo luoghi comuni e non sono ba­sati sulla trasmissione dei Buddha. Il pensiero della gente ordinaria e quello dei Buddha differiscono totalmente e non hanno alcun termine di pa­ragone. Ciò che la gente comune capisce circa l’illuminazione innata, da un lato, e l’effettiva esperienza che di ciò fanno tutti i Buddha, dall’altro,  è tanto diverso quanto il cielo lo è dalla terra. Neppu­re la somma delle capacità di coloro che hanno acquisito le dieci sacre condizioni ed i tre stadi abili ha il potere di superare la Via dei Buddha. Come può la gente comune, che si eser­cita in inutili calcoli, anche solo cominciare a misurare simili cose? A causa delle opinioni errate e profonda­mente radicate, tipiche della gente comune e di chi non studia la Via, molti valutano in modo erroneo tutto ciò che riguarda i Buddha.

Tutti i Buddha affermano: “Queste persone hanno in sé un profondo nucleo di trasgressioni e devono essere grandemente commi­serate.” Anche se è difficile dire dove questo profondo nucleo di tra­sgressioni inizia o termina, esso è per noi un pesante carico. Mettendo per il momento da parte questo pesante fardello, sviluppiamo una vera compren­sione intuitiva. Pur essendo aggrappati all’io e paralizzati dal dubbio, ancora non c’è origine irraggiungibile e insuperabile. Il cor­retto contegno del Buddha che agisce non è mai impe­dito; quando qualcosa cerca di ostacolare il Buddha, Egli si adatta in piena libertà ad ogni circostanza, agisce direttamente e non ne è perciò ostacolato.

Nei cieli sovrastanti, il Buddha insegna agli dèi; nel mondo degli uomini, insegna agli uomini. Il potere del fiore che sboccia[12] è il potere del mondo della primavera che avanza; non c’è tra questi due la minima discontinuità. Dunque, il sé e gli altri sono lasciati cadere; lo stare e l’andare sono liberi da qualsiasi impedimento. Questo è abitare nel Cielo Tusita, giungere nel Cielo Tusita, essere così-come-si-è nel Cielo Tusita, abitare nella Terra di Beatitudine, giungere nella Terra di Beatitudine, essere così-come-si-è nella Terra di Bea­titudine. È anche lasciar cadere Tusita, lasciar cadere la Terra di Beatitudine. Anche se vi impegnate a fondo per analizzare Tusita e la Terra di Beatitudine, non riuscirete ad afferrarli né a lasciarli an­dare: inghiottiteli in un boccone.

La Terra di Beatitudine e Tusita sono la Pura Terra e la Sala del Paradiso,[13] ma anche lì troviamo il samsāra.[14] Se esiste una prassi quotidiana dei Buddha e dei Patriarchi, allora la stessa prassi quotidiana esiste nella Pura Terra e nella Sala del Paradiso. Se c’è grande illuminazione qui, c’è grande illuminazione là. Se c’è grande illusione qui, c’è grande illusione là. Questa è l’essenza del Buddha che agisce. A volte è il suono del vento impe­tuoso, a volte è l’odore di un escremento; se avete narici potete annusare, e se avete orecchie, un corpo e l’addestramento quotidiano, potere udire. Nell’ottenere la pelle, carne, ossa e midollo del nostro Maestro, dobbiamo afferrarla da soli, non attra­verso altri.

Per aiutarci a realizzare la grande Via che conduce a padro­neggiare la vita e conquistare la morte, gli antichi ci hanno lasciato questo detto: “I grandi santi affidano vita e morte alla mente, affidano vita e morte al corpo, affidano vita e morte alla Via, e affidano vita e morte a vita e morte.” Questa affermazio­ne non ha a che fare con pas­sato o presente, ma compare all’improvviso come totale esercizio del corretto contegno del Buddha che agisce. Se rivestiamo corpo e mente con questo principio di vita e morte, immediatamente si produce un potente sforzo. Esercizio totale è illuminazione totale, ma questo aspetto non può essere forzato. È come la storia di quell’uomo che pensava di aver perso la testa finché non vide la sua immagine riflessa nello specchio; vuol dire che, nel momento in cui viene riflessa, la no­stra vera forma è illuminata. Questo continuo processo di illumina­zione è la pienezza del Buddha che agisce, ed è affidato al vero eserci­zio. Dobbiamo chiarire con cura il principio dell’affidare, attraverso il cuore dell’esercizio. Quando l’investigazione è portata a termi­ne, compren­diamo che il costante flusso del mondo è illuminato da quella mente; i tre mondi sono soltanto aspetti della mente. Questa profonda realizza­zione include tutti gli elementi; attraverso l’esercizio e la realizzazione quotidiani e indi­viduali, tutte le funzioni possono essere perfezionate e pienamente sviluppate.

Dunque, afferrate il significato che sta dentro le parole e cercate ciò che è fuori dalle parole, più e più volte. Afferrate ciò che deve essere afferrato, lasciate andare ciò che deve essere abbandonato. Gli argomenti che dobbiamo esaminare sono: che cos’è la vita? Cos’è la morte? Cos’è il corpo-e-mente? Cos’è l’attaccamento? Cos’è il la­sciar andare? Cos’è l’assenso? Cos’è il dissenso? Questi opposti agi­scono liberamente sullo stesso piano senza ostruzioni? Le cose sono celate o manifeste? La compren­sione si raggiunge mediante il pensiero concentrato? Oppure si consegue con la saggezza della vec­chiaia? È forse una perla splendente?[15] È l’insegnamento della totalità del Tripitaka?[16] È un bastone? È un volto? Lo conosceremo fra trent’anni? È forse: “Un pensiero include diecimila anni?” State at­tenti su questi argomenti, state molto attenti. Quando siamo attenti, gli oc­chi sono al meglio e ci permettono così di udire il suono, e le orecchie sono al meglio e ci consentono così di vedere la forma. Entrambi gli occhi di un monaco sono ben spalancati, sempre e dovunque, e non soltanto qui e adesso.

Il sorriso di Mahākāśyapa segue l’ammiccamento del Buddha Śākyamuni. Questo è stato un piccolo esempio del corretto contegno del Buddha che agisce. Il corret­to contegno non influenza e non è influen­zato, non sorge spontaneamente e non è generato dalla causalità, non è natura originaria e non è natura del Dharma. Non si stabilizza su un determinato livello e non è natura originaria. Non è solo il ‘tale’, all’interno di ‘ta­lità’.[17] Non è altro che il corretto contegno del Buddha che agisce.

Per questo tutti gli argomenti che riguardano gli elementi e il corpo dovrebbero essere affidati alla mente. Il corretto contegno nel lasciar cadere la vita e nel lasciar cadere la morte dovrebbe essere af­fidato al Buddha. Perciò è stato detto: “Tutte le cose sono soltanto mente” e “I tre mondi sono soltanto mente.” Andando ancora più in là nell’esprimerlo, diciamo: “Steccato, muro, tegola, pietra.” Se non ci fosse ‘Solo mente’, non ci sarebbero steccato, muro, tegola o pietra. Questo è il corretto contegno del Buddha che agisce. È il principio di affidare la mente, affidare il Dharma e affidare gli elementi; allora ci si prenderà cura del corpo. Le nozioni di risveglio acquisito, risveglio innato, e così via, non sono facilmente padroneggiate dai Buddha; come possono quindi occuparsene coloro che non seguono il Dharma, i seguaci dell’Hīnayāna, i tre saggi o i dieci santi? Questo corretto contegno non può essere compreso viso a viso, e neppure schiena a schiena. Ogni cosa è unica, poiché proietta con forza tutto il vigore della vita. Questa situazione è immutabile o fluida? Immutabile, non è né lungo né corto. Fluido, non è se stessi né gli altri. Se abbiamo la forza suffi­ciente per utilizzare queste funzioni nell’addestramento, i fenomeni ci saranno svelati; si tratta di una percezione senza eguali.

C’è una luce infinita, totalmen­te non impedita, che risplende nello Zendō,[18] nella Sala del Buddha, negli alloggi dei monaci e all’ingresso del monastero. C’è anche una luce infinita incondizio­nata che permea lo Zendō, la Sala del Buddha, gli alloggi dei monaci e l’ingres­so del monastero. C’è l’occhio che penetra le dieci direzioni e l’occhio che contiene la grande Terra. C’è mente davanti e mente dietro. Così, oc­chi, orec­chie, naso, lingua, corpo e mente operano liberamente nel potere della luce infi­nita. Tutti i Buddha dei tre mondi[19] sono inconsape­voli di questo, mentre procioni e buoi lo conoscono. Questa forma e questa illuminazione sono presenti quando il Dharma del Buddha che agisce produce il Dharma del Buddha che agisce.

Il Grande Maestro Shinkaku,[20] del monte Seppō, rivolto ad un’assemblea, disse: “Tutti i Buddha dei tre mondi mettono in moto la grande ruota della Legge, immersi in un furioso incendio.” Il Grande Insegnante Gensha Soitsu[21] disse: “Un furioso incendio predica la Legge per la salvezza di tutti i Buddha dei tre mondi; tutti i Buddha dei tre mondi si alzano in piedi e prestano ascolto.” Di loro, il Maestro Zen Engo[22] disse: “Entrambi sono furfanti ingannatori.[23] Secondo le cir­costanze, appaiono e scompaiono. Il furioso incendio consuma il co­smo mentre il Buddha predica la Legge. Il cosmo consuma il furioso incendio mentre la Legge predica il Buddha. Il vento spazza via il groviglio di rampicanti ed una parola frantuma il silenzio di Vimala­kīrti.”[24]

Tutti i Buddha dei tre mondi” significa ogni e ciascun Buddha. Il Buddha che agisce è ‘Tutti i Buddha dei tre mondi’. “Tutti i Buddha delle dieci direzioni” non sono altro che ‘I Buddha dei tre mondi’. Quello che nella Via viene insegnato come i tre mondi è perfettamente spiegato in questo modo. Indipendentemente dal fatto che lo comprendiamo o meno, senza dubbio ‘Tutti i Buddha dei tre mondi’ sono il Buddha che agisce. Dunque, le affermazioni di quei tre vecchi Buddha sono identiche a quelle di tutti i Buddha dei tre mondi.

Consideriamo il principio che sta dietro la frase di Seppō: “Tutti i Buddha dei tre mondi mettono in moto la grande ruota della Legge immersi in un furioso incendio.” Il dōjō[25] nel quale tutti i Buddha dei tre mondi fanno girare la ruota della Legge, è senza dubbio im­merso in un furioso incendio. ‘Immerso in un furioso incendio’ signi­fica senza dubbio il dōjō del Buddha.

Gli studiosi dei sūtra e dell’abhidharma non hanno mai sentito parlare di ciò; i seguaci dell’Hīnayāna e coloro che non se­guono il Dharma, non ne sanno nulla. Sappiate che il furioso incendio di tutti i Buddha non è un tipo di fuoco comune. Dovete stabilire se esistono diversi generi di fuoco. Dobbiamo imparare il vero significa­to di: “Tutti i Buddha sono immersi in un furioso incendio.” Quando i Buddha sono immersi in un furioso incendio, i Buddha e il fuoco sono a stretto contatto o sono molto lontani gli uni dall’altro? Sono uniti o indipendenti? Sono la stessa cosa o sono diversi? Il movimento della grande ruota della Legge mette in moto il sé mentre svolge la sua funzione di girare. ‘Attivo sviluppo’ significa mettere in moto la Legge e la Legge che mette in moto.[26]  Anche se possiamo dire: “Fai girare la ruota della Legge”, e l’intera grande Terra è sommersa da questo furioso incendio, ancora c’è una ruota della Legge messa in moto da una ruota di fuoco, e una ruota della Legge messa in moto da tutti i Buddha.

Perciò il furioso incendio è il grande dōjō dove tutti i Bud­dha mettono in moto la grande ruota della Legge. Non è possibile valutare tutto questo secondo parametri abituali quali spazio, tempo, esseri umani, gente comune, santi, e così via. Poiché non possiamo utilizzare queste limitate unità di misura, abbiamo: “Tutti i Buddha dei tre mondi mettono in moto la grande ruota della Legge immersi in un furioso incendio.”

Dire: “Tutti i Buddha dei tre mondi” già trascende qualsiasi genere di misurazione. Giacché esiste un dōjō dove tutti i Buddha dei tre mondi mettono in moto la ruota della Legge, ecco che c’è un fu­rioso incendio. Poiché c’è un furioso incendio, ecco che esiste il dōjō di tutti i Buddha.

Gensha disse: “Un furioso incendio predica la Legge per la salvezza di tutti i Buddha dei tre mondi; tutti i Buddha dei tre mondi si alzano in piedi e prestano ascolto.” Udendo questa frase, qualcuno può pensare che sia superiore a quella di Seppō, ma non è così. Sap­piate che le parole di Seppō hanno un significato diverso rispetto a quelle di Gensha. Seppō descrive il luogo in cui tutti i Buddha dei tre mondi mettono in moto la ruota della Legge, mentre Gensha spiega come tutti i Buddha dei tre mondi ascoltano la Legge. Seppō si rife­riva al movimento della Legge, non al luogo in cui questo avviene, né al fatto che essa venga udita o meno. Dunque, il suo mettere in moto la Legge non coincide sempre con udire la Legge. Egli non disse: “Tutti i Buddha dei tre mondi predicano la Legge per il furioso incendio”, né “Tutti i Buddha dei tre mondi mettono in moto la grande ruota della Legge per tutti i Buddha dei tre mondi”, e neppure disse: “Il furioso incendio mette in moto la grande ruota della Legge per la salvezza del furioso incendio.” Le frasi “Mettere in moto la ruota della Legge” e “Mettere in moto la grande ruota della Legge” sono diverse? ‘Mettere in moto la ruota della Legge’ non è identico a predicare la Legge; non a tutti è necessario predicare la Legge. Dunque, le parole di Seppō non trascu­rano alcun aspetto.

L’affermazione di Seppō: “La grande ruota della Legge viene messa in moto in mezzo ad un furioso incendio” deve essere in­vestigata con la massima attenzione. Non confondete le sue parole con quelle di Gensha. Quando le parole di Seppō sono state sviscerate, il corretto contegno diventa il corretto contegno del Buddha. Tutti i Buddha dei tre mondi, immersi nel furioso incendio, non possono es­sere contenuti in un granello di polvere o nell’intero Universo. Non considerate il mettere in moto la grande ruota della Legge come qualcosa di piccolo o grande, largo o stretto. La grande ruota della Legge non viene messa in moto per sé o per gli altri, e non è predicata o ascoltata per la salvezza di qualcuno.

Gensha disse: “Un furioso incendio predica la Legge per la salvezza di tutti i Buddha dei tre mondi; tutti i Buddha dei tre mondi si alzano in piedi e prestano ascolto.” Egli disse che il furioso incendio predica la Legge per tutti i Buddha dei tre mondi, ma non disse nulla sul mettere in moto la ruota della Legge, o sul mettere in moto la ruota della Legge di tutti i Buddha dei tre mondi. Anche se tutti i Buddha dei tre mondi si alzano in piedi e ascoltano, come può la ruota della Legge di tutti i Buddha dei tre mondi essere messa in moto da questo furioso incendio? Forse il furioso incendio che predica la Legge per tutti i Buddha dei tre mondi può anche mettere in moto la grande ruota della Legge? Gensha non disse che la ruota della Legge è messa in moto in quel momento, ma neppure che non lo è. Tuttavia, oseremmo supporre che Gensha, stupidamente, pensasse che far girare la ruota della Legge coincida con predica­re la ruota della Legge? Se così fosse, avrebbe frainteso le parole di Seppō.

Quando il furioso incendio predica la Legge per la salvezza di tutti gli esseri senzienti, tutti i Buddha dei tre mondi si alzano in piedi e prestano ascolto. Gensha è inconsapevole del furioso incendio che mette in moto la ruota della Legge, cosicché il furioso incendio si alza e presta ascolto. Egli mancò di dire che dove il furioso incendio fa girare la ruota della Legge, lì ‘Il furioso incendio fa anche girare la Ruota della Legge’. La Legge cui prestano ascolto tutti i Buddha dei tre mondi è la Legge di tutti i Buddha; non è udita da alcun altro. Non pensate mai che il furioso incendio sia la Legge, o sia il Budd­ha, e neppure vedetelo come furioso incendio. Non pensate mai che le pa­role dette da un maestro al suo discepolo siano banali. In ogni caso, entrambe le frasi dei due Maestri sono eccellenti, anche se usano pa­role diverse.

Le parole di Gensha sono ottime ma certi punti devono es­sere ulterior­mente chiariti. Lasciando da parte le limitate nozioni che potete avere udito dagli studiosi dei sūtra e dell’abhidharma, sia della scuola Hīnayāna che di quella Mahāyāna, investigate la vera forma della corretta trasmissione da Buddha a Buddha, da Patriarca a Pa­triarca. L’espressione “Tutti i Buddha dei tre mondi” non si trova nella dottrina Mahāyāna né in quella Hīnayāna. Le persone dalle vedute ristrette sanno che tutti i Buddha predicano la Legge con l’abilità dei buoni maestri, ma non indagano sul fatto che tutti i Buddha ascoltano la Legge, tutti i Buddha agiscono, e tutti i Buddha diventano Buddha.

La frase di Gensha: “Tutti i Buddha dei tre mondi si alzano in piedi e prestano ascolto” è la vera forma di tutti i Buddha che ascoltano la Legge. Non dite mai che coloro che predicano la Legge sono intrinsecamente superiori a coloro che la ascoltano. È necessario rispettare sia chi predica, sia chi ascolta.

Il Buddha Śākyamuni disse: “Chiunque esponga il Sūtra del Loto mi vedrà; è difficile predicarlo soltanto a una persona.” Dun­que, coloro che predicano la Legge vedranno il Buddha Śākyamuni, perché ‘Mi vedrà’ significa vedere Śākyamuni. Quindi disse: “Dopo che me ne sarò andato, sarà difficile udire, ricevere e comprendere il significato di questo sūtra.”

Sappiate che coloro che ascoltano questo sūtra ne sono tur­bati; predicare ed ascoltare, non sono l’uno meglio dell’altro. Anche i Buddha più venerati hanno l’occasione di alzarsi in piedi per ascoltare la Legge. Si alzano in piedi e ascol­tano la Legge perché sono i Buddha dei tre mondi. Di solito si pensa che i Buddha, essendo illuminati, non siano tra coloro che ascoltano la Legge in quanto sono già Buddha dei tre mondi. Sappiate che ogni Buddha è ‘Tutti i Buddha dei tre mondi che si alzano in piedi e ascoltano la Legge predicata dal furioso incen­dio’. Per ciò che riguarda il modo di comportarsi, non si dovrebbe se­guire un solo sentiero; seguire diversi sentieri è come ammucchiare molte frecce al centro del  bersaglio.

Senza dubbio il furioso incendio predica la Legge per tutti i Buddha. Ogni pura mente si manifesta come la fragranza dei fiori che sbocciano su un albero di ferro che riempie il mondo. In altre parole, il furioso incendio predica la Legge alzandosi in piedi e ascoltando. Come si realizza questo? Il discepolo supera il maestro, il discepolo eguaglia il maestro. Investigate il profondo rap­porto tra maestro e al­lievo; in esso troviamo tutti i Buddha dei tre mondi.

Engo disse: “Entrambi sono furfanti ingannatori. Secondo le circostanze, appaiono e scompaiono.” Questo significa che Gensha e Seppō sono all’incirca sullo stesso livello; ma ‘Il furioso incendio di tutti i Buddha’ equivale forse a ‘Tutti i Buddha sono un furioso incen­dio’? Bianco e nero si scambiano e Gensha resta elusivo, ma la voce e la forma di Seppō non si amalgamano. Dal momento che è così, sap­piate che Gensha ha parole che sono parole e parole che non sono pa­role; a volte Seppō trattiene la parola, a volte spreca la parola. La frase di Engo non è identica a quella di Gensha, e neppure è identica a quella di Seppō.

Il furioso incendio consuma il cosmo mentre il Buddha predica la Legge. Il cosmo consuma il furioso incendio mentre la Legge predica il Buddha.” Questa frase è la luce infinita di tutti i veri eredi. Anche se non si può percepire l’intensità dell’incendio, esso ab­braccia il cosmo, noi stessi e tutti gli altri. Ciò che circonda il cosmo è questo furioso incendio. Indipen­dentemente dal nostro sentire, questo non si può evitare.

Sappiate apprezzare il fatto che gente insignificante come noi, nata lonta­no nel tempo e nello spazio dalla terra dei santi, abbia l’opportunità di udire la Legge donata a tutti gli dèi. Non è poi così insolito udire il Buddha che espone la Legge, ma è raro udire la Legge che espone il Buddha. Per quanto tempo la gente ha ignorato questo fatto? Perciò tutti i Buddha dei tre mondi predicano la Legge nei tre mondi; l’intera Legge dei tre mondi proclama il Buddha nei tre mondi. Tutti i grovigli[27] sono spazzati via nell’intero Universo. In una parola, questa frase frantuma ogni cosa, ovunque: perfino il silenzio di Vimalakīrti o di qualsiasi altro. Perciò la Legge predica il Buddha, la Legge addestra il Buddha, la Legge illumina il Buddha, il Buddha predica la Legge, il Buddha addestra il Buddha, il Buddha diventa Buddha. Tutti questi aspetti sono il corret­to contegno del Buddha che agisce; è un contegno che ingloba cielo e terra, passato e presente.

Coloro che ottengono questo sono grandi, coloro che lo il­luminano sono perfetti.

 

 

Questo fu scritto dal monaco Dōgen, alla metà di ottobre del 1242, nel Kannondōri del Kōshō-hōrinji.

 



[1] Il sambhoga-kāya è il corpo di ricompensa, la manifestazione sottile risultante dalla prassi, ed il nirmāna-kāya è il corpo manifestato per il bene degli esseri senzienti. Assieme al dharma-kaya, il corpo della Legge, o corpo della realtà ultima priva di forma e onnipervadente, costituiscono il triplice corpo del Buddha.

[2] Dal sanscrito dharmatā.

[3] Si veda il Sūtra del Loto, pag. 288.

[4] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]

[5] Parole tratte da un colloquio tra il Maestro Daikan Enō e il Maestro Nangaku Ejō, su prassi-ed-esperienza. Si veda il cap. 57, Henzan.

[6] Si veda il cap. 14, Kuge.

[7] Significa il mondo in relazione al bello, così come espresso nel Sūtra del Loto.

[8] I quattro generi di nascita sono: da utero, da uovo, da umidità e da metamorfosi.

[9] Come, per esempio, il mondo degli dèi, il mondo degli inferi, il mondo degli animali.

[10] Il Cielo Tusita è il luogo in cui si addestra il futuro Buddha Maitreya. Si dice sia il quarto dei sei cieli (o paradisi) del mondo dei desideri.

[11] Un Bodhisattva, prima di divenire un Buddha, deve attraversare cinquantadue stadi o condizioni. Il primo gruppo di dieci sono i dieci stadi della fede. I successivi tre gruppi da dieci sono i tre abili stadi. Il quinto gruppo di dieci sono le dieci sacre condizioni. Il cinquantunesimo stadio è “L’equilibrata condizione della verità”, e il cinquantaduesimo stadio è “La sottile condizione della verità”.

[12] Cioè, l’apparire dei fenomeni.

[13] Dal Sanscrito Sukhāvatiā, che è il nome del cielo che si dice fondato dal Buddha Amitāba.

[14] Il circuito dell’esistenza mondana, il mondo di mutamento.

[15] Si veda il cap. 7, Ikkamyōju.

[16] Tripitaka: i tre canestri dell’Insegnamento. Sono suddivisi in Sūtra (i discorsi), Vinaya (i precetti) e Abhidharma (i commentari).

[17] Non è solo l’affermazione concreta della realtà così com’è.

[18] La Sala del Dharma.

[19] Il Dhammapada riporta la divisione in kāma-loka (il mondo retto dal desiderio dei sensi), rūpa-loka (il mondo della forma sottile), ed ārūpa-loka (il mondo privo di forma).

[20] Il Maestro Seppō Gison (822-907), uno dei due successori del Maestro Tokusan Senkan. Shinkaku Zenji è il suo titolo postumo. [Hsüeh-feng I-ts’un]

[21] Il Maestro Gensha Shibi (835-907), un successore del Maestro Seppō Gison. Noto anche come Sōitsu Daishi. [Hsüan-sha Shih-pei]

[22] Il Maestro Engo Kokugon (1063-1135), nella linea di trasmissione del Maestro Yōgi Hōe. Ha scritto “La Raccolta della Roccia Blu”. [Yüan-wu K’o-ch’in]

[23] Lett. “Sono una scimmia nera e una scimmia bianca.”

[24] Si riferisce al fatto che Vimala­kīrti, ad una domanda del Bodhisattva Mañjuśrī, rimanesse silenzioso. Vedi Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra, cap. 9.

[25] Lett. “Luogo della Via”. Indica un luogo dedicato allo studio ed alla prassi.

[26] Si veda il cap. 90, Hokke Ten Hokke.

[27] Si veda il cap. 38, Kattō.