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BUTSUDŌ

La Via del Buddha

 

 

In questo capitolo il Maestro Dōgen affronta l’argomento del Dharma come insegnamento unico e indivisibile. L’aspetto filoso­fico, l’aspetto etico legato all’azione e l’addestramento allo zazen, formano un corpo unico: il corpo dell’Insegnamento del Buddha. Su questa base, il Maestro Dōgen, attraverso una lunga serie di esempi, mostra quanto sia errato l’uso di distinguere l’insegnamento in varie scuole, e critica l’utilizzo delle loro varie denominazioni.

 

Sōkei, il vecchio Buddha, disse una volta ad una assemblea di monaci: “Tra Enō e i sette Buddha del passa­to vi sono stati quaranta Pa­triarchi.” Studiando questa affermazione, vediamo che tra i sette Buddha del passato ed Enō, ci sono stati quaranta Buddha. Il numero dei Buddha e dei Patriarchi è sempre computato in questo modo. Vale a dire, sette Buddha equivale a sette Patriar­chi, e trenta tre Patriarchi equivale a trenta tre Buddha. Questo è l’argomento esposto da Sōkei ed è l’insegnamento sulla corretta trasmissione. Solo chi abbia ricevuto la corretta trasmissione può computare con esattezza la corretta trasmissione.

A partire dal Buddha Śākyamuni fino a Sōkei, ci sono tren­taquattro Patriarchi. Tutte le trasmissioni intervenute tra i Buddha e i Patriarchi sono simili a quella avvenuta tra Mahākāśyapa e il Tathā­gata. Così come il Buddha Śākyamuni ha studia­to sotto il Buddha Kāśyapa, oggi gli allievi studiano sotto i loro maestri. Per questo l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge è stato trasmesso ininterrotta­mente. La vera vita del Dharma del Buddha è tramandata solo grazie alla corretta trasmissione. Poi­ché il Dharma viene correttamente tra­mandato, la tra­smissione continua.

Dunque il merito e l’essenza del Dharma del Buddha sono trasmessi intatti. L’India e la Cina distano tra loro migliaia di chilometri, e più di duemila anni ci separano dall’epoca del Bud­dha. Co­loro che non considerano questo aspetto, attribuiscono all’Oc­chio e Tesoro della Vera Legge e alla Serena Mente del Nirvāna, il nome di setta Zen. Per questi, patriarca significa patriarca Zen ed un erudito è un maestro Zen. Essi parlano di sé come monaci Zen e come se­guaci Zen. Tutto ciò deriva da un’errata percezione: essi vedono i rami e le foglie, non la radice.

 Sia in India che in Cina, tanto nel passato quanto ai giorni nostri, non è mai esistito alcunché chiamato setta Zen. Chiunque usi questa espressione è un dèmone che cerca di di­struggere il Dharma del Buddha. I Buddha e i Patriarchi dete­stano questa gente. Nel Rinkan­roku[1] di Sekimon si afferma: “Inizialmente, Bodhidharma si trasferì da Ryō a Gi; poi si sta­bilì allo Shōrinji, sul monte Sū. Lì, non fece altro che sedere di fronte ad un muro. Non stava facendo Zen. Per molti anni la gente comune fu incapace di comprendere il motivo di questo comportamento e decise che egli stava imparando lo Zen, una forma di meditazione. Ma come può il dhyāna,[2] da solo, essere suf­fi­ciente al supremo risveglio? Gli storici dell’epoca hanno classificato lo Zen tra le pratiche meditative che mirano a rendere corpo e mente simili ad un albero secco e a fredde ceneri. Tuttavia, i risvegliati non iniziano e non cessano la medi­tazione, e nemmeno sono mai separati dalla loro attenzione. Utilizziamo l’I-Ching per interpretare lo yin e yang, ma noi stessi non siamo, di fatto, separati dalle forze dello yin e dello yang.”

Chiamarlo ventottesimo Patriarca è sulla base del fatto che Mahākāśyapa è il primo Patriarca. Partendo dal Bibashi Buddha,[3] Bo­dhidharma è il trentacinquesimo Patriarca. I sette Buddha e le trentacinque gene­razioni non sono mai stati computati semplicemente sul pre­sup­posto della meditazione Zen quale mezzo per ottenere il risveglio. Per questo i nostri predecessori hanno detto: “Il dhyāna è solo una delle prassi tipiche; come può da solo render conto della Buddhità?”

Queste parole rivelano l’essenza della scuola dei Pa­triarchi e devono essere riaffermate a gran voce. É difficile oggi trovare persone simili nella Cina della dinastia Sung. Nella grande Via della corretta trasmissione dei Buddha, chi usa l’espressione ‘Setta Zen’ non ha mai visto, udito, e neppure sognato la vera Via. Chiunque, uo­mo o donna, marchi il suo insegnamento con questo appellativo, non par­tecipa del Dharma del Buddha. Chi ha iniziato ad utilizzare l’espressione ‘Setta Zen’? Sappiate che un simile appellativo è opera dei dèmoni, e che chiunque si esprime in questo modo non è erede dei Buddha e dei Patriarchi.

Un giorno sul Picco dell’Avvoltoio, l’Universalmente Venerato, di fronte a milioni di persone sollevò un fiore di udumbara ed ammiccò. Tutti rimasero silenziosi ad eccezione di Mahākāśyapa che sorrise leggermente. In quel momento l’Universalmente Vene­rato disse: “Possiedo l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, e la Serena Mente del Nirvāna, oltre ad un kesa speciale.[4] Questo Io ora trasmetto a Mahākāśyapa.” Ciò che l’Universalmente Venerato trasmise a Mahākāshyapa fu l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge e la Se­rena Mente del Nirvāna. Egli non elargì altro a Mahākāśyapa e non disse nulla circa la tra­smissione di una ‘Setta Zen’. Quando donò il kesa a Mahākāśyapa non affermò trattarsi del kesa della ‘Setta Zen’. L’Universalmente Venerato, in tutta la sua vita, non utilizzò mai l’espressione ‘Setta Zen’.

Quando Eka[5] chiese a Bodhidharma di accettarlo quale al­lievo, questi gli disse: “La suprema, meravigliosa Via di tutti i Buddha richiede diligenza costante, addestramento severo e sforzo paziente. Se ti accosti ad essa con scarsa determinazione, superficialità e presunzione, non realizzerai nulla. Il sigillo del Dharma di tutti i Buddha non è qualcosa che si possa ottenere dagli altri. Il Tathāgata ha trasmesso a Mahākāśyapa l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge.” Bodhi­dharma qui rivela la suprema e mera­vigliosa Via di tutti i Buddha, l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge e il Sigil­lo del Buddha Dharma. Allora, nessuno utilizzava l’espressione ‘Setta Zen’, né vi era motivo di farlo. L’Occhio e Tesoro della Vera Legge si manifesta at­traverso la trasmissione diretta, viso a viso, dell’alzare un soprac­ciglio e ammiccare. Esso si manifesta attraverso corpo, mente, ossa e midollo; esso è stato tramandato prima e dopo l’esi­stenza di un corpo, ed è ugualmente trasmesso sia all’interno sia all’esterno della mente.[6]

Quando l’Universalmente Venerato incontrò Mahākāśyapa, quando il primo Patriarca incontrò il secondo Patriarca, quando il se­sto Patriarca incontrò il quinto Patriarca, quando Seigen incontrò Nangaku,[7] non si parlò mai di una scuola Zen. Chi e quando iniziò ad utilizzare questo termine? Molti di coloro che si occupano del Dharma del Buddha non meritano di essere chiamati studenti; proba­bilmente proprio coloro che hanno infranto la Legge, impadronendosi immeritatamente del Dharma, hanno dato origine a tutta questa confusione. An­che se i Buddha e i Patriarchi non hanno mai permesso di utilizzare questa espressione, alcuni dei loro seguaci hanno negligente­mente utilizzato tale de­nominazione e screditato i veri eredi. Essi ne abusano dando l’impressione che vi sia qualche ulteriore legge oltre al Dharma dei Buddha e dei Patriarchi. Se esiste un altro sentiero questo di certo non è un sentiero buddhistico. Quali discendenti del Buddha e dei Patriarchi, noi dobbiamo studiare le loro ossa, midollo e vero volto. Lo studio degli insegnamenti dei Buddha e dei Patriarchi deve essere condotto in modo cor­retto, non alla maniera dei non-iniziati. Essere nati come esseri umani è una preziosa op­por­tunità, frutto del merito acquisito con l’addestramento del passato. Incoraggiare gli insegna­menti eterodossi non è certo il modo di ri­pagare il nostro grande de­bito nei confronti dei Buddha e dei Patriarchi.

Nella grande Cina della dinastia Sung, espressioni quali setta Zen, o setta del Dharma, setta della mente-di-Buddha e simili, recentemente vengono utilizzate in modo indiscrimina­to e gene­rano una grande confusione. Ciò può accadere perché la gente non ha mai udito né ricevuto l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, né la grande Via dei Buddha e dei Patriar­chi. Una volta compreso che cosa sia l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, come si può chiamarlo in qualche altro modo? Considerate questo. Il Grande Insegnante Sekitō Musai,[8] del monte Nangaku, insegnò ad una assemblea di monaci: “La nostra porta del Dharma è stata trasmessa dagli antichi Buddha. Non si è mai parlato di meditazione Zen, di sforzo o degli altri pārami­tā;[9] svilup­piamo piuttosto l’illuminata visione del Bud­dha.”

Sappiate che tutti i Buddha e i Patriarchi che hanno ri­cevuto la corretta trasmissione dei Sette Buddha del passato, di­cono: “La no­stra porta del Dharma[10] è stata trasmessa dagli anti­chi Buddha”, anzi­ché dire: “La nostra setta Zen è stata trasmessa dagli antichi Buddha e la Via è ora manifesta.” Il Dharma del Buddha è ben più dei pāra­mitā; dobbiamo sviluppare la visione illuminata del Buddha. Non respingiamo l’esercizio dei pāramitā, ma in­sistiamo sullo sviluppo della visione illuminata del Buddha. A tal proposito, Śākyamuni disse: “Io possiedo l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge.” ‘La nostra’ significa ‘io possie­do’, ‘porta del Dharma’ equi­vale a ‘vera Legge’, e ‘La nostra’, ‘io pos­siedo’, e ‘il mio midollo’ si­ unificano in: “Tu hai ricevuto e conseguito.”   

Il Grande Insegnante Musai[11] fu il vero discepolo dell’Alto Pa­triarca Seigen, e fu l’unico a ricevere il suo più intimo insegnamento. Musai era stato ordinato da Sōkei,[12] il vecchio Buddha. Così il vec­chio Buddha Sōkei fu il suo Patriarca e pa­dre, e Seigen suo mae­stro e fratello. Tra tutti gli allievi, solo Sekitō Musai ereditò il seggio patriarcale della Via del Bud­dha. La corretta trasmissione passò a lui solo. Ogni sua espressione è quella di un vecchio Buddha, di là del tempo. Deve essere la visione illuminata dell’Occhio e Tesoro della Vera Legge: nulla può uguagliarla. Coloro che non lo sanno, parago­nano erronea­mente Musai a Kōsei Daijaku.[13] Perciò do­vremmo com­prendere questo: se la Via tra­smessa dagli antichi Buddha non è solo il dhyāna, come può esistere qualcosa denominato ‘setta Zen’? Usare tale espressione è un grave errore. Soltanto gli sciocchi che non possiedono una cor­retta conoscenza pensano che il nostro metodo sia un insegna­mento simile a quello delle scuole Hosso o Sanron;[14] tutto ciò che non può essere classificato, non riescono a valutarlo. La Via del Buddha non è questa; non esiste qualcosa chiamato ‘setta Zen’.

I profani dei giorni nostri non conoscono le anti­che Vie e non possiedono la trasmissione che viene dagli an­tichi Bud­dha,  perciò essi erroneamente sostengono che esistono cinque scuole.[15] Questo porterà al naturale collasso del Dharma del Buddha. Il mio defunto Maestro, il vecchio Buddha Tendō, era l’unico ad affliggersi per que­sto. Probabilmente questo stato di cose è inevitabile, ma nondimeno il Dharma può essere conse­guito. Il mio defunto Maestro, il vecchio Buddha, salì sulla piatta­forma dell’insegnamento e disse: “Oggi si sostiene che Ummon, Hō­gen, Igyō, Rinzai e Sōtō possiedano caratteristiche peculiari. E non è questo l’insegnamento della Legge del Buddha, né è la Via dei Patriarchi.”

Per un migliaio di anni nessuno mai aveva proferito una si­mile frase: soltanto il mio defunto Maestro poteva usare un simile modo di esprimersi. Queste sono parole che, nell’intero Universo, si sen­tono raramente; esse possono provenire soltanto dall’ele­vato seggio del Dharma. Tra le migliaia di monaci che ricercano la Via, ce n’è almeno uno che ascolti con il vero udito e che veda con la vera vista? Come pos­sono essere capaci di udire con corpo e mente interi? Anche coloro che cercano di farlo, non sono in grado di afferrare, udire, illuminare, credere e lasciare cadere, il corpo e mente del mio defunto Maestro. É veramente un peccato.

Nella Cina della grande dinastia Sung, il mio defunto Mae­stro era considerato uno tra i tanti monaci anziani. Non c’era nessuno che possedesse una chiara visione? Alcuni lo considera­vano allo stesso livello di Rinzai[16] e Tokusan,[17] ma non avevano mai visto veramente né il mio defunto Maestro né Rin­zai. Prima di prostrarmi davanti al mio defunto Maestro mi pro­ponevo di studiare l’essenza delle cinque scuole; dopo averlo incontrato ho imparato che l’espressione ‘Cinque scuole’ o ‘Cinque sette’ genera solo confusione.

Perciò durante l’apogeo del Dharma del Bud­dha, nella Cina dei Sung, non si utilizzava l’espressione ‘Cinque sette’. Gli antichi non hanno mai cercato di fondare nuove scuole, diffe­renziando le diverse correnti. Solo con l’inizio della degenera­zione del Dharma si è cominciato a parlare delle cinque scuole, da parte di chi è carente sia nello studio sia nel corretto esercizio della Via. Coloro che intendono studiare veramente la Via del Buddha evi­tano di utilizzare questo termine e di fatto lo can­cellano dalla mente. Se non è possibile distinguere cinque sette, come possiamo differenziare gli insegnamenti sangen, sanyo, shiryoken, shishojo e kyutai[18] di Rinzai; o il sanku[19] di Ummon, il goi[20] di Tōzan, e il judoschin­chi[21] di Furyō?

La Via di Śākyamuni non consiste di simili scioc­chez­ze, né è un ammasso di concetti. Con simili cose non si realizza la Via. Né Bodhidharma, né Sōkei ne parlarono mai. É veramente una grande ver­gogna che monaci di quest’epoca decaduta, che non hanno mai udito l’insegnamento e che non sono in grado di aprire l’occhio illuminato di corpo e mente, si inventino tali cose. I discendenti dei Buddha e dei Patriarchi non hanno mai parlato così, né hanno fatto discorsi approssimativi. Ai giorni nostri, tutti coloro che non si sforzano di studiare il Dharma nella sua totalità, che non chiariscono la Via con la propria intera vita, e che posseggono solo una comprensione parziale, sono orgo­gliosi di quel poco che hanno imparato, ed inventano espressioni quali ‘setta Zen’. Una volta consolidata quest’abitudine, chi segue, trascurerà le radici dell’insegna­mento. Si è persa la volontà di studiare le antiche vie, e i monaci desiderano solo di mescolarsi con i laici, per quanto proprio questi ultimi condannino un simile genere di comportamento.

Il re Bun di Shu, chiese a Taiko-bo: “Anche quando un prin­cipe sceglie dei saggi come suoi ministri, i buoni risultati so­no rari. Al contrario, la situazione del paese si deteriora e il go­verno è vicino al collasso. Perché tutto questo?” Taiko-bo ri­spose: “Puoi anche sce­gliere dei saggi, ma se non li utilizzi pie­namente, li nominerai ministri solo di nome.” Il re chiese: “Qual è il problema principale?” Taiko-bo gli disse: “Di fatto, il re nomina ministri coloro che il mondo reputa sapienti, non i veri saggi.” Il re chiese: “Che cosa intendi dicendo ‘coloro che il mondo reputa sapienti’?” Taiko-bo rispose: “I veri saggi non aspirano ad una fama personale; nominando coloro che hanno coltivato la propria reputazione mondana il re fa di una per­sona ordi­naria un saggio, di uno sciocco fa un accorto consi­gliere, di un tradi­tore un ministro leale, e di un ladro un funzio­nario fidato. Questo è quello che succede quando un re sceglie e favorisce chi è privo di una vera quali­fica e gode solo di una reputazione mon­dana. Egli si circonda di cattivi consiglieri che lo ingannano ed eliminano i ministri leali; co­loro che godono di una falsa reputa­zione giungeranno ad occupare posizioni ele­vate, il paese sarà gettato nel disordine e il governo crollerà.”

Anche la gente comune deplora la rovina del proprio paese; a maggior ragione i discendenti del Buddha dovrebbero affliggersi per la decadenza del Dharma e della Via. Il motivo di questo disastro è che la gente agisce secondo i più bassi criteri mondani. Non conseguiremo mai la vera saggezza, cercando l’apprezzamento degli uo­mini di mondo. La vera saggezza illumina passato e futuro. Coloro che godono di stima non necessariamente sono saggi e santi, ma non lo sono neppure coloro che vengono calunniati. Non è sempre vero che chi è biasimato dal mondo è un saggio, così come non sempre chi è sti­mato è un truffatore. Se i saggi non sono consultati, il paese soffre; se gli sciocchi ricevono incarichi importanti, il paese è afflitto.

L’uso dell’espressione “Cinque scuole”, tanto in voga og­gi, deriva dalla situazione sociale confusa. Molti seguono gli insegna­menti mondani, ma pochi sono in grado di riconoscerli per quello che sono. Coloro che sanno trasformare il profano sono chiamati saggi, coloro che seguono il mondo sono chia­mati sciocchi. Come possono questi ultimi venire a conoscenza della vera Legge? Come saranno capaci di diventare dei Buddha e dei Pa­triarchi? Il Dharma del Buddha è stato trasmesso da Patriarca a Patriarca, a partire dai sette Buddha del passato. Perché gli eruditi indiani hanno stabilito cinque divisioni e creato ognuno la propria scuola? I Patriarchi fondati nella vera vita del Dharma, non hanno mai distinto cinque generi d’in­segna­mento. Studiare che nel Dharma esistono cinque scuole, non è la via per diventare eredi dell’insegnamento dei sette Buddha del passato.

Il mio defunto Maestro disse ad un’as­semblea di mo­na­ci: “Ultimamente la Via dei Patriarchi è stata abbandonata, i dè­moni e le bestie abbondano. Essi cianciano continuamente sui diversi insegna­menti delle cinque scuole. Ciò mi addolo­ra infinitamente.”

Possiamo dunque sostenere che i ventotto Patriarchi indiani e i ventidue Patriarchi cinesi non hanno mai parlato delle cinque sette. Tutti i veri Patriarchi agiscono così. Coloro che distinguono cinque scuole basandosi sul loro individuale punto di vista, creano solo scompiglio e portano altri fuori stra­da; sono totalmente privi di comprensione. Se ognuno si fosse limitato a sostenere le proprie idee, come si sarebbe potuto tra­smettere la Via fino ai giorni nostri?  Se Kāśyapa ed Ānanda aves­sero considerato le loro personali opinioni come vero inse­gnamento, il Dharma del Buddha si sarebbe estinto già in In­dia.

Se ciascuno crea il suo personale insegnamento, chi può di­stinguere quello vero da quello falso? Come possiamo dire cosa sia e cosa non sia il Dharma del Buddha? Se questo problema non viene risolto, non esiste più nulla che possa essere indicato come Via del Buddha. Il termine ‘cinque sette’ non esisteva quando i Pa­triarchi erano ancora in vita. Quei Patriarchi, oggi considerati fondatori di sette, sono nel nirvāna; sono i loro allievi che erroneamente creano divisioni senza il consenso dei loro maestri. Questo è certo e tutti devono esserne consapevoli.

Il Maestro Zen Dai-en[22] del monte Dai-i, era allievo di Dai­chi[23] di Hyakujō. Essi vissero sul monte Isan nello stesso pe­riodo, ma nes­suno dei due parlò mai del Dharma della setta Igyō.[24] Sul monte Isan, Hyakujō non di­scusse mai della scuola Igyō. Nessuno di essi utilizzò questa espressione, che è falsa. An­che se questo termine fosse stato usato dai loro allievi per co­modità, non avrebbero comunque dovuto usare il nome Igyō. Se Isan avesse così voluto, l’avrebbe fatto lui stesso; egli tuttavia non fece mai una cosa simile e neppure i suoi pre­decessori. Enō non disse mai ‘scuola Sōkei’, Ejō non disse mai ‘scuola Nanga­ku’, Baso non disse mai ‘scuola Kōseishi’, e nep­pure Daichi disse mai ‘scuola Hyakujō’. Certamente Isan non avrebbe agito diversamente da Sōkei né, naturalmente, si può considerare Isan supe­riore a Sōkei.

Ciò che Dai-i disse, commentando parole e frasi, non è ciò che disse Isan. Si dovrebbe dire setta Isan e setta Dai-i, invece di setta Igyō. Nessun precedente giustifica l’espressione ‘setta Igyō’. Se tale denominazione fosse ne­cessaria si sarebbe dovuta stabi­lire quando entrambi erano vivi. Se non la usarono in vita, come può essere utilizzata ora? Se tale espressione non esisteva alla loro epoca, utilizzarla oggi è contrario all’insegnamento dei Patriarchi. Questa usanza sarà causa di grande sofferenza per i loro discendenti, e non era certamente questa l’intenzione dei Maestri Zen Dai-i e Gyōzan. Non è questa la corretta trasmissione ricevuta da un insegnante quali­ficato, bensì chiacchere perverse di farabutti. Non si sarebbe mai dovu­to dif­fondere nel mondo questa specie di non-senso.

Il Grande Maestro Eshō[25] abbandonò la prassi del dare let­tura dei sūtra e divenne allievo del Maestro Zen Ōbaku.[26] Assaggiò il ba­stone del suo Maestro in tre diverse occasioni, rice­vendone in tutto sessanta colpi. In seguito si recò presso Daigu[27] dove conseguì il risve­glio. Si stabilì infine al Rinzaiin, nel Chin­shū. Benché avesse com­pletamente chiarito il cuore dell’inse­gna­mento di Ōbaku, non parlò mai del suo insegnamento come Dharma della setta Rinzai, né in­segnò a farlo ai suoi allievi. Tuttavia, qualcuno dei suoi seguaci ignorò i suoi avverti­menti e iniziò ad utilizzare la denominazione ‘scuola Rinzai’. Non avendo com­preso la vita del Grande Insegnante Eshō e fraintendendo le parole di Śākyamuni, essi crearono questa espressione. Poco prima di morire Rinzai disse al Maestro Zen Sanshō Ennen:[28] “Quando sarò morto non lascia­re che il mio Occhio e Tesoro della Vera Legge perisca.” Ennen disse: “Come potrei per­mettere che il tuo Occhio e Tesoro della Vera Legge perisca?” Rinzai gli chiese: “Se qualcuno ti interro­gherà in propo­sito, che cosa dirai?” Ennen gridò: “Katsu!” e Rinzai replicò: “Chi avrebbe mai pensato che il mio Occhio e Tesoro della Vera Legge sarebbe scomparso con quest’asino cieco!” E con queste parole fu trasmessa la Via.

Rinzai non disse: “Non lasciare che la mia setta Zen perisca”, o “Non la­scia­re che la mia scuola Rinzai perisca”, o ancora “Non lasciare che la mia setta scom­paia.” Egli semplicemente disse: “Non lasciare che il mio Occhio e Tesoro della Vera Legge perisca.” Dob­biamo comprendere, con chia­rezza, che nella grande Via della corretta trasmissione dei Buddha e dei Patriarchi, definizioni quali setta Zen o setta Rinzai non sono mai state usate. Non dite mai setta Zen. ‘Perire’ è un elemento dell’Occhio e Tesoro della Vera Legge; è così che venne trasmesso. “Il mio insegna­mento perirà con quest’asino cieco” signi­fica che Rinzai sapeva con certezza chi avrebbe trasmesso la sua Legge. Tra tutti gli al­lievi di Rinzai, Sanshō era il migliore, e nessuno poteva essere paragonato a lui. La sua posizione era nettamente rico­nosciuta. Il rapporto tra Rinzai e Sanshō è lo stesso che tra Buddha e Pa­triarca. La moderna trasmissione da Rinzai a Sanshō è identica a quella antica avvenuta sul Picco dell’Avvoltoio. Dunque, l’espressione ‘scuola Rinzai’ non deve essere utilizzata.

Il Grande Insegnante Kyōshin[29] del monte Ummon, stu­diò sotto il Patriarca Chinsonschuku.[30] Ummon era un erede di Ōbaku e tra­smise il Dharma di Seppō. Egli non chiamò mai l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, ‘scuola Ummon’. I suoi allievi, che non comprendevano i nomi Igyō e Rinzai, cominciarono a utiliz­zare la de­nominazione ‘scuola Ummon’. Se avesse avuto l’intenzione di fondare una scuola, il Grande Inse­gnante Kyōshin non sa­rebbe stato considerato uno che ha conseguito corpo e mente del Dharma del Buddha. Appli­care al suo inse­gnamento la denominazione scuola, è come dare del fuo­rilegge all’imperatore .

Il Maestro Zen Dai Hōgen,[31] di Shoryoin, fu l’erede nel Dharma di Jizōin,[32] e fu uno dei discendenti spirituali di Genshain. In que­sto non c’è errore. L’imperatore gli conferì il titolo di Dai Hōgen e, perciò, la gente cominciò a definire setta Hōgen, l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge. Non una sola pa­rola tra migliaia può giustifi­care questo, eppure i suoi allievi usarono il termine ‘setta Hōgen’. Se oggi Hōgen fosse vi­vo ed insegnasse la Via, subito proibirebbe un simile comportamento. Purtroppo, dacché il Maestro Hōgen è morto, nessuno può curare questa malattia. Chiun­que intenda venerare Hōgen veramente, non dovrebbe mai usare l’espressione ‘scuola Hōgen’, neppure a mille anni dalla sua morte. Questa sarebbe la sincera venerazione del Maestro Zen Hōgen. Um­mon, Hōgen e tanti altri sono gli eredi spirituali dell’Alto Patriarca Sei­gen; essi possiedono le ossa della Via e il midollo della Legge.

L’Alto Patriarca Gohon,[33] fu l’erede nel Dharma di Ungan[34] che, a sua volta, fu il successore del Gran­de Inse­gnante Yakusan.[35] Yakusan trasmise la Legge del Grande Insegnante Se­kitō,[36] e Sekitō fu l’unico erede del Pa­triarca Seigen.[37] Non vi furono altri discepoli, Seigen fu l’unico. La vera vita della Via del Buddha ancora presente in Cina, deve la sua esistenza alla completa trasmis­sione, da parte di Sekitō, dell’insegnamento di Seigen.

L’Alto Patriarca Seigen visse nello stesso periodo del vec­chio Buddha Sōkei; egli incorporò l’insegnamento di Sōkei al suo. Mentre il suo maestro era ancora in vita, Seigen fu mandato nel mondo e tutti poterono vederlo e udirlo. Questa fu la corretta trasmis­sione tra le corrette trasmissioni ed egli fu Patriarca tra i Patriarchi. Tra Sōkei e Seigen nessuno superava l’altro; entrambi erano i mi­gliori.

Mentre il vecchio Buddha Sōkei stava per entrare nel parinirvāna e si accingeva a trasmettere il suo insegnamento finale, Sekitō gli si presentò innanzi e chiese: “Dopo che ci avrai la­scia­to chi sarà il nostro insegnante?” Il vecchio Buddha rispo­se: “Chiedi a Sei­gen.” Non disse: “Chiedi a Nangaku.” Dunque, l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge del vecchio Buddha venne correttamente trasmesso solo al Patriarca Seigen. Il livel­lo di realizzazione di Nangaku era alto, ma non come quello di Sei­gen. Il vecchio Buddha scelse Seigen come il migliore tra tanti. Il figlio conseguì il midollo del padre e divenne il vero e legit­timo erede dei Patriarchi.

Il Grande Insegnante Tōzan rappresentò la quarta generazione degli eredi del Dharma nella linea di Seigen. Egli tra­smise correttamente l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge e aprì l’occhio della Serena Mente del Nirvāna. Non c’è altra tra­smissione, altra setta o scuola al di fuori di questa. Il Grande In­segnante Tōzan non usò mai la definizione ‘scuola Sōtō’, in nessuno dei suoi discorsi sul Dharma. Nella sua comunità non c’era po­sto per gli sciocchi o per i dilettanti; nessuno che fosse sano di mente avrebbe parlato di una setta Tōzan e tantomeno di una setta Sōtō.

La definizione ‘setta Sōtō’ è forse la combinazione dei nomi Tōzan e Sōzan. Se così fosse, allora dovrebbero esservi inclusi an­che i nomi di Ungo e Dōan. Ungo, in partico­lare, fu insegnante di uo­mini e dèi, e fu per molti aspetti superiore a Sōzan. Così, il nome Sōtō nacque con allievi falsi e corrotti che pensa­vano di aver raggiunto lo stesso alto livello; furono questi ad introdurre la definizione ‘scuola Sōtō’. Essi sono nu­vo­le vaganti che oscurano il sole splendente.

Il mio defunto Maestro disse: “Di questi tempi molti si sono proclamati maestri da sé, siedono sul Seggio del Leone, ed istruiscono uomini e dèi. Tuttavia, nessuno di essi ha vera­mente colto l’esperienza dei princìpi del Dharma del Buddha.” So­no costoro che hanno coniato l’espressione ‘cinque scuole’, aggrappandosi a parole e  frasi e agendo come nemici dei Buddha e dei Pa­triarchi.

Parimenti, i seguaci del Maestro Zen Ōryu[38] hanno fondato una setta Ōryu, anche se molti sanno che si tratta di una definizione non appropriata. Il Buddha Śākyamuni, quando era nel mondo, non parlò mai di una scuola del Buddha, e nemmeno di una setta del Picco dell’Avvoltoio, di una setta Jetavana, di una scuola della nostra mente, o di una scuola della mente-di-Buddha. Esiste forse, tra tutte le parole pronunciate dai Buddha, qualche frase che si riferisca alla setta della mente-di-Buddha? Perché mai oggi la gente usa una simile espressione? Perché mai Śākyamuni avrebbe dovuto chiamare scuola della Mente, il suo insegnamento? Come si può applicare il ter­mine ‘setta’ a mente?

Se c’è una scuola della mente-di-Buddha, de­ve esserci anche una scuola del corpo-di-Buddha, dell’occhio-di-Buddha, dell’orecchio-di-Buddha, e deve esserci anche una scuola del naso-di-Buddha, della lingua-di-Buddha, e ancora, una scuola del midollo-di-Buddha, una scuola delle ossa-di-Buddha, una scuola della terra-di-Buddha, e così di seguito. Dal momento che queste non esisto­no, non esi­ste neppure una scuola della mente-di-Buddha.

Il Buddha Śākyamuni rivelò la vera forma di tutte le forme, da un capo all’altro delle dieci direzioni della terra di Buddha. Quando proclamò il Dharma non disse nulla circa il fondare una setta. Se nel Dharma dei Buddha e dei Patriarchi esiste qualcosa che si possa chiamare scuola, questa deve esistere nella terra-di-Buddha. Se questa esiste nella terra-di-Buddha, il Buddha deve averla proclamata. Se non l’ha procla­mata, non la si trova nella terra-di-Buddha. I Patriarchi non usano un simile termine e non ne hanno bisogno. Persino la gente comune si rompe la testa nel tentativo di suddividere in scuole, e tutti i Buddha lo hanno sempre proibito. É un tentativo ridico­lo. Evitate di utilizzare questa parola e non parlate delle cinque scuole del Dharma del Buddha.

Qualche anno fa, un giovane novizio di nome Chiso[39] compilò un’antologia di detti dei Patriarchi, chiamata “Gli Oc­chi degli Dèi e degli Uomini” e, arbitrariamente, suddivise l’in­segna­mento in cinque correnti. Questo libro ha portato fuori stra­da molti studenti, non solo i principianti ma anche i più esperti. Non si tratta degli “Occhi degli Dèi e degli Uomini”; oscurando gli occhi degli esseri umani e degli dèi, come può conte­nere il potere dell’Occhio e del Tesoro della Vera Legge?

L’antologia fu compilata da Chiso nel dicembre 1188, nel tempio Mannenji, sul monte Tendai. Un’opera, anche se non è di attualità, dovrebbe essere stilata con cura, se è in sintonia con la Via. Tuttavia, le premesse del libro sono capziose e scioc­che. Poiché l’autore non possedeva l’Occhio per lo studio e la prassi, come avrebbe potuto guardare negli occhi i Buddha e i Pa­triarchi? Chiso non è un commentatore dotato d’in­tuizione ma è uno sciocco partigiano. Egli si è limitato a collezio­nare parole e frasi della gente comune e non i detti dei veri studenti della Via; egli non sapeva niente.

Gli studiosi cinesi hanno inventato i nomi delle scuole per amor di paragone. Tuttavia, l’ininterrotta trasmissione dell’Occhio e Tesoro della Vera Legge dei Buddha e dei Pa­triar­chi si conserva intatta, libera da confronti ed annacquamenti. Il Dharma del Buddha dovrebbe mantenere queste caratteristiche, eppure oggi gli anziani usano il termine scuola per scopi personali e non si curano degli effetti che tutto ciò produce sulla Via. La Via del Buddha non è la propria, piccola via perso­nale, ma è la Via di tutti i Buddha e i Patriarchi. La Via del Buddha è la Via del Buddha stessa.

Una volta, Taiko-bo disse al re Bun: “Il mondo non è stato fatto per una singola persona, esiste per tutti.” Questo è chiaro per coloro che vivono nel mondo, infatti lo ripetono spesso. I discendenti dei Buddha e dei Patriarchi non devono fondare scuole personali, basate su idee scriteriate. Questo è un errore imperdonabile; i seguaci della Via non do­vreb­bero mai agire in questo modo. Se esistesse qualcosa come le sette, sicuramente l’Universalmente Venerato avrebbe usato questa parola. Ep­pure, egli non ha mai parlato di una sua scuola; perché dun­que i Suoi discendenti si comportano così, dopo il suo parinirvāna?

Vi è qual­cuno che conosca una via di liberazione migliore di quella insegnata da Śākyamuni? Non vi è alcun merito nel fondare una propria scuola. Lo fanno i nemici della Via dei Buddha e dei Patriarchi, rendendo così impossibile sapere chi siano realmente gli eredi del Buddha. Lasciando da parte le meschinità, riflettete sugli studenti del passato e su quelli di oggi. La nostra attuale prassi non do­vrebbe scostarsi di un capello da quella attuata dall’Universal­mente Venerato quando era in vita. Il nostro insegnamento non dovrebbe deviare di una virgola dal suo. Agendo in questo modo ci sarà felicità; se non andiamo fuori strada saremo i veri eredi del Buddha. Dovremmo far vo­to, attraverso le nostre innumere­voli rinascite, di servire il Buddha, di vedere la sua forma, e di udirne il Dharma.

In ogni caso, agire in contrasto con le istruzioni im­par­tite dall’Universalmente Venerato quando era in questo mondo, e comin­ciare ad identificare il proprio insegnamento con una scuola, non è il comportamento di un vero allievo del Tathāgata[40] o dei Patriarchi; è una colpa peggiore delle viola­zioni più gravi. Non rispettare la suprema illuminazione del Tathāgata e vantare la propria scuola come la mi­gliore, significa solo non sapere nulla dell’insegna­mento antico e non co­noscere la tradizione. In questo caso non c’è alcuna fiducia nel potere dell’esi­stenza dell’Universalmente Venerato e non c’è Dharma. Perciò la corretta trasmissione del vero Dharma, non ricerca né presta attenzione alla parola ‘setta’.

Da Buddha a Buddha, da Patriarca a Patriarca è necessario che sussista una corretta trasmissione dell’Occhio e del Tesoro della Vera Legge della suprema illuminazione. Il Dharma custodito dai Buddha e dai Patriarchi è trasmesso da tutti i Buddha; non vi è altro Dharma. Questo principio è le ossa e il midollo del Dharma.

 

 

Trasmesso ad un’assemblea di monaci nel Kippōji, Echi­zen, Yoshida-gun, il 16 settembre 1243.

Trascritto da Ejō, a notte fonda, il 23 ottobre del 1243.



[1] La Raccolta della Foresta, una raccolta in due volumi, pubblicata nel 1107, compilata dal Maestro Kakuhan Eko (1071-1128). Sekimon era il nome del distretto in cui si trovava il suo tempio.

[2] Questo termine sanscrito significa Zen, meditazione, concentrazione. È uno dei sei pāramitā o perfezionamenti.

[3] Il Buddha Vipaśyin. Si veda il cap. 52, Busso.

[4] Si riferisce al kesa samghātī. Si veda il cap. 78, Kesa-kudoku.

[5] Il Maestro Taiso Eka (487-593), il successore del Maestro Bodhidharma. Noto anche come Jinkō Eka. [Shen-kuang Hui-k’o]

[6] Si riferisce all’aspetto filosofico concettuale, e all’aspetto empirico.

[7] Il Maestro Seigen Gyōshi (?-740) e il Maestro Nangaku Ejō (677-744) erano entrambi discepoli del sesto Patriarca Daikan Enō.

[8] Il Maestro Sekitō Kisen (700-790), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō. [Shih-t’ou Hsi-ch’ien]

[9] I pāramitā, o perfezionamenti sono sei: dāna (il libero donare), śīla (l'integrità morale, l'etica), ksānti (la pazienza), vīrya (il vigore), dhyāna (l'assorbimento, la concentrazione), e prajñā (la saggezza trascendente). Il sanscrito pāramitā significa ciò che è arrivato alla sponda opposta, opera ben compiuta.

[10] Si riferisce allo zazen che il Maestro Dōgen definisce “La pacifica e gioiosa porta del Dharma”.

[11] Il Maestro Sekitō Kisen (700-790). Musai Zenji è il suo titolo postumo. [Shih-t’ou Hsi-ch’ien]

[12] Il Maestro Daikan Enō (638-713). [Ta-chien Hui-neng]

[13] Il Maestro Baso Dōitsu (704-788), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō.  Daijaku Zenji è il suo titolo postumo. [Ma-tsu Tao-i]

[14] Rispettivamente un scuola materialistica ed una scuola idealistica.

[15] Il Dharma trasmesso dal se­sto Patriarca Daikan Enō [Ta-chien Hui-neng, 638-713], nel corso di alcune generazioni, diede vita a cinque diverse scuole ch'an, ciascuna come “Linea di Trasmissione”. Queste sono: la scuola Sōtō, la scuola Rinzai, la scuola Hōgen, la scuola Igyō, e la scuola Unmon .

[16] Il Maestro Rinzai Gigen (?-867), uno dei successori del Maestro Ōbaku Kiun. Eshō Zenji è il suo titolo postumo. [Lin-chi I-hsüan]

[17] Il Maestro Tokusan Senkan (780-865), nella linea di trasmissione del Maestro Sekitō Kisen. [Te-shan Hsüan-chien]

[18] È un riferimento rispettivamente a: i tre tipi di profondità, i tre perni, i quattro pensieri, le quattro relazioni tra riflessione e azione, i nove modelli. Dal Rinzai Zenji Goroku, una raccolta delle parole e di episodi della vita del Maestro Rinzai (?-866), scritta dal suo discepolo Hui-jan.

[19] I tre versetti.

[20] Le cinque posizioni di assoluto e relativo.

[21] I dieci tipi di vera saggezza condivisa.

[22] Il Maestro Isan Reiyū (771-853), successore del Maestro Hyakujō Ekai. Il suo titolo postumo è Daien Zenji. Noto anche come Daii. [Kuei-shan Ling-yu]

[23] Il Maestro Hyakujō Ekai (749-814), successore del Maestro Baso Dōitsu. [Pai-chang Huai-hai]

[24] Igyō è composto dalla I di Isan e da Gyō di Gyōsan (Kyōzan).

[25] Il Maestro Rinzai Gigen (?-867), uno dei successori del Maestro Ōbaku Kiun. Eshō Zenji è il suo titolo postumo. [Lin-chi I-hsüan]

[26] Il Maestro Ōbaku Kiun (?-855?), uno dei successori del Maestro Hyakujō Ekai. [Huang-po Hsi-yün]]

[27] Il Maestro Kōan Daigu (?), nella linea di trasmissione del Maestro Baso Dōitsu. [Ta-yü]

[28] Il Maestro Sanshō Enen (?), uno dei successori del Maestro Rinzai (815?-867). [San-sheng Hui-jan]

[29] Il Maestro Unmon Bun’en (864-949), nella linea di trasmissione del Maestro Seppō Gison. Daiji-un Kyōshin Zenji è il suo titolo postumo. [Yün-men Wen-yen]

[30] Il Maestro Bokujū Dōshō (780?-877?), uno dei successori del Maestro Ōbaku Ki-un. Noto anche come Chin Dōmyō. [Mu-chou Tao-tsung]

[31] Il Maestro Hōgen Mōn’eki (885-958), nella linea di trasmissione del Maestro Seppō Gison e fondatore della scuola Hōgen. [Fa-yen Wen-i]

[32] Il Maestro Jizō Keichin (867-928), nella linea di trasmissione del Maestro Seppō Gison. Noto anche come Rakan. [Ti-tsang Kuei-ch’en]

[33] Il Maestro Tōzan Ryōkai (807-869), nella linea di trasmissione del Maestro Yakusan Igen. [Tung-shan Liang-chieh]]

[34] Il Maestro Ungan Donjō (782-841), uno dei successori del Maestro Yakusan Igen. [Yün-yen T’an-sheng]

[35] Il Maestro Yakusan Igen (745-828), uno dei successori del Maestro Sekitō Kisen. [Yao-shan Wei-yen]

[36] Il Maestro Sekitō Kisen (700-790). [Shih-t’ou Hsi-ch’ien]

[37] Il Maestro Seigen Gyōshi (?-740), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. Egli fu il settimo Patriarca in Cina. [Ch’ing-yüan Hsing-ssu]

[38] Il Maestro Ōryu Enan (1002-1069), nella linea di trasmissione del Maestro Rinzai Gigen. [Huang-lung Hui-nan]

[39] Il Maestro Zen Kaigen Chisho (?). 

[40] Lett. “Così arrivato”.