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SHINJINGAKUDŌ

Studiare con Corpo e Mente

 

 

Il Maestro Dōgen illustrando lo studiare con la mente e lo studiare con il corpo, sottolinea come questi aspetti, di fatto, ven­gano unificati e siano contenuti nell’agire stesso. La verità, infatti, non può essere conseguita attraverso la speculazione intellettuale bensì attraverso l’azione, una volta dato un adeguato fondamento al corpo-mente.

 

La Via del Buddha è la vera Via; essa non contiene alcunché di fal­so. Se utilizzate le spiegazioni di quanti non hanno rea­lizzato il Dharma in sé, devierete dalla Via del Buddha.

Il Maestro Zen Dai-e[1] di Nan­gaku, disse: “Noi abbiamo sia prassi che illumina­zione, ma esse sono diffi­cili da armonizzare. Dob­biamo prestare attenzione a non interpretare male la Via del Buddha; se la prassi non è ar­monizzata con il risveglio, è facile smarrirsi. Tutti i Buddha di ogni genera­zione, a partire da Śākyamuni, hanno armonizzato la prassi con l’illuminazione.”

Vi sono due forme di prassi nella Via: una è studiare con la mente, l’altra è studiare con il corpo. Nell’iniziare a studiare con la mente, dobbiamo comprendere i diversi stati di coscienza, ad esem­pio, citta,[2] hridaya,[3] vriddha.[4] Dopo che siano stati compresi questi stati, dobbiamo sviluppare bodaishin[5], la mente che cerca il Buddha. Ricercando il Buddha seriamente, potremo sentirne la compassione per noi e, infine, padroneggiare prassi e risve­glio.

La mente che cerca il Buddha è difficile da acquisire, ma ab­biamo gli esempi dei Patriarchi che ci guidano. Studiando seria­mente le vite e i detti dei Patriarchi, la nostra mente che cerca il Buddha sarà risve­gliata. Se il nostro studio sarà dili­gente, conosceremo a fondo vari stati della mente quali kobusshin, l’originale mente-di-Buddha, heijoshin, la mente quo­tidiana, e sangaiisshin, la mente universale.

Dopo che, attraverso il risveglio, avremo sviluppato la mente della prassi, comprende­remo che l’origine di tutte queste forme di mente è la non-mente. Non-mente è la vera mente del Buddha; essa è indivisa, è al di là della discriminazione degli opposti e non con-tiene alcuna analisi. Per comprendere la vera Via, dob­biamo pensare senza pensare. Un esempio è quando Śākyamuni conferì a Mahākāśyapa l’abito dorato, o quando Bodhidharma trasmise il sigil­lo del risveglio ad Eka e disse: “Tu possiedi il mio midol­lo”, o la trasmissione del quinto Patriarca Kōnin, nella baracca del­la pulitura del riso. Tutti questi casi sono uno studiare con la mente.[6] 

Radersi il capo e indossare la veste nera è il segno di chi intende studiare con la mente. E quando iniziate a studiare la Via del Buddha, la vostra mente deve subire una conversio­ne. Dob­biamo cer­care la vera Via con la medesima determinazione di Sid­dharta quando rinunciò alla vita di palazzo, e si mise in viaggio per scambiare la sua mente limitata con la mente-di-Buddha.

Qualcuno potrebbe pensare che rinunciare al mondo sia se­gno di discriminazione,[7] ma l’ingresso nel sacerdozio dovrebbe già es­se­re un trascendere quella mente dell’analisi.[8] Questo è lo stato del non-pensare, al di là del­la conoscenza egocentrica. Raggiungendo questo stato, realiz­zerete la vera e luminosa natura della mente; non-pensare deve diventare l’occhio attraverso cui osservare i feno­meni. L’attività di tutti i Buddha è basata sul non-pensare. Adde­strandoci ininter­rottamente nel non-pensare, automaticamente si accresce il risveglio.

Ognuno possiede intrinsecamente la mente, ma se si trascura di agire nella prassi la vera Via, essa resta as­sopita. Tuttavia, abbiamo l’esempio dell’addestramento buddhistico da se­guire e, se perseveriamo, la nostra mente-di-Buddha si mani­festerà e potremo ricevere il Sigillo della Trasmissione.

Cosa dobbiamo studiare quando ci troviamo di fronte alla mente-di-Buddha? In primo luogo, considerate le diverse forme di mon­tagne, acqua e terra. Vi sono molti tipi di monta­gne: alcune sono simili al grande monte Sumeru, altre sono pic­cole; alcune coprono una vasta distesa di terra, e altre sono molto alte. Anche l’acqua si pre­senta in numerosi modi: celestiale, terrestre, grandi fiumi, piccoli ru­scelli, grandi e pic­coli stagni, e poi oceani, laghi, ecc. Chi può de­scri­vere le diverse figure e forme che assume la terra? Ricordate tuttavia, che una terra non sempre è suolo fertile per quanto grande sia; allo stesso modo, ognuno possiede la natura-di-Buddha[9], ma se questa non è manifestata attraverso la prassi, non frut­tificherà mai. Simbolicamen­te c’è la terra del cuore e la terra del tesoro. An­cora, tutte queste terre sono basate sull’esperienza del ri­sveglio. Montagne, acqua e terra, han­no origine nella vacu­ità e sono la manifestazione di: “La forma è vacuità.”

Ognuno ha una diversa concezione dei fenomeni natu­rali e vi sono così di­verse interpretazioni del sole, della luna, delle stelle e dell’acqua. Ad esempio, la gente sulla terra consi­dera l’acqua come niente di speciale, mentre gli esseri celesti la stimano un grande te­soro. Diverse prospettive, diverse osserva­zioni. Per vedere corretta­mente le cose, dobbiamo accettarle come sono; si tratta di unire il vedente e il visto, in un unico atto. La nostra mente dovrebbe es­sere ravvivata dall’azio­ne del­la mente indivisa. Unificando davvero il vedente con il visto, ogni cosa sarà compresa nella sua vera prospettiva. Abitual­mente con­sideriamo gli oggetti della natura quali la terra, i fiumi, il sole, la luna e le stelle, come fossero cose esterne alla no­stra mente; in realtà queste cose sono la mente stessa. Non pen­sate che questo significhi che ogni cosa è solo all’interno della vostra mente. Abbandonate la nozione di fuo­ri, dentro, venire e anda­re. La mente indivisa non è né all’esterno né all’interno; essa viene e va liberamente, senza attaccamento. Un pensiero: mon­tagna, acqua, terra. Il pensiero successivo: una nuova monta­gna, acqua, e terra. Ogni pensiero è indipendente, creato ex-no­vo, vitale e istantaneo. La mente indivisa non è implicata in grande o piccolo, lon­tano o vicino, essere o non essere, guadagno o perdita, identifica­zione o non identificazione, illuminazione o non illuminazione. La mente indivisa trascende gli opposti. Nella prassi, lo stu­dio della mente è la via per raggiungere una salda e indi­visa azione, al di là del mondo della relatività. Do­vremmo accettare le cose come ven­gono, vale a dire indipen­denti e momen­tanee.

Dobbiamo stare molto attenti a distinguere tra la realtà e le idee sulla realtà. Ad esempio, la nozione di ciò che una casa rappre­senta è spesso assai diversa dal suo reale aspetto. Ancora, c’è una grande differenza tra il lasciare semplicemente la casa e la vera ri­nuncia al mondo. Nel Dharma, vi sono vari modi per conseguire la vera cono­scenza. I due principali mezzi di trasmissione da maestro a di­scepolo, sono i metodi Tenji e Toki.[10] Quando studiamo il Dharma del Bud­dha con l’uno o l’altro sistema, dobbiamo sta­re attenti a che af­fermazioni come “I tre mondi sono solo men­te” oppure “Il mondo del dharma non è altro che mente”, non diventino semplici nozioni astratte. Utiliz­ziamo l’espressione “Muro, tegole, e pietre” per sottolineare che “I tre mondi sono soltanto mente” deve di­ventare un concet­to vivente, nella vita di ogni giorno.

Il Maestro Zen Sōzan,[11] che visse durante la dinastia Tang, cominciò a mostrare la sua compren­sione del Dharma prima del pe­riodo Kantsū,[12] ma realizzò la piena illuminazione solo quando quel pe­riodo era ormai finito. Quando fu completamente risvegliato, egli poteva camminare attraverso il fango ed essere inzaccherato di acqua sporca, senza esserne tur­bato minimamente; egli semplicemente con­siderava il fango come fan­go, l’acqua sporca come acqua sporca. Era un uomo libero, non at­taccato ad idee di attrazione o repulsione. Un simile po­tere de­riva dal non-attaccamento.

Gli oggetti fisici, ad esempio un pilastro, uno steccato, un muro o una lanterna di pietra, sono oggetti di esperienza, ma ognuno di essi manifesta se stes­so in modo indipendente ed è au­to-generato. Se il nostro vedere è vero, l’attività sarà vista svol­gere naturalmente la sua fun­zione negli oggetti fisici e la nostra comprensione dei fe­nomeni sarà completa e coprirà le dieci re­gioni dell’esistenza.[13] La mente-di-Buddha copre le dieci re­gioni e non c’è alcuna porta da cui entrare.

Hotsu-bodaishin[14] è la mente di chi veramente se­gue la Via del Buddha. Hotsu-bodaishin è la continua percezione della mente-di-Buddha. Gli interrogativi sulla vita e sulla mor­te, il desiderio del nirvāna, e molti altri motivi inducono una persona a cercare la mente-di-Buddha. Non dobbiamo aspettare un certo momento o un certo luogo per cercare il risve-glio; esso non di­pende mai da circostanze di tempo o di luogo, né dall’abilità intellettuale. La mente-di-Buddha si manifesta da sé, natural­mente, poiché la mente-di-Buddha è l’origine di ogni reale at­tività. Essa non può essere definita attraverso esi­stenza o non-esistenza, buono o cattivo. Non è influenzata dal luogo, dalle circostanze o dal karma. Talvolta la gente pensa che, poiché nella dottrina buddhistica non c’è un inizio o una fine, la mente-di-Buddha non abbia esi­stenza reale; ricordate però che la mente-di-Buddha nasce da sé[15] e si manifesta ovunque – essa è il fonda­mento della realtà.

Quando la nostra prassi è maturata, comprendiamo che hotsu-bodaishin ricopre l’intero mondo del Dharma.[16] Spes­so la gente cerca di cam­biare le circostanze sebbene, natu­ral­mente, questo non sia possi­bile. Abbandonate queste azioni infruttuose e sviluppate una giu­sta comprensione della Via. Og­getti­vità e soggettività devono operare insieme; ogget­to e sog­getto devono prendersi per ma­no. Due sostanze, una iden­tità.

La maggior parte della gente ritiene che hotsu-bodaishin si trovi solo nei Buddha. Hotsu-bodaishin si trova anche negli in­feri, nei dèmoni, negli asura,[17] e negli animali. Hotsu-bodaishin è come la pura, lucida, e indi­vi­sa mente di un infante. Attraverso que­sta mente, ogni cosa di­venta chiara. Ogni particella del mondo feno­menico è interre­lata e tut­tavia, ogni particella esiste di per sé. Queste unità non pos­sono essere numerate uno, due o tre,[18] poiché sono corre­late ad una esperienza il­limi­tata. Le forme fisiche, come ad esempio una rotonda foglia di loto o lo spigolo affilato di un diamante, hanno una struttura unica, ma tali strutture si presentano in ogni parte del mondo fenomenico e non possono essere contate.

Sulla mente-di-Buddha esiste la seguente storia. Tempo fa, un monaco si av­vicinò al Maestro Nazionale Daishō,[19] e gli chiese: “Che cos’è l’originaria mente-di-Buddha?” Egli rispose: “Muro, steccato, tegole, pietre.” Ge­ne­ralmente la gente non considera queste cose come mente-di-Buddha, eppure, in realtà esse hanno radice nella originaria mente-di-Buddha e manifestano la natura-di-Buddha. La ri­sposta “Muro, steccato, tegole, pietre” rappresenta la mente quoti­dia­na. Questa mente non è implicata nei mondi passati o in quel­li futuri ma opera conti­nuamente ora, nel presente, e si oc­cupa soltanto di ogni nuovo istante. La mente quotidiana è la sua pro­pria realizzazione intrinseca e compiuta. I vec­chi tempi sono tagliati via, e passato, presente e futuro esi­stono insieme in ogni mo­mento. Man­tieni la tua mente nel pre­sente. Se pensiamo sempre al passato, il no­stro intero vedere si volgerà indietro, verso il passato, e sarà distorto.

Ad ogni istante dell’esistenza la mente quotidiana apre le sue por­te, e vita e morte, venire e an­dare, entrano libera­mente. Non pensate al cielo e alla terra come a questo mondo o a quello fu­turo; sappiate, conoscendo, che essi eternamente coesi­stono in ogni istante che passa. Generalmente non si riflette mai sulla natura del cielo o della terra, finché non capita qualcosa di imprevisto. Per me, un improvviso e inaspettato starnuto è come un’eco che rappre­senta la contemporanea coesistenza di vita e morte, cielo e terra, in ogni mo­mento. L’intero contenuto e si­gnificato del cielo e della terra, e il suo rapporto con la men­te, si riducono ad un istante eterno. Se non riusciamo a compren­dere questo, non afferreremo mai né il signifi­cato di uno starnu­to né quello di ogni simile evento minore. Tutta la nostra attività è radicata nella natura eterna della mente quotidiana. Per la maggior parte del tempo ci di­menti­chiamo di ciò, mentre i Buddha ne sono sempre consape­voli. Con il possedere hosshin,[20] di certo acquisiremo la Via. Que­sto desiderio del risveglio deve nascere in noi, da noi stessi, non può provenire da altri. Il risve­glio è la naturale at­tività della mente quotidiana. Questo è il modo di studiare con la mente.

Consideriamo ora lo studiare con il corpo. La prassi me­diante il corpo è più difficile della prassi me­diante la men­te. La comprensione intellettuale dello studiare tramite la men­te, deve es­sere unita alla prassi attraverso il nostro corpo. Questa unione è chia­mata shinjitsu-nintai, “Il vero corpo dell’uomo”. Shinjitsu-nintai è la percezione della mente quotidiana attraverso il mondo fenomenico. Se armonizziamo la prassi del risveglio con il nostro corpo, il mondo intero sarà per­cepito nella sua vera forma. Se realizziamo shinjitsu-nintai sa­remo se­parati dal male e potremo prendere gli otto precetti,[21] as­sieme al voto di proteggere i Tre Tesori.[22] Shinjitsu-nintai è il vero scopo dell’addestramento. Chiunque ricerchi la Via dovreb­be tene­re sempre bene a mente la nozione di shinjitsu-nin­tai e non la­sciarsi fuorviare dalle proprie false ed erronee opi­nioni.

Il Maestro Zen Daichi di Hyakujō,[23] una volta dis­se: “Gli uo­mini possiedono originariamente il ‘Puro corpo di non attacca­mento’ del Buddha e il nostro corpo stesso è il Buddha.” Se accet­tiamo il suo detto in senso letterale, po­tremmo pensare che non ci sono necessarie prassi o illumina­zione per realizzare la Via del Bud­dha. La frase di Hyakujō non è soltanto il detto enigmatico di un eremita. Una così audace affermazione può essere pronun­ciata solo dopo anni di merito, prassi e risveglio. Raggiungendo il livello di Hyakujō potremmo an­che noi sperimen­tare la meravigliosa attività del risveglio. Tale livello è caratterizzato da un completo non-attaccamento, dalla perfetta serenità, e dall’unità di soggettività e og­gettività. A questo livello possiamo aiuta­re gli altri a raggiungere la salvezza, pro­clamando il Dharma a tutti i cercatori della vera Via.

Il Dharma è proclamato in tre modi con l’utilizzo della pro­pria esperienza e di spiegazioni, utilizzando le vite e i detti di altri, e insegnando attraverso l’esempio. Spiegare il Dharma è general­mente conside­rato soltanto come un benefi­care altri. In realtà, spie­gare il Dharma è effettivamente un’estensione della prassi, e tra­scende sia se stessi sia gli altri. Per proclamare il Dharma dobbiamo dimenticare noi stes­si. Facendo ciò, il potere del nostro insegnamento sarà come un forte rumore che soffoca quelli più deboli.[24] Studiare at­traverso la prassi diretta è esistito fin dai tempi più antichi, ed è il modo migliore per accostarsi alla verità del Buddha. Dobbiamo avere la stessa determinazione di colui che si tagliò un braccio[25] per mostrare il suo ardente desiderio. Eka ricevette il midollo[26] e ne tra­smise infine l’eredità, proclamando il Dhar­ma a tutte le genera­zioni successive.

Il nostro mondo è definito in relazione alle dieci suddi­vi­sioni di direzione. Ogni direzione contiene in modo totale la fonda­men­tale esistenza di tutte le altre direzioni. Cioè, ogni punto nel­lo spazio o nel tempo, davanti o dietro, verticale od orizzon­tale, con­tiene in sé tutti gli elementi dell’esistenza. Questo fatto è essenziale per comprendere shinjitsu-nintai, che è spesso considerato in rela­zione a soggettività e ogget­tività. Non è que­sto il caso.

Shinjitsu-nintai non è altro che il nostro sé reale, radi­cato nel Buddha e non opposto ad alcuna del­le dieci regioni del mondo. Le dieci regioni sono conte­nute in shinjitsu-nintai. Forse è la prima volta che ascoltate una simile spiegazione. Tenete a mente che ogni dire­zione e ogni regione possono essere colti in­sieme, in un’unica esperienza.[27] Esse hanno la stessa identità e coesistono in shinjitsu-nintai. Questo corpo reale è com­posto da quattro elementi fisici: terra, acqua, fuoco, ven­to, e da cinque skandha.[28] Per la gente ordinaria, questo mondo di espe­rienza è molto difficile da analizzare, ed è difficile raggiun­gere una chiara visione; un saggio, tuttavia, è sempre consapevole del­la vera natura del mondo. In effetti egli vede il mondo intero in un minuscolo granello di polvere. La gente dice: “È impossi­bile che un granello di pol­vere con­tenga il mondo intero.” La loro comprensione è basata su una vi­sione superficiale. Se ab­biamo una vera percezione, un granello di polvere o un qualsi­asi oggetto di cui non importa la dimen­sione, può essere visto come un mondo indipendente che comprende in sé tutti gli al­tri mondi di esperienza. Se abbiamo una cor­retta comprensione, anche una stanza del Buddha o un intero mona­stero possono essere edificati in un granello di pol­vere; ogni angolo dell’esistenza con­tiene le stesse illimitate pos­sibi­lità. Anche i nostri edifici di uso quo­tidiano, la casa, lo Zendō[29] o che altro, contengono tutti i mondi possi­bili.

Ciò con cui siamo in rapporto è l’azione fisica e spiri­tuale di shinjitsu-nintai. Nell’usare l’espressione “L’intero mondo è con­tenuto in ogni particella”, non intendiamo il mondo fisico poiché non stiamo parlando di spazio, bensì di esperienza.

L’esperienza non ha a che fare con grande o con piccolo e con­tiene ogni cosa: è risveglio, ora, e include ogni luogo. É il nostro vero corpo ed è attraverso l’illimitata, eterna azione del nostro sé re­ale che dobbiamo studiare la Via. Attraverso l’approfondimento di questa Via, diventiamo gradualmente consapevoli del profondo signi­ficato di azioni quotidiane quali in­chinarsi, pulire o riverniciare. Il tem­po passa ma la vita è tra­sformata. Prima di rinunciare al mondo, la vostra condizione somiglia esteriormente a quella del più po­vero raccoglitore di le­gna o contadino, ma quando sedete in zazen siete interiormente un Buddha e siete di gran lunga più ricchi del più ricco re. Questa Via è al di là delle idee di buono o cattivo, risveglio o il­lusione, e di tutte le opposte identità. Per la gente co­mune, vita e morte sono trasformazioni. Per quei saggi, invece, che hanno  trasceso il pro­fano e sono penetrati nel sacro, le nozioni di vita e morte sono ab­bandonate. Chiarifica vita e morte e accet­tali per quello che sono. Allora non avrai più paura.

La vita è contenuta nella morte e la morte è contenuta nella vita, eppure la vita è vita e la morte è morte. Cioè, questi due ele­menti sono indipendenti in se stessi e sussistono da soli sen­za il biso­gno di qualsiasi esistenza esterna o relazione. Co­mune­mente la gente considera la vita come qualcosa simile ad una quercia[30] e la morte come una cosa che non si muove più. Ma, come l’idea che si ha di una quercia talvolta differisce dall’albero reale, le idee sulla vita spesso contrastano con la realtà della vita. Nella vera conoscenza la vita non è mai un ostacolo. La vita non è la prima attività e la morte la seconda; la vita non è in rappor­to con la morte né la morte lo è con la vita.

Il Maestro Zen Engo,[31] disse: “La vita è la totale attività della vita, e la morte è la totale at­tività della morte. Vita e morte sono le attività della grande va­cuità.” Engo lasciò molti detti su vita e morte, ma natural­mente non poté mai spiegarli completamente a parole.  È necessaria l’esperienza di hotsu-bodaishin,[32] per comprendere le sue parole.

Vita e morte continuamente appaiono e scompaiono, ven­gono e vanno, mutano costantemente; ora testa e coda, ora mani e piedi, vita e morte sorgono da un capo all’altro del mondo intero. Shinjitsu-nintai è la limpida osservazione di vita e morte, attraverso corpo e mente. Ricordate che vita e morte possono essere viste anche in un gra­nello di polvere. Non potremo mai afferrare questo fatto me­diante la discriminazione. C’è sempre qualche dirupo o collina in una terra pianeg­giante, e le alte montagne hanno sempre qualche zona in piano. Così, il­luminazione ed illusione esistono insieme. Allo stesso modo, possiamo considerare i rami del Nord e del Sud della scuola Zen come esistenti insieme.

Trascendere la discriminazione degli opposti, scoprire la realtà totale, e raggiungere il non-attaccamento: questa è completa li­bertà.

 

 

Questo venne trasmesso ai monaci dell’Hōrinji, il 9 settembre 1243.



[1] Il Maestro Nangaku Ejō (677-744), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. [Nan-yüeh

[2] Il sanscrito citta significa cuore e rappresenta la coscienza mentale, intellettuale; si potrebbe ben dire “Psyché”.

[3] Hridaya: la mente inconscia o subconscia. Il sanscrito hridaya significa spirito, essenza. Si tratta del tipo di mente a cui si riferisce il Maestro Dōgen quando parla de “La mente di erba e alberi”.

[4] Vriddha: la mente che ha fatto esperienza, consolidata. Il sanscrito vriddha significa cresciuto, saggio, sperimentato.

[5] Lett. “Mente-bodhi”.

[6] Lett. “Con la mente che trasmette la mente” e cioè la trasmissione intuitiva da mente a mente. Si veda il cap. 64, Udonge.

[7] Dividendo il mondo in monastico e non monastico.

[8] O mente discriminante, mente che scompone.

[9] La natura-di-Buddha è la ‘Natura propria’, o ‘Vera natura’, o ‘Volto originario’ (comunque si voglia chiamare) di ogni essere, anche se questi  lo ignora.

[10] Il metodo Tenji utilizza i kōan e colloqui privati con un mae­stro. Nel me­todo Toki, il mae­stro insegna ai discepoli attra­verso l’esempio, dà particolari consigli e adegua il suo inse­gnamento all’abilità individuale dei suoi allievi.

[11] Il Maestro Sōzan Honjaku (840-901), uno dei successori del Maestro Tōzan Ryōkai. [Ts’ao-shan Pen-chi]

[12] 860-873.

[13] Cioè, le dieci direzioni: i quattro punti cardinali, i quattro intermedi, l’alto e il basso.

[14] Lett. “Risvegliare la mente-Bodhi”. Il Maestro Dōgen utilizza i termini Hotsu-bodaishin e Bodaishin come sinonimi di “La mente che cerca il Buddha”. Bodaishin significa letteralmente “Mente-di-Bodhi” ed equivale al sanscrito bodhicitta o “Aspirazione alla suprema illuminazione”. Hotsubodaishin, che si può anche tradurre con “Dare fondamento al corpo-mente”, si sviluppa da hosshin che è l’iniziale risveglio della mente, vale a dire la decisione di pervenire al completo risveglio.

[15] Da sé si dà vita ed esistenza.

[16] Dal sanscrito dharmadhātu. Questa comprensione è la vera esperienza della mente.

[17] Il sanscrito asura indica i dèmoni che combattono gli dèi.

[18] Non possono essere definite da spazio o tempo.

[19] Il Maestro Nan’yō Echū (?-775), successore del Maestro Daikan Enō. Maestro Nazionale Daishō è il suo titolo quale insegnante dell’imperatore. [Nan-yang Hui-chung]

[20] La determinazione di raggiungere il supremo risveglio.

[21] Gli otto precetti: non uccidere gli esseri viventi, non rubare, non avere rapporti sessuali, non mentire, non assumere bevande alcoliche, non utilizzare abiti vistosi e trucco, non mangiare dopo mezzogiorno.

[22] Buddha, Dharma, Samgha.

[23] Il Maestro Hyakujō  Ekai (749-814), il successore del Maestro Baso Dōitsu. [Pai-chang Huai-hai]

[24] Ovvero, il potere del Dharma annulla tutti gli altri falsi o limitati insegnamenti.

[25] Il secondo Patriarca Eka, che intendeva così dimostrare la sua determinazione al Patriarca Bodhidharma. Si veda il cap. 16, Gyōji.

[26] Dell’insegnamento di Bodhidharma.

[27] Relazione di tempo e spazio.

[28] I cinque skanda o aggregati sono: rūpa (il corpo-forma), vedanā (la sensa­zione), samjñā (la percezione, la nozione), samskarā (le impressioni risultanti, gli elementi della coscienza, lett. “I formati e i formanti”), e vijñāna (la coscienza individuale, la conoscenza discriminante).

[29] La Sala del Dharma.

[30] Cioè una cosa che inizia con un seme, cresce e muore.

[31] Il Maestro Engo Kokugon (1063-1135), nella linea di trasmissione del Maestro Yōgi Hōe. Ha scritto “La Raccolta della Roccia Blu”. [Yüan-wu K’o-ch’in]

[32] Vedi nota 2, pag. 15.