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KOKYŌ

L’Antico Specchio

 

 

Questo difficile capitolo tratta di una delle principali caratteristiche dei Buddha e dei Patriarchi, vale a dire la capacità di essere “nel” mondo ma non “del” mondo. Si tratta di una condizione spirituale in cui la mente, come uno specchio, non trattiene ma semplicemente riflette il mondo, restandone incontaminata. Pos­siamo così dire che l’Antico Specchio non solo è simbolo di una fa­coltà individuale, ma è anche qualcosa di universale. Fin dai tempi antichi, gli studenti del Dharma hanno investigato sull’Antico Specchio. In questo capitolo il Maestro Dōgen ne indaga il significato, riportando le parole degli antichi maestri.

 

Quello che tutti i Buddha e i Patriarchi trasmettono uno all’altro è l’Antico Specchio. L’Antico Specchio e i Buddha sono un unico corpo; al di fuori dello Specchio non vi sono Buddha, al di fuori dei Buddha non vi è Specchio. Il ve­dente e il visto, ciò che riflette e ciò che è riflesso sono uno; prassi e risveglio sono uno. Chiunque può di­ventare l’Antico Specchio: è la verità in tutte le cose. In tutte le cose e in ogni mute­vole fenomeno, l’azione dell’An­tico Spec­chio è totalmente realizzata. Tutte le cose sono realizzate in ogni tempo. Il passato è realizzato, il presente è realizzato, i Buddha e i Patriarchi sono realizzati.

Il diciottesimo Patriarca, il Venerabile Geyāśata, era origi­nario del Matai nell’Asia centrale. Il suo cognome era Uz­zu­ran, il pa­dre si chiamava Tengai e la madre Hōshō. Un gior­no Hōshō sognò che un dio le compariva innanzi tenendo in mano un grande specchio. Su­bito rimase incinta e dopo sette giorni partorì Geyāśata. Al momento della nascita la sua pelle era simile a giada lucente; era del tutto im­macolato, in modo naturale, ancor prima di essere lavato. Fin dalla te­nera età soleva preferire luoghi tranquilli e il suo modo di parlare era diverso da quello degli altri ragazzi. Un alone candido, simile ad uno  spec­chio rotondo, lo circondava fin dal momento della nascita: un fatto veramente portentoso. Geyāśata non era nato con questo alone; esso apparve al momento della nascita, come fosse un suo naturale complemento.

La natura di quest’aura era straordinaria. Nel cammi­nare, era come se la tenesse con entrambe le mani e tut­tavia essa non nascondeva il suo viso. Guardandolo da dietro, l’aura sembrava posare sulle sue spalle ma non ne celava il corpo. Quando egli dormiva, essa si librava su di lui come un baldacchino. Quando si sedeva, l’aura si po­neva di fronte a lui. In altre parole, essa se­guiva tutti i suoi movimenti, ma non era tutto. In quest’aura egli poteva scorgere le gesta di tutti i Buddha, dal passato fino ad oggi, nonché tutti i fenomeni celestiali e ter­reni. Guardando in quest’aura, passato e presente si potevano comprendere ben più chiaramente che non leggendo i sūtra. Tuttavia, dopo egli che  eb­be ricevuto i precetti e l’ordinazione monacale, l’aura non com­parve più e questo destò molto stupore in tutti, sia in chi gli era vicino, sia tra le genti lontane. In questo mondo, in effetti, po­chi sono come lui e dobbiamo soffermarci e riflettere sul fatto che, anche considerando simili venerabili persone, nessuna di esse lo può ugua­gliare. Dobbiamo d’altronde comprendere che l’inse­gnamento dei sūtra è scritto nelle pietre e sugli alberi, e che vi è una cono­scenza che è dispiegata nelle risaie e nelle campagne. Tutto deve essere aura. Di conseguenza, an­che questo testo è ‘aura’.

Un giorno, mentre camminava per la campagna, Geyāśata incon­trò il Venerabile Samghanandi[1] e si fermò davanti a lui. Samghanandi gli chiese: “Che cosa tieni nelle mani?” Dobbiamo esaminare questo con attenzione per­ché non si tratta di una semplice domanda. Geyāśata rispose: “La grande aura di tutti i Buddha e Patriarchi, priva di imper­fezioni e impurità. Tu e io possiamo vederla: l’occhio della no­stra mente è il medesimo.”

Se Samghanandi possedeva la grande aura dei Buddha e dei Patriarchi è perché la sua saggezza era limpida come la grande aura. Attra­verso quest’aura tutti i Buddha imparano e sono illuminati, e tutti i Buddha ne sono il riflesso. La grande aura non è soltanto saggezza, né verità, né essenza, né forma. I ricercatori della Via usano le parole ‘Grande aura’, ma questa è diversa dall’aura dei Buddha. I Bud­dha non possiedono soltanto la saggezza, e la saggezza da sola non può essere chiamata Buddha. Dovremmo investigare questo tema: chiarire soltanto la saggezza, non illumina la Via del Buddha. Anche se sappiamo che la grande aura dei Buddha si trova nelle nostre vite, an­cora dovremmo apprenderne il prin­cipio. In altre parole, quest’aura non è qualcosa che possiamo conseguire in questo o nel prossimo mondo, né è uno specchio di giada o di rame, di carne o di midollo.

Le parole di Geyāśata provenivano dall’aura o erano solamente l’interpretazione di un ragazzo? Simili parole non erano state apprese da un maestro o dai sūtra ma dall’aura sorta di fronte a lui. Fin dall’infanzia egli era solito porsi sempli­ce­mente di fronte allo specchio, in completo assorbimento. Il ra­gazzo di fronte allo specchio e lo specchio stesso erano uno, e tali erano nei mondi passati e futuri. La grande aura non è altro che la virtù di tutti i Buddha.

Lo specchio è privo di nubi all’interno e all’esterno, e non c’è alcuna differenza tra dentro e fuori, davanti e dietro. Possiamo ve­dere allo stesso modo entrambi gli aspetti: pos­siamo vedere il nostro occhio e la nostra mente all’interno e all’esterno. Sono la stessa cosa per chiunque. Se sussiste una forma inte­riore l’occhio della mente è lì, e può essere visto. Tutto ciò che si manifesta attorno a noi è uno, e lo stesso vale tanto all’interno quanto all’esterno. Non è se stessi né altro da sé, ma è recipro­camente uno e lo stesso. Il nostro sé e ciò che non è sé, sono la stessa cosa; ciò che non è sé è la stessa cosa del nostro sé. Lo stesso vale per la mente e l’occhio: la mente è mente e l’occhio è occhio. Entrambi sono mente e occhio e lo sono reciprocamen­te l’uno per l’altro. “La mente è mente” si­gnifica la mente di tutti i Patriarchi, e “L’occhio è occhio” si­gnifica che l’occhio di un ri­svegliato è lo stesso occhio di tutti gli altri risvegliati. Questo è il significato delle parole di Geyāśata e il motivo per cui egli incon­trò Samghanandi. Do­bbiamo imparare il significato di tale insegnamento e di tutti gli insegnamenti con­tenuti nelle aure dei Bud­dha e dei Patriarchi. Sono tutti discendenti dell’Antico Specchio.

Il trentatreesimo Patriarca, il Maestro Zen Daikan,[2] nel pe­riodo durante il quale si addestrava nella sala di meditazione sul monte Ōbai, espose al suo maestro il seguente gāthā:

 

Nella condizione della Bodhi,

originariamente non c’è alcun albero,

né il limpido specchio necessita di un supporto.

In origine neppure una cosa esiste:

dove potrebbe dunque posarsi la polvere?[3]

 

Dovremmo chiarire il vero significato di questi versi. La gente chiamava ‘Antico Bud­dha’ il Maestro Zen Daikan, e il Maestro Zen Engo[4] disse: “Venero l’antico Buddha del monte Sōkei.” Do­vremmo riuscire a vedere che la condi­zione di limpido specchio mo­strata da Daikan è indicata dalle parole “In origine, neppure una cosa esiste: dove può dunque posarsi la polvere?” Nell’espressione “Né il limpido specchio necessita di un supporto” trovia­mo la vera essenza, e proprio di questa frase do­vremmo chiarire il punto centrale che è: “Quando lo specchio è limpido, tutto è limpido.” Lo specchio limpido riflette la vera forma e quando ogni cosa è riflessa non rimane nulla. Inoltre, quando sullo specchio non c’è neppure una singola impurità, non vi è impuri­tà in alcuna parte del mondo. Dobbiamo impa­rare questo: il mondo non è un mondo d’impurità. Esso non è altro che l’An­tico Specchio.

Un monaco chiese al Maestro Zen Nangaku Ejō:[5] “Se creiamo un’immagine del Buddha dallo specchio,[6] dove si riflet­terà la luce?” Il Maestro replicò: “Dov’era il tuo volto, prima che tu diven­tassi monaco?” Il monaco chiese: “Se non è nell’immagine del Bud­dha, perché non è riflesso?” Il Maestro rispose: “Non è riflesso. Tutta­via, la vera natura dello spec­chio non cambia.” Quantunque questa risposta non mostri la vera natura di una simile immagine del Buddha, potremmo comunque trovarla nelle parole di Nangaku se cerchiamo il vero signi­ficato dello spec­chio. Lo specchio non è d’oro né di giada, non è lu­cente né pos­siede una qualche forma. Quando esso diventa una cosa sola con la forma, questo è in verità l’ultimo stadio dello specchio.

Il significato della domanda “Dove si rifletterà la lu­ce?” è che lo specchio stesso crea la forma. Vale a dire, l’im­magine riflessa è, in se stessa, creata dallo specchio ed è lo specchio. La domanda del Maestro “Dov’era il tuo volto prima che tu diventassi monaco?” significa che lo specchio riflette lo specchio e chiede: “Quale lato è davvero il nostro?” Le parole del Maestro Nangaku: “Anche se non vi è riflesso, la vera natura dello spec­chio non cambia” signifi­cano che non vi è né riflesso, né inganno. Dovremmo vedere che non c’è interruzione tra le acque dell’oceano, nemmeno in profondità. Non può essere diviso né mosso. Inoltre, dovremmo imparare il principio secondo cui lo  specchio si forma a partire dall’immagine. Comprendendo ciò, ecco che ogni cosa si il­lu­mina e si chiari­sce, senza alcuna ostruzione.

Un giorno il Grande Maestro Seppō Shinkaku[7] disse ai suoi allievi: “L’esperienza del nostro vero sé è come trovarsi di fronte all’Antico Specchio. Qualunque cosa appare è riflessa[8].” Allora Gen­sha gli chiese: “Se d’improvviso appare uno specchio limpido che succede?” Il Maestro rispose: “Tutto ciò che è lì sarà nascosto.” Gen­sha disse: “Ne dubito.” Seppō chiese : “Qual è la tua opinione?” Gen­sha disse: “Ponimi la domanda.” Il Maestro allora gli chiese: “Se improvvisamente appare uno specchio limpido cosa succede?” Gensha rispose: “Si romperà in mille pezzi.” Dovremmo attentamente riflettere su che cosa inten­des­se dire Seppō e, per di più, su cosa sia l’Antico Specchio di Seppō. “É come trovarsi di fronte all’Antico Specchio” significa che una singola forma trascende ogni opposizione; non vi è né dentro né fuori. É il nostro puro sé; in altre parole, il sé verrà lasciato cadere. “Qualunque cosa appare è riflessa” significa che se giunge uno con la barba rossa verrà ri­flesso, e se giunge un cinese verrà riflesso.

Si dice che i Cinesi esistano fin dall’inizio del mondo, ma ciò che Seppō in­tende dire è che si manifesterà una persona che ha il po­tere dell’Antico Specchio. ‘Cinese’ non significa soltanto cinese, ma simboleggia il regno del risveglio. Quando Seppō disse: “Tutto ciò che è lì sarà nasco­sto” avrebbe poi dovuto dire che anche lo specchio sarebbe stato nqascosto. Può darsi invero che la risposta di Gensha “Si frantu­merà in mille parti” mostri la verità, ma vorrei chiedere a Gen­sha di rimettere assieme i pezzi e di porgermi lo specchio limpido. É in grado di farlo?

All’epoca dell’Imperatore Kō[9] esistevano dodici spec­chi. Se­condo la tradizione dei suoi antenati, questi provenivano dal cielo, ma si narra anche che gli fossero stati donati da Kōseishi, del monte Kō- dō. Il principio che regolava questi dodici spec­chi, era il loro utilizzo a rota­zione nel corso dei cicli di dodici ore, mesi e anni. Si diceva che gli specchi fossero i sūtra di Kōseishi. Quando l’Imperatore Kō li ebbe in dono, negli specchi si pote­va vedere l’intero corso del tempo: vi si scorge­va tanto il passato che il presente. Guardando in questi specchi nel corso delle do­dici ore, egli poteva chiarire passato e presen­te. In questo caso, le dodici ore rappresentano le dodici forme dello spec­chio, e le dodici forme stanno a significare i dodici specchi. Tutto il tempo, dal passato al presente, scorre nell’ambito delle dodici ore, e ciò esprime appunto questo principio. Questo è un racconto popolare, ma il principio è iden­ti­co a quello esposto prima,[10] e costituisce la forma di ogni tempo e la forma dell’Antico Specchio.

L’Imperatore Kō chiese a Kōseishi, del monte Kōdō: “Come possiamo purificarci e conseguire una lunga vita?”, chie­dendo con ciò uno speciale insegnamento della trasmis­sione. Kōseishi disse: “Lo specchio è il fondamento del prin­cipio yin-yang nel mondo. Quando ci purifichiamo, vi sono tre generi di specchio: cielo, terra ed esseri umani. Noi non possia­mo vedere né udire questo specchio.[11] Se conser­viamo la mente in una condizione di pace, anche il corpo sarà in pace e in armonia con essa. Serbando la nostra mente calma e pura, non ca­dremo nell’illusione e il nostro spirito non sarà disturbato. Questo è il segreto per ottenere una lunga vita.”

Questi tre generi di specchio veniva­no utiliz­zati molto tempo fa per governare la terra e regolare la grande Via. Coloro che chiari­vano la grande Via erano signori del cielo e della terra. Secondo la credenza popolare, Taishū,[12] della dina­stia Tang, possedeva uno spec­chio costituito dall’immagine ri­flessa del suo popolo, e conosceva il modo di controllare il paese attraverso l’uso di questo specchio. Egli utilizzava uno dei tre generi di specchio: gli esseri umani. Affermare che utiliz­zava gli esseri umani come specchio, significa che egli era soli­to chiedere il parere sul passato e sul presente a risvegliati e saggi quali Gicho e Bōgen­rei.[13] In realtà, Taishū non uti­lizzava il suo po­polo come specchio. Usare gli esseri umani come specchio è fare uno specchio nello specchio, è creare se stessi nello specchio. É fare dei cinque elementi[14] uno specchio, ed è fare uno specchio delle cinque virtù cardinali.[15] Vedere il passato e il futuro della gente, senza essere offu­scati dalle tracce del passato e del futuro, è la vera natura degli esseri umani in qualità di specchio. Che vi sia tra la gente chi vede e chi non vede, è come il clima sulla terra. È di fatto, un feno­meno naturale. L’uomo diventa lo specchio; il sole e la luna,  entrambi sono lo specchio.

In Cina sono gli spiriti delle cinque montagne[16] e dei quattro grandi fiumi[17] che conservano pura la nazione. Questo è il potere dello spec­chio. Il modo di agire di Taishū è compren­dere il popolo e il mo­vimento di cielo e terra. Non è ne­cessario conoscere tutto intellettualmente.

In Giappone, fin dall’età degli dèi, tre specchi e una spada sono stati trasmessi fino ai giorni nostri. Uno specchio si trova nel grande reliquario di Ise, uno nel tempio di Hinosaki e il terzo nel Naijidokoro, nel palazzo imperiale. Sappiamo per­tanto che lo spec­chio è stato trasmesso nel corso della storia di questa nazione. Colui che possedeva lo specchio era l’unico deten­tore del potere. Secondo la leggenda popolare i tre specchi fu­ro­no trasmessi, tutti assieme quali loro rappresentanti, direttamente dagli dèi. Essi fu­rono fatti in rame ben lucidato, secondo il principio dello yin-yang. Questi specchi manifestano il tempo così come si mostra, sia esso pas­sato o presente; se è presente, esprimono il presente, se è passato, esprimono il pas­sato.

L’insegnamento di Seppō è questo: se viene uno da Shiragi, è riflesso Shiragi, mentre la gente giapponese ri­flette il Giappone. Il cielo riflette il cielo e la gente riflette la gente. Abbiamo così studiato il venire e il riflettere, ma non conosciamo il vero significato di ri­flettere in rapporto allo specchio; sempli­cemente, ne facciamo espe­rienza. Non dobbiamo ne­cessariamente studiare argomenti quali il venire in questo mondo o la comprensione di esso. Il punto es­senziale di questo inse­gnamento è che quando uno straniero viene, questi è rifles­so. “Uno straniero viene” significa semplicemente che viene, e “Uno straniero è riflesso” significa solo quello. Egli non viene per essere riflesso. Anche se l’An­tico Specchio è solo l’Antico Specchio, dobbiamo investi­gare questo punto.

Dovremmo approfondire la domanda di Gensha: “Che cosa succede all'improvviso apparire di uno specchio limpido?” Do­vremmo interrogarci intorno al significato di limpido. L’insegnamento di Seppō afferma che chi viene non è neces­sariamente uno straniero, e che lo specchio limpido non riflette sol­tanto stranieri e cinesi.

Appare uno specchio limpido” significa che, se an­che viene uno specchio limpido, non ci saranno due specchi. Dicendo che non ci sono due specchi intendiamo dire che l’Antico Specchio è semplice­mente l’Antico Specchio e che lo specchio limpido non è altro che questo specchio limpido. Tanto l’insegnamento di Seppō quanto quello di Gensha atte­stano che vi sono sia l’Antico Specchio, sia lo specchio limpido. Dovremmo utilizzare questi elementi per investigare la vera natura della Via. Le parole di Gensha: “Appare uno specchio lim­pido” significano completa libertà e una visione piena e chiara. Do­vremmo investigare questo. Dunque, se viene qualcuno, accettatelo e fategli buona acco­glienza in completa libertà.

Il ‘limpido’ di limpido spec­chio e l’‘antico’ di Antico Specchio, sono la stessa cosa o sono due cose diverse? Non dovremmo pensare che i princìpi dell’Antico Specchio siano presenti nello specchio limpido, e viceversa. Dobbiamo comprendere che le parole “Antico Specchio” non necessaria­mente implicano un ‘limpido’. Questo insegnamento vale per chiunque, in qualun­que luogo. É lo stes­so principio che era valido per i Patriarchi indiani e noi dobbiamo addestrarci allo scopo di comprenderlo chia­ramente. I Buddha e i Patriarchi af­fermano che dovremmo lucidare l’Antico Spec­chio, ma io vorrei chiedere: “È mai stato fatto finora?” Dobbiamo studiare diligente­mente le parole e la Via dei Buddha e dei Patriarchi.

Seppō rispose alla domanda di Gensha dicendo: “Tutto ciò che è lì sarà nascosto.” Ciò significa che, quando lo specchio è limpido, sia il cinese che lo straniero saranno na­sco­sti. Qual è tuttavia il significato di “Entrambi saranno na­scosti?” Quando lo specchio limpido compare, assorbe l’Antico Specchio così che entrambi scompaiono nella forma. Se, nell’antico Specchio, sia lo stra­niero sia il cinese vengono e sono riflessi, come accade che quando lo specchio limpido compare e chiarifica se stesso, lo straniero e il cinese che erano ri­flessi nell’Antico Specchio sono nascosti?

Secondo la spiegazione di Seppō, l’Antico Specchio ha una sola faccia, e così pure lo specchio limpido. Quando compare il vero specchio limpido, lo straniero e il ci­nese che sono riflessi nell’Antico Specchio devono essere na­scosti. Dobbiamo comprendere questo punto. L’insegnamento che: “Qualunque cosa appaia sarà ri­flessa” significa che il venire e il riflettersi non esistono né al di fuori dello specchio, né dietro allo specchio, né in nessun’altra cosa che appaia e si rifletta contemporaneamente allo specchio. Al di fuori dello spec­chio non vi è né un apparire né un riflette­rsi. Dobbiamo comprendere questo punto. Quando il cinese e lo straniero vengono e sono riflessi, si tratta del loro venire e riflettersi nell’Antico Specchio. Quando en­trambi sono na­scosti, il principio dello specchio di cui dob­biamo essere consa­pevoli è che non conosciamo il significato del ri­flettersi o dell’apparire. Ciò produce in noi abbastanza confusione.

In quell’occasione Gensha disse: “Ne dubito” e Seppō replicò: “Qual è la tua opinione?” Gensha rispose: “Ponimi la do­manda.” Non dobbiamo semplicemente considerare questo come una domanda posta a Gensha. Seppō e Gensha, dimostrando la pro­fon­dità della loro compren­sione, continuarono ad interrogarsi l’un l’altro. Quando Gensha chiese a Seppō di porre la domanda, egli era già in una condizione priva di io. Replicando a Gensha, Seppō ripeté la domanda: “Che succede se d’improvviso appare uno specchio limpido?” Queste domande mostrano quale sia lo stadio dell’Antico Specchio investigato dal maestro e dall’allievo.

La risposta di Gensha “Si frantumerà in mille parti”, significa che esso si spezza in centinaia di migliaia di pezzi. In al­tre parole lo specchio limpido, nel momento in cui improv­vi­samente compare, si frantuma. Indagare su queste parti è, ciò stesso, lo specchio limpido. Se cerchiamo di afferrare lo specchio limpido, certamente si frantu­merà in molti pezzi. Frantumarsi in pezzi è, ciò stesso, lo specchio lim­pido. Non dobbiamo fare congetture sul fatto che esista un tempo, nel pas­sato o nel futuro, in cui esso non si frantuma: semplice­mente si frantuma.

Questi pezzi non sono altro che pezzi. Ma quando diciamo ‘pezzi’ stiamo parlando dell’Antico Specchio, o dello specchio lim­pido? Dobbiamo interrogarci ulteriormente su questo e ve­dere che non stiamo solo parlando dell’Antico Specchio, o dello specchio limpido. Pur comprendendo la discus­sione sull’Antico Specchio e lo specchio limpido, dovremmo ancora prendere in considerazione l’opinione di Gensha che l’Antico Specchio, o lo specchio limpido, nasconde ogni cosa, e poi tutto si frantuma. Dobbiamo chiedere: “Qual è la natura di quei pezzi?” Questa è una condizione profonda come la luna nella vasta e infinita distesa del cielo.

Un giorno, mentre stavano parlando tra di loro, il Grande Maestro Seppō Shin-kaku[18] e il Maestro Zen Sanshō Enen[19] videro un gruppo di scimmie. Seppō disse: “Ognuna di quelle scimmie porta sul dorso l’Antico Specchio.” Dovremmo investigare a fondo questa af­fermazione di Seppō. Cos’erano real­mente le scimmie viste da Seppō? Se ci poniamo questa do­manda potremmo anche arrivare a capire, ma non dovremmo preoccuparci se questo richiederà molto tempo.

Ognuna di esse porta l’Antico Specchio sul dorso” significa che l’Antico Specchio, pur essendo quello dei Buddha e dei Patriarchi, e anche in presenza di un mutamento, è ancora l’Antico Specchio. Dicendo che ogni scimmia porta sul dorso l’Antico Specchio, intendiamo dire che lo specchio non ha una dimensione de­finita; semplicemente è l’Antico Specchio. Le pa­role “Porta sul dorso” sono, per esempio, come quelle che si tro­vano sul retro di un’immagine del Buddha. Ciò che è sul dorso delle scimmie è l’Antico Specchio. Quale tipo di colla è stato usato in questa occasione? Cer­cate di rispondere a questo: se ciò che è sul dorso della scimmia è l’Antico Specchio, cosa c’è sul dorso dell’Antico Specchio? Una scimmia? Quello che è sul dorso dell’Antico Specchio è l’Antico Spec­chio, e ciò che è sul dorso della scimmia è la scimmia. Le parole “Ognuna porta l’Antico Specchio sul dorso” non sono un’invenzione bensì la manifestazione della verità.

Eppure, cos’è ciò di cui stiamo parlando? É una scim­mia o un Antico Specchio? Siamo scimmie? Oppure non siamo scimmie? C’è un qualche scopo nel fare questa do­manda? Che lo siamo o che non lo siamo, né noi né gli altri lo sappiamo. Il punto essenziale è che noi siamo semplicemente noi stessi e che non è necessario cercare al­tro.

Sanshō disse: “Non possiamo dare un nome a cose che sono eterne. Perché è chiamato l’Antico Specchio?” L’interpretazione data da Sanshō dell’Antico Specchio, è questa.

Cose che sono eterne” significa cose presenti prima del ri­sveglio della nostra mente, e la cui forma non si è manifestata fin dall’inizio del tempo. “Non possiamo dare un nome” equivale a sole, luna, Antico Specchio e specchio limpido. “Non possiamo dare un nome” rappresenta ciò a cui non possiamo dare un nome perché eterno. Se, peraltro, le cose eterne non sono eterne, le parole di Sanshō non mani­festano la verità. Tuttavia, “L’ini­zio del tempo” significa in realtà il presente. Senza questo pre­sen­te non possiamo studiare la Via. Di fatto, “Non possiamo dare un nome a cose che sono eterne” ha un profondo signifi­cato. Perché è necessario chia­marlo Antico Specchio? Ogni co­sa è nient’altro che l’Antico Specchio.

In quel frangente Seppō avrebbe dovuto rispondere a San­shō: “É l’Antico Specchio.” Invece affermò: “É apparsa una macchia.” In altre parole vi era una macchia sullo specchio. Questo significa che non possiamo dare un nome a cose che so­no eterne, dunque, questo è una macchia. Una macchia sull’Antico Specchio è lo specchio intero, e Sanshō restò nello stadio dello specchio macchiato e la sua com­prensione restò quella dello specchio macchiato. Tuttavia dovremmo imparare che la macchia si manifesta nello specchio e che ciò che pro­duce la macchia è lo specchio. Questo significa studiare l’Antico Spec­chio.

Sanshō disse: “Perché sei così precipitoso, quando non hai neppure capito cosa intendessi dire?” Il senso di queste pa­ro­le sta in “Perché sei così precipitoso?” Significa oggi o do­mani, noi stessi o gli altri, il mondo intero o l’Impero cinese? Dovrem­mo chiarire ciò, com­pletamente. “Quando non hai nep­pure capi­to cosa intendessi dire” ha diversi significati: alcuni possono es­sere compresi attraverso le parole stesse, alcuni non possono es­sere compresi grazie alle parole, altri sono com­presi senza parole. Qui, il principio dell’Antico Spec­chio è manifestato nelle stesse parole. Non è come le parole di Śākyamuni: “Io sono ri­svegliato unitamente e contemporanea­mente all’intero Uni­verso.”

C’è qualche altro modo per esprimere questo?

Quando non comprendiamo, siamo soliti utilizzare la frase: “Non lo so.” É la stessa espressione che usò Bodhidharma durante l’in­contro con l’Imperatore Bu di Ryō. Quando questi chiese: “Chi sei tu, che sei qui innanzi a me?” Bodhidharma, dritto in piedi davanti a lui, ri­spose: “Non lo so.”[20]

In questo modo, il soggetto può trovarsi davanti a noi, ep­pure eludere ancora la nostra comprensione intellettuale. Il fatto di non riuscire  a trovare le parole non significa che non ci siano parole per descriverlo. Significa semplicemente che non comprendiamo e che non siamo consapevoli della nostra mente in ogni istante. Una chiara comprensione può manifestarsi solo quando cessiamo di essere ego­centrici.

Seppō disse allora: “Io, il vecchio monaco, ho sba­gliato.” Questa frase può essere usata per indicare il proprio er­rore ma qui non ha questo significato. In questo caso, “Vecchio monaco” è simile al ri­spettato capo di una casata, qualcuno che non occupa il suo tempo soltanto in cose insigni­ficanti, e che con ardore studia soltanto il “Vec­chio monaco.”[21] Vi possono essere molte forme diverse, alcu­ne anche si­mili a dèmoni, ma noi dovremmo studiarne una sola, quella del “Vec­chio monaco.” Buddha e Patriarchi possono comparire e mani­festarsi in qualsiasi momento ma noi do­vremmo semplicemente studiare que­sto “Vecchio monaco.” Le parole “Ho sbagliato” indi­cano che egli era occupato proprio in questo.

È necessario ricordare che Seppō era allievo di Tokusan, e che Sanshō era discepolo di Rinzai. Questi due eminenti monaci, che ap­partenevano en­trambi a due eccellenti linee d’insegnamento, una de­rivante da Seigen e l’altra da Nangaku,[22] continuarono a trasmettere l’Antico Specchio. Essi sono due veri e propri esempi, e dovremmo studiarli a lungo. Seppō disse una volta ai suoi allievi: “Se il mondo è largo uno jo,[23] l’Antico Specchio è largo uno jo, se il mondo è largo uno shaku[24] l’Antico Specchio è largo uno shaku.” Il suo allievo Gensha indicò il braciere e disse: “Allora quanto è grande il braciere?” Seppō rispose: “Ha le stesse dimensioni dell’Antico Specchio.” Gen­sha, di rimando, disse: “Vecchio monaco, i tuoi piedi non toccano terra.”

Quando Seppō dice che il mondo è uno shaku, allora il mondo è uno shaku; quando dice che è uno jo, è uno jo. In questo caso stiamo utilizzando jo e shaku come semplici, ordinarie unità di misura. Volendo approfondire l’argomento, sappiamo che normal­mente si afferma che i mondi sono innumerevoli, senza limiti né con­fini. Anche dicendo ciò, tuttavia, si mostra solo una piccola parte del nostro stesso mondo come se ci si limi­tasse a parlare del villaggio vicino. Perciò Seppō disse che quando il mondo è uno jo, lo Specchio è uno jo.

Investigando questo “Uno jo”, dovremmo considerarlo come una parte del mondo. Udire l’insegnamento sull’Antico Spec­chio è come vedere un sottile strato di ghiaccio e niente più. Ciò nonostante, questa misura è la stessa di quella del mondo infinito; questa è la loro natura, e noi dovremmo confrontarli e chiarirli entrambi. É possibile che siano uguali?

L’Antico Specchio non è simile ad un gioiello, e non do­vremmo concepirlo come luminoso o oscuro, quadrato o ro­tondo. Anche se il mondo fosse un gioiello splendente, anco­ra non eguaglie­rebbe l’Antico Specchio. L’Antico Specchio non ha alcun rapporto con stranieri e cinesi: si limita a riflettere l’oriz­zontale e il verticale. Non c’è relazione con molto o con grande, non c’è rapporto con la dimensione. Parlando di dimensioni di solito intendiamo, ad esempio, due o tre decimetri o, in numeri, sette, otto, e così via. Tutta­via nella Via del Buddha, quando delle quantità compaiono in un contesto in cui non siamo più attaccati neppure all’illuminazione, que­ste trascendono i numeri, siano essi due, tre o qualsiasi altro e, dal punto di vista dei Buddha e dei Patriarchi, esprimono la totali­tà. Dun­que, “Uno jo” è l’Antico Specchio, e la larghezza dell’An­tico Specchio è tota­le.

La domanda di Gensha: “Quant’è grande il braciere?” è una domanda ovvia che tuttavia dovremmo investigare. Esprime il princi­pio dell’Antico Specchio e ha un profondo si­gnificato. Pensando al braciere, da quale punto di vista do­vremmo porci? Il braciere che Gensha sta guardando non è soltanto un oggetto alto un metro o un metro e mezzo; egli lo sta vedendo dal punto di vista di un Buddha e ciò comporta una visione diversa da quella normale. É simile alle domande: “Chi sei? Da dove vieni?”

La domanda implica una risposta e la dimensione del bra­ciere implica già una risposta. Pensando alla parola ‘dimensione’, non dovremmo correlarla ai normali concetti le­gati all’estensione. Essa esprime un principio trascendente di cui non dobbiamo dubitare. Do­vremmo studiare l’essenza dell’inse­gnamento di Gensha, secondo cui  dimensione e forma del braciere non sono importanti. Non do­vremmo ag­grapparci al termine braciere. Dobbiamo spezzare il no­stro attaccamento; questo dovrebbe essere il nostro addestra­mento.

Seppō disse: “É grande quanto l’Antico Specchio.” Dovremmo tranquillamente riflettere su questo. Se diciamo che il braciere è largo uno jo, gli attribuiamo un numero. Dire che la risposta “Uno jo” è giusta, e la risposta “Grande quanto l’Antico Specchio” è sba­gliata, sarebbe un errore .

Dobbiamo riflettere sulle implicazioni di “É grande quanto l’Antico Specchio.” Molti potrebbero pensare che se non si risponde che la larghezza è di uno jo, la risposta è in­suffi­ciente. Dobbiamo riflettere su significato e peculiarità di ‘larghezza’, e sull’Antico Specchio come parte di questo mondo e della nostra esistenza quotidiana. Inoltre, non dovremmo dimenticarci di agire all’unisono con l’Antico Specchio e farne esperienza nella nostra vita di ogni giorno proseguendo con ardore il nostro addestramento.

Gensha allora replicò: “Vecchio monaco, i tuoi piedi non toccano terra.” In questo caso, “Vecchio monaco” non è necessariamente riferito a Seppō, perché nei confronti di Seppō non è obbligato­rio usare il titolo “Vecchio monaco.”

Dovremmo chiarire il significato di ‘piedi’. Investi­giamone il significato. É forse l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, l’Universo, il mondo infinito o la vera essenza della Via? Quante cose è? Una, mezza, diversi mi­lioni? Dovremmo chiarire questo molto se­riamente.

Egli disse: “Non toccano terra.” Cos’è questa terra? Per molto tempo, nel modo comune di parlare, è stato nominato così il pa­ese che appunto  chiamiamo “Grande terra.” Nondi­meno, può essere considerata come l’ingresso al mera­viglioso ri­sveglio della verità, e la Via della prassi di tutti i Buddha. Dun­que, quale genere di terra è quella su cui posiamo i piedi? Esiste o no? Esiste, nella grande Via, an­che un solo gra­nello di questa terra? Dovremmo coltivare un dubbio ininter­rotto su questo. Dobbiamo interrogare noi stessi e gli altri.

I piedi toccano terra, i piedi non toccano terra. Da do­ve viene il giudizio: “I piedi non toccano terra?” Quando la grande Via non ha un solo granello di terra, i nostri piedi non possono toccare terra, né non-toccare terra. Dunque, “Vecchio monaco, i tuoi piedi non toccano terra” esprime la condizione del vecchio monaco e l’azione dei piedi.

Un monaco chiese al Maestro Zen Kokutai Kōtō,[25] del monte Kinka nel Bushū: “Quando l’Antico Specchio non è lu­ci­dato, cos’è?” Il Maestro rispose: “L’Antico Specchio.” Il mo­naco continuò: “E che cos’è dopo che è stato lucidato?” Il Maestro ri­spose: “L’Antico Specchio.”

Dobbiamo così comprendere che vi è un tempo in cui esso è lucido, un tempo in cui non è lucido, un tempo successivo all’essere stato lucidato, e che tutti questi sono l’Antico Specchio. Quando è lucidato, dunque, la totalità dell’Antico Specchio è lucidata. Non è lucidato dallo stesso Antico Specchio, né dal mercurio, né da una qualsiasi al­tra sostanza. L’Antico Specchio è lucidato dalla sua stessa manifesta­zione. Quando non è lucido, l’Antico Specchio non è opaco. Sempli­cemente esso opera come l’Antico Specchio. Generalmente, luci­dare lo specchio è di per sé lo specchio stesso, lucidare una tegola è di per sé lo specchio, lu­cidare una tegola è di per sé la tegola, lucidare lo spec­chio è di per sé lo specchio. Se ci addestriamo e luci­diamo senza alcuno sforzo cosciente, e continuiamo a farlo illimitatamente, que­sto sarà la nostra vita quotidiana e le azioni dei Buddha e dei Patriar­chi.

Molto tempo fa, Baso del Kōsei[26] studiò sotto Nangaku e que­sti gli trasmise in segreto il sigillo dell’illuminazione. L’origine dei commenti sullo specchio e la tegola è questa. Baso restò ininterrottamente nel tempio di Denpo per oltre dieci an­ni, addestrandosi con ardore allo zazen. Dovremmo soffermarci sul fatto che egli non smise mai di sedere in zazen, anche se vento e pioggia pe­netravano nella capanna dello zazen, che spesso era incrostata di neve ghiacciata.

Un giorno Nangaku entrò nella capanna di Baso. Baso si alzò in piedi e lo salutò. Nangaku chiese: “Che cosa hai fatto ultima­mente?” Baso rispose: “Non ho fatto altro che sedere in zazen.” Allora Nangaku gli chiese: “E perché siedi continua­mente in zazen?” Baso rispose: “Siedo in zazen per diventare un Buddha.” Nangaku, allora, prese in mano una tegola e co­minciò a strofinarla con un’altra tegola, raccolta vicino alla ca­panna. Vedendo questo, Baso chiese: “Maestro, che stai fa­cendo?” Nangaku rispose: “Sto lucidando la tegola.” Baso chie­se: “E perché stai lucidando la tegola?” “Per farne uno spec­chio” fu la risposta. Baso disse: “Come puoi fare uno specchio, luci­dando una tegola?” Nangaku replicò: “Come puoi diven­tare un Buddha, se­dendo in zazen?”

Coloro che attraverso i secoli hanno studiato questo importante dialogo, hanno creduto che Nangaku stesse incorag­giando Baso; le cose non stanno necessariamente così. Semplicemente, le azioni di un grande saggio trascendono il li­vello della gente comune. Se un grande saggio come Nangaku non usasse mezzi abili quali il lucidare una tegola, come potrebbe gui­dare gli uomini? Un simile grande potere è l’essenza dei Bud­dha e dei Patriarchi. Anche se si trattasse solo di un metodo empirico, ancora sarebbe un importante espediente. Senza tali espedienti non si sarebbe potuta trasmettere la Via. Inoltre, Nan­gaku continuò, senza posa, a guidare Baso. Grazie a questo episodio possiamo comprendere che Nangaku trasmise correttamente e direttamente il vero merito dei Buddha e dei Patriarchi.

Dobbiamo comprendere che quando la tegola è lucida­ta essa è lo specchio; allora Baso è Buddha. Quando Baso è Bud­dha, Baso diventa immediatamente Baso. Quando Baso è Baso, il suo zazen diventa im­mediatamente zazen, perciò l’essenza dei Buddha e dei Pa­triar­chi è lucidare la te­gola per farne lo specchio. Parimenti, la tegola diventa l’Antico Specchio e nel lucidare lo specchio troviamo la pura e incontaminata pra­ssi. Questo viene fatto non perché vi sia della polvere sulla tegola: sempli­cemente si lucida la tegola a suo proprio benefi­cio.[27] In questo si realizza il potere di diventare specchio. Tale è il fon­damento della prassi e dell’investiga­zione dei Buddha e dei Patriarchi. Se non riusciamo a realizzare lo specchio luci­dando una tegola, non possiamo realizzare lo specchio neppure lucidando lo specchio. Chi comprende ciò? La realizzazione del Bud­dha e l’attualizzazione dello specchio stanno nell’azione stes­sa. Se dubitiamo di questo, non sarà forse perché, erroneamente, luci­diamo lo specchio come se fosse una tegola?

Mentre Nangaku stava lucidando la te­go­la, la situazione non era paragonabile a nessun’altra. Dunque, il suo inse­gna­mento fu pro­prio quello giusto. In altre parole, lucidare la tegola produce di per sé lo specchio.

Oggi, per realizzare lo specchio, la gente dovrebbe racco­gliere tegole e lucidarle. Se la tegola non diventa specchio, la gente non diventerà Buddha. Se, scioccamente, le persone pensano che una tegola sia es­senzialmente una zolla di terra, anch’esse sono essenzialmente zolle di terra. Se un essere umano possie­de una mente, allora anche una tegola possiede una mente. Chi altri sa che quando una tegola compare c’è uno specchio a ri­fletterla, e che quando compare uno spec­chio c’è uno specchio a riflet­terlo?

 

 

Trasmesso all’assemblea, nel Kannondōri del Koshō-hōrin-ji, il 9 settembre 1241, e ricopiato a Sandanrin, il 13 gennaio 1243.

 



[1] Il diciassettesimo Patriarca, noto anche come Sōgya Nandai.

[2] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]

[3] Nei templi, era usanza che chi volesse esprimere un pensiero, lo potesse fare utilizzando un’apposita bacheca. Jinshū una notte, segretamente affisse questa poesia: “Il corpo è l’albero della Bodhi,/ La mente è come il supporto di un chiaro specchio./ Continuamente lavoriamo per pulirlo/ Così da mantenerlo libero da polvere e sporcizia.” Il Maestro Enō, che non sapeva leggere, udendo recitare questi versi e non ritenendoli validi, in risposta fece scrivere questa sua poesia.

[4] Il Maestro Engo Kokugon (1063-1135), nella linea di trasmissione del Maestro Yōgi Hōe. Ha scritto la “Raccolta della Roccia Blu”. [Yüan-wu K’o-ch’in]

[5] Il Maestro Nangaku Ejō (677-744), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. [Nan-yüeh Huai-jang]

[6] Bisogna ricordare che, in quei tempi, gli specchi erano ottenuti dalla lucidatura di una fusione in bronzo o rame, che era lo stesso materiale utilizzato per la fusione delle statue.

[7] Il Maestro Seppō Gison (822-907), uno dei due successori del Maestro Tokusan Senkan. Shinkaku Zenji è il suo titolo postumo. [Hsüeh-feng I-ts’un]

[8] Lett. “Se si presenta uno straniero, viene riflesso uno straniero. Se si presenta un cinese, viene riflesso un cinese.”

[9] L’Imperatore Giallo (2697 a.C.- 2597 a.C.).

[10] Del cinese riflesso nello specchio.

[11] Ha cioè una base intuitiva.

[12] Il secondo Imperatore della dinastia Tang. Regnò dal 627 al 650.

[13] Erano questi due alti ufficiali del suo governo.

[14] Legno, fuoco, terra, metallo, acqua.

[15] Le cinque virtù cardinali sono: benevolenza, giustizia, educazione, saggezza, fedeltà.

[16] Le cinque montagne sono: Taisan, Kasan, Eisan, Kōsan e Sūzan.

[17] I quattro grandi fiumi sono: Yangtze, Hwang Ho, Junsui, e Saisui.

[18] Il Maestro Seppō Gison (822-907), uno dei due successori del Maestro Tokusan Senkan. Shinkaku Zenji è il suo titolo postumo. [Hsüeh-feng I-ts’un]

[19] Il Maestro Sanshō Enen (?), uno dei successori del Maestro Rinzai Gigen (?-867). [San-sheng Hui-jan]

[20] Si veda il cap. 16, Gyōji.

[21] Cioè se stesso.

[22] Il Maestro Seigen Gyōshi (660-740) e il Maestro Nangaku Ejō (677-744) erano entrambi discepoli del Maestro Daikan Enō.

[23] Misura giapponese equivalente a circa 3 metri.

[24] Misura giapponese equivalente a circa 30 centimetri.

[25] Il Maestro Kokutai Kōtō (?), un successore del Maestro Gensa Shibi (835-907).

[26] Il Maestro Baso Dōitsu (704-788), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō.  Daijaku Zenji è il suo titolo postumo. [Ma-tsu Tao-i]

[27] Cioè, senza ulteriore scopo.