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JUKI

Predizione di Buddhità

 

 

Juki in origine significa scrivere, certificare. In senso lato rappre­senta la certificazione formale che l’allievo diverrà un Buddha. Molti dei Sūtra buddhistici riportano parole di predizione del Buddha, circa il futuro conseguimento della Bodhi da parte di molti dei suoi discepoli. In questo capitolo, commentando tra l’altro alcuni passi estratti dal Sūtra del Loto, il Maestro Dōgen indaga su questo particolare aspetto.

 

La grande Via dei Buddha e dei Patriarchi e la sua ininterrotta tra­smissione da maestro ad allievo è juki.[1] Senza uno studio adeguato e mancando dell’esperienza dei Buddha e dei Patriar­chi, non possiamo neanche sognarci della predizione.

Tuttavia, la predizione non è conferita solamente a coloro che hanno ri­svegliato la propria natura-di-Buddha,[2] ma è anche per colo­ro che non hanno risvegliato la mente che cerca il Buddha né sco­perto la pro­pria natura-di-Buddha. La predizione è conferita senza tener conto se c’è un corpo o meno: essa è data a tutti i Buddha e Pa­triarchi e ognu­no di essi la mantiene e la preserva.

L’interpretazione corrente è che si riceve la predizione dopo es­sere diventati un Buddha. Non accettate questa idea, non aspet­tatevi di ri­cevere la predizione dopo che siete divenuti un Buddha. Quan­do vi è con­cessa la predizione divenite un Buddha; quando c’è vera prassi, c’è predizione. Tutti i Buddha possiedono la predizione; il loro progresso spiri­tuale possiede la predizione. È nel nostro corpo e nella nostra mente che tro­viamo la predizione. Quando studiamo e troviamo la grande predizione, anche la nostra Via è grande. C’è una predizione nel nostro sé passato e nel nostro futuro. C’è una predizione che può essere riconosciuta da noi e dagli altri, e c’è né una che non può esserlo.

La predizione è la rea­lizzazione del sé, è il sé realiz­zato. Quindi, ciò che Buddha e Patriarchi hanno trasmesso di gene­ra­zione in genera­zione non è altro che predizione; tutte le cose non so­no al­tro che predizione: le montagne, i fiumi, la terra e i grandi oceani.

Questa è l’unica inter­pretazione possibile della predizione. La predizione compresa in questo modo è l’unica parola di risveglio pro­nunciata, udita e compre­sa.[3] È la prassi e l’insegnamento del risve­glio. La predizione sa esattamen­te come muoversi in avanti e all’in­dietro. Se i Buddha e i Patriarchi non avessero conferito la predizione, ora sa­remmo incapaci di se­dere in zazen o di indossare un kesa. Accettate questi atti con un gasshō:[4] que­sta manifestazione è predizione.

Il Buddha disse che la predizione può essere interpretata in otto modi fondamentali:

 . uno sa della propria predizione, mentre gli altri no;

 . gli altri sanno e l’uno no;

 . sia l’uno che gli altri sanno;

 . né l’uno né gli altri sanno; 

 . le persone vicine a chi possiede la predizione sanno, ma quelle lon­tane no;

 . le persone lontane sanno, quelle vicine no;

 . tutti, vicini o lontani sanno;

 . nessuno, vicino o lontano, sa.


Vi sono queste diverse comprensioni della predizione, ma non pen­sate che non vi sia una predizione in questo puzzolente sacco d’ossa.[5] Ciò nonostante, non crediate che le persone non illuminate non pos­sano ricevere la predizione.

In generale, la maggior parte della gente pensa che la predizione sia conferita una volta completata la propria prassi, e quando si sia di­ventati un Bud­dha. Questa non è la corretta Via del Buddha. Udire l’unica parola da un maestro Zen, o apprenderla dai sūtra, è l’oc­ca­sione di ricevere la predizione. In questa situazione, la nostra natura ori­gi­na­ria, la natura-di-Buddha, emerge; questa è la base della virtù. Ri­ce­vere la predizione è ricevere l’essenza del Dharma. Dovremmo sapere che anche un granello di polvere ha un valore assoluto, ha possibi­lità illi­mitate. Perché dunque non si può trovare la predizione in un gra­nello di pol­vere? La predizione non si trova in un’unica cosa, ma si trova in tut­te le cose. La predizione è prassi e risveglio, è Buddha e Pa­triarchi, è prassi e il­luminazione basati sullo zazen, è grande risveglio e grande illusione, non è così?

Una volta, Ōbaku[6] disse a Rinzai:[7] “L’insegnamento della mia scuola si espanderà nel corso della tua vita.” Il Maestro Enō[8] disse al suo discepolo Nangaku:[9] “Io sono come te, e tu sei come me.” Maestro ed allievo sono una cosa sola, questa è predizione. È il si­gillo dell’Insegnamento del Buddha e tra­scende ogni relati­vità. È la trasmissione autentica, da mente a mente, è il venire e l’andare di vita e morte, è le dieci regioni del mondo e il mondo presente, con nulla di celato.

Una volta, il Grande Maestro Gensha[10] stava camminando col suo Maestro Seppō.[11] Seppō, indicando il terreno di fronte a sé, disse: “Questo terreno è adatto per uno stūpa.” Gensha chiese: “Quanto dovrà essere alto lo stūpa?” Seppō guardò in alto e in basso, indicando l’al­tezza. “O Maestro” disse Gensha “siete il monaco più fortu­nato al mondo, ma com’è che nemmeno voi potete sognarvi la predizione che è stata trasmessa da Śākyamuni a Mahākāśyapa, sul Picco dell’Av­voltoio?” Seppō, allora, chiese di rimando: “Quanto è alto lo stūpa?” “Sette o otto piedi” disse Gensha.[12]

La domanda di Gensha circa il Picco dell’Avvoltoio non ri­guar­dava il fatto che Seppō avesse o meno ricevuto la predizione del Picco dell’Avvoltoio; essa ha a che vedere con ciò che il Buddha Śākyamuni disse: “Io posseggo l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge e la Serena Mente del Nirvāna. Ciò ora trasmetto a Mahākāśyapa.” Allo stesso modo, quando Seigen[13] con­ferì la predizione al suo di­sce­polo Sekitō,[14] Seigen ricevette la stessa predizione di Mahākāśyapa; ciò significa che la predizione di Śākyamuni si ri­trova in ogni trasmissione della Via, da Bud­dha a Buddha, da Pa­triarca a Pa­triarca. Quando il sesto Pa­triarca,[15] che viveva sul monte Sōkei, tra­smise il suo insegna­mento a Sei­gen, questi, ricevendo la predizione del suo Maestro, di­ventò il vero Sei­gen. Di fatto, tutti i predecessori del sesto Patriarca trasmi­sero diret­tamente la propria Legge attra­verso la predizione di Seigen.

Questa mente dei Buddha e dei Patriarchi è come le cento erbe, pura e naturale. Poiché i Buddha sono come le cento erbe, noi stessi siamo come le cento erbe. Ma non pensate di essere sempre consapevoli, né di vedere ciò che possedete. Ciò che possiamo co­noscere non è necessariamente in nostro possesso, così come ciò che pos­se­diamo non è necessariamente da noi conosciuto o visto. Non dobbiamo dubitare di possedere qualcosa come la predizione solo perché non rientra nelle normali categorie di pensiero né nella percezione visiva. La predizione con­ferita sul Picco dell’Avvoltoio era quella del Buddha Śākyamuni; fu conferita da Śākyamuni a Śākyamuni. Vale a dire che la predizione di Buddhità non è conferita a gente che manca di com­prensione, ma passa a chi sa già di pos­sederla.

Qui non ci sono ostacoli, non vi è nulla di meno, non vi è nulla di più. È così che la predizione è trasmessa da Buddha a Bud­dha. A questo proposito, un vecchio Buddha disse: “Tutti i Buddha del presente e del passato hanno usato un hossu[16] per in­segnare il vero si­gnificato di est e di ovest. Questo significato è così sottile, così pro­fondo, come lo si potrebbe mai discutere se i Buddha non ne avessero trasmesso il principio?”

Guardando più da vicino il reale significato delle parole di Gensha, ci accorgiamo che la sua domanda verteva sull’al­tezza dello stūpa. Egli si aspettava una risposta definita, qualco­sa come cinque­cento o ottantamila miglia. Eppure non si adirò quando Seppō guardò in alto e in basso, né si scoraggiò. L’oc­chiata di Seppō non è la predizione di Śākyamuni; l’unica risposta che sarebbe sta­ta in accordo con quella predizione è: “Sette o otto piedi.”

Non penso più se il “Sette o otto piedi” di Gensha fosse la ri­sposta giusta o sbagliata. Nell’ambito della predizione è bene aver con­se­guito sia la predizione di Seppō sia quella di Gensha. Tutta­via, quando pen­siamo all’altezza di uno stūpa, dobbiamo farlo in ter­mini di predizione. Senza che si sia ricevuta la predizione, la Via del Buddha non può mai es­sere proclamata.

Comprendendo, studiando e proclamando l’insegnamento che il nostro sé è il sé reale, la realizzazione della predizione sarà il nostro kōan. Dobbiamo realizzare la comprensione del fatto che predizione e Buddha-darsana[17] sono insepa­rabili, sia nel nostro corpo, sia nella nostra mente. Tutti i Buddha realiz­zano il risveglio per manife­stare il vero significato della predizione. Ciò che porta all’esi­stenza i Bud­dha è il potere di ricevere la predizione. Raggiungere il ri­sveglio è la cosa più im­portante. Perché possa raggiungere la Bodhi,[18] la predizione de­ve essere rice­vuta dall’ego senza ego e dal sé non-sostanziale È in que­sto modo che tutti i Buddha ricevono  la predizione da tutti gli altri Bud­dha.

Vi sono diversi modi di ricevere la predizione: sollevando una, o entrambe le mani, oppure vedendo un fiore di udumbara o una veste dorata.[19] Queste azioni non hanno in sé alcun potere illuminante, la loro efficacia viene dalla predizione. La predizione può essere ricevuta sia in­te­riormente, sia esteriormente. Se desiderate compren­dere gli aspetti del sé interiore ed esteriore, dovete studiare le condizioni in cui si confe­risce la predizione. Ricevere la predizione è di per sé imparare la Via; allora non vi è in­stabilità. Ricevere que­sta predizione è sedere in zazen, e allora l’eternità è catturata in un istante.

Un antico Buddha disse: “Una dopo l’altra, le persone di­vengono dei Buddha ed ininterrottamente conferiscono la predizione.” “Di­venire Bud­dha” è l’incessante trasmissione della Via; il conferi­mento della predizione è la trasmissione dell’insegna­mento. Allora, se seguite la corrente della Via del Buddha, da voi stessi diventate un Bud­dha.

Questa trasmissione della predizione è una continua catena e passa di generazione in genera­zione. Essa non crea nes­suna condi­zione spe­cifica o consapevo­lezza, né nel corpo né nella mente, ma si adatta allo sviluppo di tempo e luogo. Dobbiamo studiare questo. L’apparire di tutti i Buddha e di tutti Patriarchi, la ve­nuta di Bodhidharma e la conse­guente trasmissione della sua predizione, si sviluppano secondo questo prin­ci­pio. Attingere acqua o portare legna da ardere sono normali atti­vità quotidiane che, allo stesso modo, si dovrebbero basare sulla predizione.

La nostra mente è Buddha” è anche la realizzazione della condizione di non-attaccamento. Poche persone realizzano ciò. Dobbiamo sapere che esistono molti livelli di non-attacca­mento, nu­merosi modi di realizzazione, ed una varietà di Buddha. Per que­sto, una dopo l’altra, le persone diventano Buddha, con­seguono il non-at­taccamento, ricevono la predizione e proclamano la Via del Bud­dha. All'inizio, una retta trasmissione non può essere conseguita facilmente ma può, attraverso la prassi, essere realiz­zata in vari modi. Tutti i Buddha e i Patriarchi hanno realizzato il non-­attaccamento ed hanno continuamente conferito la giusta trasmissione. Essi hanno, senza alcuna interruzione, tra­smesso la loro predizione di generazione in gene­razione.

Un vecchio Buddha disse: “Udendo che la predizione è solenne­mente trasmessa e ricevuta, ero pieno di gioia.” Questo si­gnifica che anch’io sicuramente sto seguendo il Bud­dha, e sento di altri che pure seguono la Sua Via e che ininterrot­tamente rice­vono la predizione. Ciò mi riempie di gioia. La predizione è ininterrot­tamente trasmessa, ciò si­gni­fica: “Ricevo la predizione proprio in questo momento.” La predizione è indipendente da ogni tipo di discriminazione su passato, presente o fu­turo, o su sé e altri.

Udire la predizione dipende inte­ramente dal Buddha, non dipende dagli altri, né dall’opposizione tra illu­sione e illumina­zione, non dagli esseri senzienti, né dalle erbe, dagli alberi o dalla terra. Solo seguendo il Buddha la predizione può es­sere solennemente ri­cevuta e conferita. Allora di continuo essa si accre­sce senza venir meno, e si accompa­gna ad una pervadente gioia nel cor­po e nella mente. Perciò, poiché indubbia­mente il corpo influisce sulla mente e vi­ceversa, la gioia che proviamo nel rice­vere la predizione permea il mondo intero e, nelle quat­tro direzioni dell’Uni­verso, è gioia suprema. Siate sicuri che questa gioia, dor­mendo o ve­gliando, illuminati o non illuminati, è gioia vera. Chiun­que la può trovare, ma poiché è così pura, essa tra­scende le normali categorie di pensiero. Essa è pura e serena e perciò passa di genera­zione in generazione.

Il Buddha Śākyamuni una volta disse al Bodhisattva Ya­kuō:[20] “O Bo­dhisattva Yakuō! Qui ci sono tutti i tipi di esseri: innume­revoli dèi della mu­sica, della guerra, uccelli, serpenti e dè­moni; ci sono esseri umani e non-umani, monaci, monache, laici e laiche, e poi śramana,[21] Buddha ed altri ricercatori che vogliono sentire l’insegna­mento e rag­giungere il risveglio. Tra tutti gli esseri qui radu­nati, po­chi di essi ascolteranno anche un solo gāthā[22] del Sūtra del Loto conse­guendone un’istantanea gioia. Conferirò la predizione a queste persone ed esse, nel futuro, raggiungeranno la suprema illumina­zione.”

Innumerevoli tipi di esseri erano presenti, dèi ed esseri umani, re e discepoli, ed ognuno con una diversa determinazione e compren­sione del Dharma. Tuttavia, tutti possono accedere alla su­prema illuminazione e, attraverso que­sta, speri­mentare la vera gioia. Inoltre, è lo studiare o l’ascoltare il Sūtra del Loto che dà loro la vera gioia. Perciò, tutti gli es­seri sono forme del Sūtra del Loto.

Radunati davanti al Buddha” significa essere all’interno del Buddha. Per quanto esseri umani e non-umani diano una diversa in­terpretazione ad ogni particolare fenomeno, essi condividono la me­desima natura essenziale; perciò Śākyamuni può conferire loro la Sua predizione ed essi raggiungeranno in­fine il supremo risveglio.

Il Buddha Śākyamuni disse anche al Bodhisattva Yakuō: “Anche dopo che sarò entrato nello stadio finale del supremo nirvāna, seguiterò a conferire la predizione a coloro che, dopo aver letto o ascoltato anche un solo gāthā del Sūtra del Loto, avranno sperimen­tato la vera gioia, ed in futuro essi raggiungeranno la su­prema illumina­zione.”

Cosa voleva dire Śākyamuni con “Dopo che sarò en­trato nello stadio finale della suprema illumina­zione?” Si riferiva ai qua­rantanove anni di divulgazione del Dharma? O alla Sua intera vita di ottant’anni? Qui si riferiva alla Sua intera vita. Inol­tre, chi manca di istruzione o di erudizione può sperimentare la vera gioia dopo aver letto o sentito anche un solo verso, oppure è ne­cessario essere sapienti o istruiti? Se è propriamente spiega­to, ogni essere umano lo può ca­pire; perciò non ci dovremmo preoccupare del fatto che uno abbia studiato o meno.

Dovremmo comprendere che, nello studiare l’inse­gnamento del Sūtra del Loto attraverso la profonda e illimitata prajñā, [23] pos­siamo coglierne l’essenza anche in un solo verso o gāthā, e sperimentare in un solo istante la vera gioia. Allora riceviamo la predizione che è l’attestazione del raggiungi­mento della su­prema illu­minazione. Allora saremo capaci di conferire la predizione ad altri, ed essi a loro volta potranno passarla ad altri ancora. Ma non dobbiamo affidarla a persone trascu­rate o indo­lenti. Sforziamoci di essere tra coloro che sperimentano la vera gioia nell’udire anche un solo gāthā del Sūtra del Loto. Non tra­scuriamo la pelle, la carne, le ossa e il midollo della vera Via del Buddha. Se ricevete la predizione, essa vi guiderà al ri­sve­glio e la vostra de­cisione di ottenere la liberazione sarà soddi­sfatta. È in questo modo che deve essere fatto.

Vi sono molti modi di conferire la predizione. Śākyamuni uti­lizzò un fiore di udumbara e Saishō Dōsha[24] utilizzò un pino; altri lo fecero attraverso un’occhiata o un sorriso, e vi fu chi utilizzò un paio di san­dali di pa­glia.[25] Questi sono esempi che vanno al di là di ogni compren­sione intellettuale.

Similmente, qualche volta un maestro dice: “Io sono come la predizione” o anche “Tu sei come la predizione.”[26] In base a questo principio è stata conferita la predizione nel passato, nel presente e nel futuro. In queste tre condizioni di tempo si rea­liz­za sia la nostra predizione che quella degli altri.

Vimalakīrti[27] disse al Bodhisattva Maitreya:[28] “Maitreya, hai ricevuto la predizione da Śākyamuni e in questa vita raggiungerai la su­prema illuminazione. Qual è il giusto tempo per ricevere predizione? Nel passato, nel presente o nel futuro? Se è nel passato, la vita pas­sata è già trascorsa. Se è nel futuro, quella vita non è an­cora arrivata. Se è nel presente, è in uno stato di flusso.”

Śākyamuni insegnò ai monaci che la vita nel presente è na­scita, vecchiaia e morte. Tale insegnamento era basato sul non-cre­ato.[29] Riceviamo la predizione per mezzo del non-creato; è la vera forma che trascende la discriminazione. In questo stato non vi è l’idea di ricevere la predizione, né l’idea di suprema illumi­nazione.

O Maitreya, cos’è la tua predizione? L’hai ricevuta attraverso la vita o la morte? Se la ricevi attraverso la vita, come può la verità es­sere nata? E se la ricevi attraverso la morte, come può la verità mo­rire?

Tutti gli esseri senzienti, tutti i dharma sono quiddità.[30] Tutti gli esseri risvegliati e i saggi sono quiddità. Tutti i Patriar­chi, te compreso, sono quiddità. E perciò, se tu ri­cevi la predizione, dato che non vi può essere dicotomia di quiddità, an­che tutti gli esseri senzienti la ricevono. Se tu raggiungi la suprema e perfetta illumi­nazione, dato che tutti gli esseri sen­zienti sono la forma reale dell’illuminazione, anche tutti gli esseri senzienti la raggiungono.”

Con questo, il Buddha Śākyamuni non contraddice Vima­lakīrti. Che Mai­treya ricevesse la predizione era già stato determinato da Śākyamuni; parimenti, ogni volta che gli esseri senzienti ricevono la predizione, ciò è stato deter­minato da Śākyamuni. Se tutti gli esseri senzienti non ri­ceves­sero la predizione, allora la predizione di Maitreya non avrebbe mai potuto es­sere conferita. Tutti gli esseri senzienti nel loro insieme sono la re­ale forma del risveglio. Tale risveglio conferma l’illuminazione della predizione, e la predizione è la nostra vita presente. Per­ciò, tutti gli esseri senzienti partecipano alla decisione di Maitreya di rag­giungere il risveglio e contemporaneamente a lui ricevono la predizione e raggiungono il risveglio.

Tuttavia, Vimalakīrti disse che vi è una certa condizione nella quale non vi è idea di ricevere la predizione, né di raggiungere la su­prema illu­minazione. Questo dimostra che egli non aveva compreso la forma reale della predizione e di conseguenza non aveva nemmeno com­preso la forma reale del risveglio. Egli disse pure che il passato è già an­dato, che il futuro non è ancora arrivato, e che il presente è in uno stato di flusso. Ma per raggiungere la comprensione della predizione, non è necessario che il passato sia anda­to, che il futuro venga, o che il pre­sente sia in uno stato di flusso.

Possiamo usare passato, futuro e presente per descrive­re la distruzione, la potenzialità o il fluire delle cose, ma dob­biamo essere consapevoli del passato, del futuro e del presente che non sono an­cora giunti. Questo è il principio attraverso il quale possiamo rag­giungere il risveglio nella vita e nella morte. Que­sto è ciò che inten­diamo dicendo: “Quando tutti gli esseri sen­zienti ricevono la predizione, Maitreya ri­ceve la predizione.”

Ora Vimalakīrti ti farò questa domanda: “Per favore dimmi se Maitreya e tutti gli esseri senzienti sono la stessa cosa.” Come si diceva prima, quando tutti gli esseri senzienti ricevono la predizione, Mai­treya riceve la predizione. Se Maitreya e tutti gli esseri sen­zienti non sono la stessa cosa, Maitreya non è Maitreya e gli esseri senzienti non sono gli esseri senzienti, non è vero? Allora Vimalakīrti non sarà Vima­lakīrti e ciò che dice è senza senso. Perciò, quando la predizione conferma la natura reale di tutti gli esseri senzienti, tutti gli es­seri senzienti e Mai­treya esistono nella loro vera forma. Quando rice­vete la predizione, la vera forma di tutte le cose appare.

 

 

Questo fu scritto nel Kannondōri-Koshōhōrinji, il 25 aprile 1243.

Ricopiato nell’alloggio del disce­polo principale del Kippōji, nell’Echizen, il 20 gennaio 1245.

 



[1] Rappresenta il sanscrito vyākarana che lett. significa profezia, predizione. Nel Sūtra del Loto il Buddha assicura a molti dei suoi discepoli la futura acquisizione della Buddhità. Si veda il Sūtra del Loto, pag. 161.

[2] La natura-di-Buddha è la ‘Natura propria’, o ‘Vera natura’, o ‘Volto originario’ (comunque la si voglia chiamare) di ogni essere, anche se questi  lo ignora.

[3] Si veda il cap. 25, Keiseisanshoku.

[4] Lett. “Con il palmo delle mani unito”.  Si tratta di un saluto tradizionale, nei monasteri. Le mani giunte sono tenute all'altezza del petto, con la punta delle dita grossomodo allineata con le narici.

[5] Il nostro attuale corpo.

[6] Il Maestro Ōbaku Kiun (?-855?), uno dei successori del Maestro Hyakujō Ekai. [Huang-po Hsi-yün]

[7] Il Maestro Rinzai Gigen (?-867), uno dei successori del Maestro Ōbaku Kiun. Eshō Zenji è il suo titolo postumo. [Lin-chi I-hsüan]

[8] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]

[9] Il Maestro Nangaku Ejō (677-744), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. [Nan-yüeh Huai-jang]

[10] Il Maestro Gensha Shibi (835-907), un successore del Maestro Seppō Gison. Noto anche come Sōitsu Daishi. [Hsüan-sha Shih-pei]

[11] Il Maestro Seppō Gison (822-907), uno dei due successori del Maestro Tokusan Senkan. Shinkaku Zenji è il suo titolo postumo. [Hsüeh-feng I-ts’un]

[12] Si veda il cap. 7, Ikkamyōju.

[13] Il Maestro Seigen Gyōshi (?-740), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. Egli fu il settimo Patriarca in Cina. [Ch’ing-yüan Hsing-ssu]

[14] Il Maestro Sekitō Kisen (700-790), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō. [Shih-t’ou Hsi-ch’ien]

[15] Il Maestro Daikan Enō (638-713). [Ta-chien Hui-neng]

[16] Uno scacciamosche cerimoniale.

[17] La più profonda intuizione del Buddha.

[18] Condizione di verità.

[19] Si veda il cap. 64, Udonge.

[20] Il Bodhisattva Bhaishajya-rāja, il Bodhisattva Re della Medicina.

[21] Śramana (lett. “Colui che si sforza”) originariamente descriveva un mendicante itinerante che non apparteneva alla casta dei brahmāni, diversamente da un parivrājaka, un mendicante itinerante religioso di origine brahmānica. Il Buddha applicò ai monaci buddhisti il termine śramana.

[22] Una strofa, una serie di versi. 

[23] Una delle sei pārāmita o perfezioni. Prajñā è la conoscenza intuitiva profonda, trascendente; è la forma più alta e completa di conoscenza, e non ha nulla a che vedere con la conoscenza concettuale.

[24] Il Maestro Daiman Kōnin (688-761), successore del Maestro Dai-i Dōshin e quinto Patriarca in Cina. Noto anche come Ōbai. [Ta-man Hung-jen]

[25] Si riferisce alla trasmissione tra il Maestro Daiyō Kyōgen e il Maestro Tōsu Gisei. Ricevendo il ritratto, i sandali e altri effetti personali affidati dal Maestro Daiyō al Maestro Fuzan, il Maestro Tōsu succedette al Maestro Daiyō.

[26] Cioè, partecipiamo della medesima condizione di risveglio.

[27] Vimalakīrti, un discepolo laico del Buddha, eccellente nella filosofia buddhistica.

[28] Il Bodhisattva Maitreya, il Buddha successivo al Buddha Śākyamuni.

[29] Lett. “Non nascita” o “Non apparenza”, è sinonimo di nirvāna .

[30] Dal sanscrito tathatā, la natura assoluta e incondizionata di tutte le cose.