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(59)

KAJŌ

La Vita Quotidiana

 

 

In questo capitolo il Maestro Dōgen, sgomberando il campo da qual­siasi nostra presunzione, ci mostra come la sacralità del vivere spiri­tuale non consista in altro che nell’esplicare le più normali attività quotidiane quali indossare gli abiti, assumere i pasti, andare di corpo. Ben lungi dall’essere riduttiva, questa natura semplice e ordinaria è la più pura manifestazione del risveglio.

 

La Via dei Buddha e dei Patriarchi è bere tè e man­giare riso; questa è la tradizione della loro stirpe. Il giusto modo di bere tè e mangiare riso è stato continuamente tramandato fi­no ai giorni nostri. Questo è il modo in cui i Buddha e i Patriar­chi attuano sia il bere tè, sia il mangiare riso.

Una volta, il Sacerdote Dōkai[1] del monte Taiyō, chiese al suo Maestro Tōsu Gisei:[2] “L’attività quotidiana dei Buddha e dei Pa­triarchi di bere tè e mangiare riso, è la loro es­senza? Vi è altro al di là di ciò?” Tōsu rispose: “Lascia che ti chieda se pensi sia necessario per i Signori delle Province di Wo, To, Gyo e Shun[3] di ricercare il po­tere, visto che il dominio imperiale si estende su tutto il Paese?” Taiyō stava per rispon­dere, ma Tōsu appoggiò il suo hossu[4] sulla bocca di Dōkai e disse: “Avresti dovuto ricevere trenta colpi quando sei venuto qui, la prima volta, per interrogarmi!” Sentendo ciò, Taiyō fu illuminato, si inchinò e fece per andarsene. Tōsu lo ri­chiamò: “Ehi! Torna indietro!” ma Taiyō non si voltò. Più tardi Tōsu chiese a Taiyō: “Hai raggiunto la condizione in cui non sus­siste più alcun dubbio?” Taiyō si coprì le orecchie e corse via.

Tenete a mente che i Buddha e i Patriarchi esprimono il loro sé reale nelle attività quotidiane di bere tè e mangiare ri­so. Que­ste attività costituiscono l’autentica vita dei Buddha e dei Patriarchi, così come essi hanno sempre insegnato; al di là di questo non vi è alcuna Via. E non dobbiamo cerca­re di prendere a prestito il potere dei Buddha e dei Patriarchi. Ecco perché è necessario chiarire sia la domanda di Taiyō sia l’affermazione di Tōsu, sui Signori delle Pro­vince. Una volta chiarito, ciò dovrà essere trasceso, ma siate certi di chiarire an­che il significato di trascendenza.

Il Grande Maestro Sekitō[5] del monte Nangaku, disse: “Vivo in un eremo che non contiene nulla di valore. Dopo aver mangiato, se ho sonno dormo.” Il venire e l’andare della Via e “Dopo aver mangiato” indicano ciò che i Buddha e i Patriarchi considerano come la loro propria essenza: bere tè e mangiare riso. Non mangiando il riso dei Buddha e dei Patriarchi, né voi né loro potrete essere sod­disfatti. Perciò, il principio “Dopo mangiato, se ho sonno dormo” è realizzato prima, durante e dopo il pasto. Non pensate che dopo il pasto non vi sia bere tè o mangiare riso. Questo è uno studio denso di significato.

Il mio defunto Maestro Nyojō, ad un’assemblea di monaci disse: “C’è un vecchio kōan. Una volta un mona­co chiese al Maestro Zen Hyakujō: ‘Qual è la cosa più impor­tante al mondo?’ Hyakujō rispose: ‘Sedere da solo su questa montagna.’ Non stupitevi di questa risposta. Quando ci sediamo dobbiamo sforzarci di superare Hyakujō. Se qualcuno mi po­nesse la stessa domanda direi: ‘Niente’ oppure ‘Portare la mia ciotola per le elemosine da Jojiji al monte Tendō, ed usarla per mangiare il riso’.”

Nell’attività quotidiana dei Buddha e dei Patriarchi pos­siamo trovare la cosa più importante: “Sedere da solo su questa mon­tagna.” Balzare fino al livello di Hyakujō, anche questa è la cosa più importante. La cosa veramente eccellente, tuttavia, è: “Portare la mia ciotola per le elemosine da Jojiji al monte Tendō, ed usarla per man­giare il riso.” Nel comprendere che ogni nostra azione ha la stessa importanza del mangiare riso, abbiamo trova­to la cosa più impor­tante. Bere tè e mangiare riso è esattamente l’equivalente che sedere da soli su una montagna. La ciotola per le elemosine è usata per mangiare il riso, e per mangiare il ri­so è necessaria una ciotola per le elemosine. La ciotola usata a Jojiji è la stessa di quando si mangia il riso sul monte Tendō. “Quando restate nau­seati dal riso, ne conoscete il vero sapore. Quando avete mangia­to troppo riso, ne ri­manete nauseati. Dopo averne conosciuto il sapore, vi stancate del riso e poi, dopo che ve ne siete ben stancati, potete assaporarlo.”

Che cos’è una ciotola per le elemosine? Non è soltanto un pezzo di legno, né semplicemente una ciotola laccata o qualcosa di pietra, o di metallo. Ha un significato che trascende la sua forma. Essa è senza fondo e può bere l’intero Universo che, a sua volta, l’accoglie con un gasshō.[6]

Nel Jōdo Zenin dello Zuiganji, nel Daishū, il mio defunto Maestro, una volta, si rivolse ad un’assemblea di monaci e disse: “Quando siete affamati, mangiate. Quando siete stanchi, dor­mi­te. Fate fiammeggiare il vostro cuore nel cielo.” ‘Affamati’ qui rappre­senta l’attività quotidiana dei Buddha e dei Patriarchi di bere tè e mangiare riso. Dovremmo essere noi quelli che mangiano quel riso. ‘Stanchi’ è spossatezza totale. Nulla è lasciato, perciò corpo e mente sono unificati; allora tutta la stanchezza scom­pare ed ogni vostra azione è perfetta e completa.[7] Quando dormite così, dormite come l’occhio del Buddha, l’oc­chio del Dharma, l’occhio della prajñā,[8] l’occhio dei Patriarchi, e come l’occhio di un pilastro rotondo e di una lanterna di pietra.

Il mio defunto Maestro fu invitato a Jojiji, nel Rinanfu. Prima di lasciare lo Zuiganji, entrò nella sala del Dharma e disse: “Per un periodo di sei mesi sono rimasto su questa montagna man­giando e sedendo in zazen; tutt’intorno tranquillità e dirupi coperti di nebbia e foschia. Una volta, mentre sedevo, il tuono rimbom­bò nella valle e il cielo si oscurò. Pure, anche in un caso simile, aleggia la fragranza della primavera – tutto intorno fioriscono di un magnifico cremisi gli albicocchi.” L’insegnamento dei Patriarchi è un amplia­mento dell’in­segnamento dei Buddha: man­giare e sedere in zazen. In questa frase è realizzata la trasmissione della vita e della saggezza del Buddha. ‘Sei mesi’ è lo stesso che ‘mangiando’. Non possiamo neppure accingerci a valutare lo spessore della foschia e della nebbia che sono disperse dallo zazen; improvvisamente ri­suona netto il tuono, l’oscurità si dif­fonde e la luce della prima­vera tinge gli albicocchi di un magni­fico cremisi. Questa capitale è molto ben ordinata e splendente. Mangiare è quiddità, e la mon­tagna è lo Zuiganji.

In un’altra occasione, il mio defunto Maestro disse ai mo­naci raccolti nella sala del Buddha dello Zuiganji, presso Keigenfū, nel Minshu: “La dorata, sublime immagine del Buddha non è altro che indossare il kesa e mangiare riso. Ecco perché mi prostro davanti a tutti voi. Svegliatevi col Buddha e ritiratevi col Buddha. Non è forse giusto? Anche la proclamazione della Legge da parte del Bud­dha, per quarantanove anni, non può es­sere paragonata alla vostra vita quotidiana nel monastero. Il fatto che Śākyamuni abbia solle­vato il fiore, non si­gnifica nulla, se non vivete così.”[9]

Tutti i monaci devono comprendere che l’immagine dorata del Buddha non è altro che indossare il kesa e mangiare riso, e man­giare riso e indossare il kesa. Non vi è alcuna diffe­renza tra qual­cuno che indossa un kesa e mangia riso e la subli­me immagine del Buddha. Indossare il kesa e mangiare riso è l’unica Via. È perciò che Nyojō si prostrava davanti ai monaci. Entrambi mangiavano lo stesso riso. A questo livello, anche sollevare il fiore non è necessario.

Il Maestro Zen Enchi[10] del tempio Chōkeiin, nel Fukushū, salì sulla piattaforma dell’insegnamento e s’indirizzò così ai monaci: “Ho vissuto sul monte Isan per più di trent’anni. Non ho fatto altro che mangiare riso e andare di corpo. Non ho im­parato nulla dal mio Maestro Isan. Tutto ciò che ho realizzato è stato addomesticare un bufalo d’acqua. Quando vagava per i campi lo riportavo indietro e, se pascolava troppo, lo picchiavo con la mia frusta. Dopo poco tempo era abbastanza addomesticato. L’unico problema era che avrebbe se­guito chiunque lo avesse chiamato. Ora invece, è diventato un bue bianco che mi sta sempre vicino ed è sempre sereno e radioso. Anche se cerco di scacciarlo, non si muove.” Dovremmo riflettere atten­ta­mente su questa storia. Per più di trent’anni Enchi studiò sotto il suo Maestro Isan e l’unica cosa che fece fu solo mangiare ri­so. Se riu­scite ad intuire il reale significato del mangiare riso, scoprirete il si­gnificato del bufalo d’acqua.

Il Grande Maestro Jōshū Shinsai[11] chiese a uno dei suoi nuovi discepoli: “Sei già stato qui, prima?” “Si” rispose il monaco. “Prendi una tazza di tè prima di andare” gli disse Jōshū. Pose poi la stessa domanda ad un altro monaco: “Sei già stato qui, prima?” “No” rispose il monaco. “Prendi una tazza di tè prima di andare” gli disse Jōshū. Più tardi, un sacerdote assistente domandò a Jōshū per­ché avesse dato la stessa risposta ad entrambi i monaci. Jōshū gridò: “Ehi, tu!” “Si” rispose l’assistente. “Prendi una tazza di tè prima di andare.”

In questa storia, ‘qui’ non è in relazione con la testa o con le narici dei Buddha e dei Patriarchi, né ha nulla a che vede­re con Jō­shū. ‘Qui’ è trasceso, per cui non possiamo dire ‘sono stato qui’ o ‘non sono stato qui’. Entrambi sono ‘qui’. A pro­po­sito di ciò, Nyojō disse: “Come si può dare il benvenuto a Jōshū con una tazza di tè, in un edificio lussuoso dove si sta bevendo sake?” Possiamo così vedere che la vita quotidiana dei Buddha e dei Patriarchi si trova nel bere tè e nel mangiare riso.

 

 

Trasmesso ai monaci, il 17 dicembre 1243, tra le montagne  dell’Echizen.

Trascritto da Ejō, l’anno successivo, nell’allog­gio del discepolo principale.



[1] Il Maestro Fuyō Dōkai (1043-1118), nella linea di trasmissione del Maestro Tōzan. [Fu-jung Tao-chieh]

[2] Il Maestro Tōsu Gisei (1032-1083), nella linea di trasmissione del Maestro Tōzan Ryōkai. [T’ou-tzu I-ch’ing]

[3] Sono questi i nomi di quattro antichi imperatori.

[4] Lo scacciamosche cerimoniale.

[5] Il Maestro Sekitō Kisen (700-790), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō. [Shih-t’ou Hsi-ch’ien]

[6] Lett. “Con il palmo delle mani unito”. Si tratta di un saluto tradizionale, nei monasteri. Le mani giunte sono tenute all'altezza del petto, con la punta delle dita grossomodo allineata con le narici.

[7] Non è altro che dormire.

[8] Una delle sei pārāmita o perfezioni. Prajñā è la conoscenza intuitiva profonda, trascendente; è la forma più alta e completa di conoscenza, e non ha nulla a che vedere con la conoscenza concettuale.

[9] Si riferisce alla trasmissione dal Buddha a Mahākāśyapa.

[10] Il Maestro Chōkei Dai-an (793-883), uno dei successori del Maestro Hyakujō Ekai. Enchi Zenji è il suo titolo postumo. [Chang-ch’ing Ta-an]

[11] Il Maestro Jōshū Jūshin (778-897), uno dei successori del Maestro Nansen Fugan. [Chao-chou Ts’ung-shen]