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BENDŌWA

Una Storia sulla Prassi

 

 

È questo il primo trattato, in ordine di tempo, direttamente scritto dal Mae­stro Dōgen e poi incluso nello Shōbōgenzō. È un capitolo partico­larmente importante in cui sono trattati sinteti­camente tutti i capisaldi dell’insegnamento ricevuto in Cina. Simulando domande e risposte, egli mette a fuoco i temi fon­damen­tali rispetto alle perplessità diffuse tra i suoi ascoltatori di allora (e di ora): l’efficacia dello zazen, l’identità tra prassi e risve­glio, l’utilità o meno dello studio dei Sūtra e degli aspetti rituali, la non distinzione tra monaci e laici, ecc. Questo capitolo, rinvenuto a Kyōto durante l’era Kambun,[1] apparve nell’edizione in novantacinque ca­pitoli edita dal Maestro Hangyo Kozen, nell’era Genroku.[2]

 

Ogni Buddha ed ogni Tathāgata[3] possiede la mera­vigliosa capacità di rag­giungere la suprema e per­fetta illuminazione; essi si trasmettono que­sta illuminazione dall’uno all’altro, senza alte­ra­zione. Questa abilità trascende ogni espediente umano e non ne è limitata; essa è detta samādhi di fruizione,[4] il corretto me­todo e modello di trasmissione da Buddha a Bud­dha.

Per raggiungere questo samādhi  dovete var­care la vera porta dello zazen, il metodo migliore per manifestare il risveglio. Essa è presente in ognuno, ma senza prassi non può mani­festarsi e sen­za realizzazione non può essere percepita. Uno o tanti, orizzontale e verticale, non possono limi­tarla o de­scriverla. Parlane e ha già riem­pito la tua bocca, lasciala andare ed essa riempie le tue mani. I Buddha esistono all’interno del samādhi di fruizione, senza attaccamento; pure gli esseri sen­zienti esistono nel suo ambito, è solo che non com­prendono come funzionino le loro percezioni e la loro coscienza. È tramite questo samādhi che pos­siamo ritro­vare la vera realtà e raggiungere una perfetta armo­nia, semplicemente abbandonando la discri­minazione.

Subito dopo essermi messo alla ricerca del­la Via ho visitato molti maestri in ogni parte del Paese, cercando di trovare risposta alle mie do­mande. Ho incontrato l’Abate Myōzen[5] di Kenninji, e per nove anni ho studiato sotto di lui. Myōzen era il discepolo principale del Patriarca Eisai[6] ed è stato l’unico che abbia trasmesso correttamente il vero Dharma del suo Maestro. Nessuno degli altri discepoli può es­se­re paragonato a lui.

Sono poi stato nella Cina della grande di­nastia Sung, dove ho visitato molti luoghi, stu­diando i diversi metodi delle cinque scuole[7] e cer­cando di trovare il maestro giusto. Final­mente ho incon­trato il Maestro Zen Nyojō,[8] del monte Daib­yakuho, ed ho affrontato la prassi sotto di lui. Egli ha ri­solto ogni mio dubbio e ha chiarito la mia mente circa il vero significato della Via. Sono rien­trato in patria nel 1228. Ritornato in Giappone, ho fatto voto di trasmettere il Dharma a beneficio di tutti gli esseri anche qualora mi fosse stato molto difficile farlo conoscere. A causa dello stato di confu­sione sociale, tuttavia, ho deciso di aspettare un po’ prima di diffondere il Dharma del Buddha. Ho vagato di luogo in luogo, come le nuvole e le piante acquatiche, per guarda­re nel cuore di quei maestri che asse­rivano di trasmettere il Dharma. Eppure, dopo aver visto che molta gente devota che non pensava a fama o ricchezza e che diligente­mente ri­cercava la Via, era portata fuori strada da maestri equi­voci, mi sono preoccupato di come potesse germogliare in loro il vero se­me della prajnā.[9] Essi si trovavano in uno stato di confusione e la loro com­prensione era annullata; come potevano dunque con­se­guire la grande Via? Decisi così di interrompere la mia vita er­rabonda e di far conoscere il giusto Dharma, insegnando e tra­scrivendo per i posteri i precetti e gli esempi che avevo studiato e sentito nei monasteri Zen, nella Cina della dinastia Sung. Spero che ciò preservi il vero Dharma. Questo è essenziale, vero?

Durante l’assemblea sul Picco dell’Avvoltoio, Śākyamuni trasmise il vero Dharma a Mahākāśyapa; esso fu poi tra­mandato di Patriarca in Patriarca fino a Bodhidharma.[10] Bodhidharma si recò poi in Cina e lo trasmise ad Eka. La prima autentica trasmissione dell’insegnamento Zen all’oriente fu questa. Il Dharma fu poi trasmesso a tutti i Patriar­chi che seguirono, fino al Maestro Daikan Enō,[11] il sesto Pa­triarca. In quel tempo il vero Dharma, li­bero da influenze settarie o razionalizzanti, era diffuso in tutta la Cina. I suoi due discepoli principali, Nangaku Ejō[12] e Sei­gen Gyōshi,[13] eredita­rono il sigillo della mente-di-Buddha e diven­nero insegnanti di uomini e dèi. Le rispettive scuole si diffusero e pian piano si svilupparono nelle cin­que scuole: Hōgen, Igyō, Sōtō, Ummon e Rinzai. Attualmente solo la scuola Rinzai è diffusa in tutto il Paese. Sebbene ogni scuola abbia le sue pro­prie caratteristiche, tutte sono basate sul si­gillo della mente-di-Buddha.

In Cina il Dharma del Buddha è molto influente e si è dif­fuso rapidamente dopo la sua introduzione durante la tarda dinastia Han;[14] tut­tavia, in quei tempi circolavano molti altri insegnamenti e non si stabilì quale fosse il migliore fino a quando Bodhi­dharma confutò tutte le dottrine contraddittorie e fuorvianti, stabilendo la preminenza del giu­sto Dharma che si diffuse rapi­damente. Spero che lo stesso possa accadere nel nostro Paese.

I Buddha e i Patriarchi che hanno pre­servato il Dharma del Buddha insistono sul fatto che sedere correttamente nel samā­dhi di fruizione è la via per raggiungere il risveglio. Sia in In­dia che in Cina, tutti coloro che raggiunsero il risveglio segui­rono questa prassi. La trasmissione da maestro ad al­lievo è ba­sata sul ricevere e preservare questo samādhi. Secondo la tradi­zione au­tentica questa trasmissione è il fondamentale Dharma del Buddha. Fino dal momento in cui ini­ziate a studiare con un maestro e ri­cevete il suo insegnamento, non è ne­cessario brucia­re incenso, prostrarsi, recitare il nembutsu,[15] confes­sare le proprie manchevolezze, né studiare i sūtra. Sem­plice­mente lasciate cadere mente e corpo! Anche se sedete per un solo istante nel samādhi di fruizione, il sigillo della mente-di-Buddha sarà impresso nel vo­stro corpo, mente e parole.

Simul­taneamente, l’intero mondo fenomenico riceve l’im­pronta del sigillo della mente-di-Buddha e l’in­tero spazio è illuminazione. La gioia illuminata dei Tathāgata si accre­sce e i loro ma­gnifici attributi si rafforzano. Inoltre, tutti gli esseri nelle dieci direzioni dell’Universo,[16] nei tre mondi,[17] e nei sei mondi[18] sono lucenti e puri in mente e corpo. Essi realizzano la perfetta li­be­razione e rive­lano la propria forma originaria quale illuminazione del Buddha. In altri ter­mini, è la va­rietà degli stessi oggetti fenomenici che rappresenta il risveglio del Buddha; il Suo corpo, il Suo restare se­duto sotto l’albero della Bodhi, e il Suo girare la ruota della Legge, spiegano tutti la più pro­fonda forma della pra­jnā.

Inoltre, poiché gli esseri risvegliati hanno il potere del trasfe­rimento dei meriti,[19] coloro che si siedono in zazen partecipano della verità acquisita dal Buddha e lasciano quindi ca­dere corpo, mente e ogni attaccamento mondano. La loro penetrazione permea perfino il più piccolo granello di polvere e coltiva, perfezionando e svi­luppando, la Buddhità ed ogni Dharma.

Nella condizione di risveglio si può perce­pire che la terra, gli alberi e le erbe, le paliz­zate, i muri e le tegole, vale a dire l’intero re­ame del dharma-dhatu,[20] compiono l’opera del Buddha. Tutti inconsa­pevolmente ricevono bene­ficio dal vento e dall’acqua; analo­ga­mente, a causa del trasferimento dei meriti, ogni uomo riceve gli impalpabili benefici del mera­viglioso ed insonda­bile Insegnamento del Buddha ed è così in grado di manifestare la propria innata illumi­nazione.

Que­sta ori­ginaria e innata illuminazione si estende da un capo all’altro dell’Universo e si trasforma nel merito inesauribile che è inestricabilmente legato all’infinito, incessante, inson­dabile e indefinibile Dharma del Buddha. Tuttavia, non pensate che una simile percezione avvenga con­sciamente, seduti in zazen; il vero risve­glio emerge attra­verso l’assoluta quiescenza, al di là della co­scienza.

Se pensate che prassi e risveglio siano differenti, come fa la gente comune, allora deve e­sistere una qualche specie di reciproca percezione tra chi siede in zazen e il suo risveglio. Ciò è falso, per­ché non vi può essere alcuna discriminazione all’in­terno del risve­glio. Sebbene durante lo zazen le perturbazioni e le illu­sioni vadano e vengano, pure esse si manifestano all’interno del samādhi di fruizione  e sono perciò trasformate in illuminazione, senza interferire né infrangere alcunché. Anch’esse sono l’estremamente profonda e infi­nita­mente forte attività del Buddha. Il loro potere permea al­beri, erbe e terra; tutte risplendono lumino­samente della grande luce infinita e predicano il profondo, in­sondabile e incessante Dharma. Alberi, erbe, un muro, un recin­to; ogni cosa proclama il Dharma per la salvezza di tutti, gente comune, spiriti eccelsi ed esseri senzienti. Anche il con­trario è vero.

Il confine tra il proprio ­risveglio e quello degli altri è permeato di illuminazione; essi si influenzano a vicenda. Di conse­guenza lo zazen, anche se effettuato per breve tempo da una persona sola, ravviva e unifica tutte le forme di esistenza. Esso copre un tempo infinito e pervade pas­sato, presente e futu­ro mentre, simultaneamente, opera senza sosta per il risveglio di tutti gli esseri sen­zienti. Il Buddha, gli esseri senzienti e tutti i fenomeni, hanno un solo modo di agire nella prassi ed un’illuminazione indifferenziata. Que­sto non è limitato alla sola prassi del sedere in zazen.

Sentire l’eco della vacuità è come il mera­viglioso suono di un martello prima e dopo che ab­bia colpito una campana.[21] Oltre a que­sto, ogni essere umano ha la sua propria natura e funzione origina­ria che è al di là della comprensione in termini razionali. Anche se tutti gli innumerevoli Buddha dell’intero Universo uni­ficassero la loro saggezza per tentare di misurare il merito dello zazen di una sola persona, non arriverebbero a sondarne la profondità. Potete dunque vedere quanto infinito sia il merito dello zazen.

 

 

Domande e risposte


D. Uno sciocco potrebbe chiedere: “Nel Dharma del Bud­dha vi sono molte sette e scuole. Perché dunque, sostenete solo la prassi dello zazen?”

R. Perché è la porta giusta per entrare nella Via del Bud­dha.

D. Ma perché?

R. Al di là di ogni dubbio Śākyamuni insegnò che lo zazen è il mezzo migliore per conseguire il risveglio. Attraverso lo zazen Egli trovò la Via e la trasmise ai Suoi discepoli. Tutti i Tathāgata del passato, del presente e del futuro hanno realizzato la Via attra­verso lo zazen. Esso è stato trasmesso da Patriarca a Patriarca come la giusta porta. Ecco perché ritengo che lo zazen sia il modo migliore di accedere al Dharma del Buddha.

D. La gente comune lo trova difficile come mezzo per com­prendere l’insuperato insegnamento del Tathāgata. Non sa­rebbe me­glio per loro esercitare il nembutsu[22] o anche salmodiare i sūtra come aiuto per il conseguimento del risveglio? Sedere a gambe incrociate non facendo nulla non è per loro una perdita di tempo?

R. Questa domanda diffama il Mahāyāna. Una simile illu­sione è come essere in mezzo all’oceano e dire che non c’è acqua. Fortunatamente tutti i Buddha hanno confermato che lo zazen è il compimento della Via e siedono nel samādhi di fruizione. Il loro merito non è forse di beneficio a se stessi e agli altri? È un vero peccato che non riusciate a comprendere che il vostro occhio-di-Buddha non è aperto e che siete intossicati dalle cose del mondo.

È vero, la condizione del Tathāgata è totalmente incomprensibile e solo un uomo di grande talento e fede può ac­costarvisi. Per una persona indegna o diffidente l’avvicinarsi è estremamente difficile, quasi impossibile. Anche Śākyamuni, sul Picco dell’Avvoltoio, permise a qualcuno di andarsene.[23] Perciò, se aspirate retta­mente, addestratevi e studiate lo zazen; se non aspirate alla Via do­vreste sedervi e riflettere sul perché non abbiate ricevuto i bene­fici del Dharma trasmessi dalle passate generazioni. Credete veramente che si consegua qualche merito nel recitare i sūtra o il nembutsu? Pensare che muovere la lingua o alzare la voce abbia il medesimo merito che addestrarsi nello zazen, è un’idea errata. Dovete essere molto lontani dal vero Dharma se po­tete anche solo pensare di paragonare queste pratiche allo zazen. Inoltre, tutto ciò che leggete nei sūtra o nei commentari do­vreb­be chiarirvi l’Insegnamento del Buddha sull’illuminazione im­provvisa e gra­duale, e dovrebbe condurvi al risveglio.

Dovete compren­dere che inutili speculazioni o espedienti non aumenteranno mai i vostri me­riti. Se ritenete di poter raggiungere la Via attraverso la stupida ripe­tizione della parola Buddha, per migliaia di volte, siete proprio come chi dirige il carro a nord volendo andare a sud, o come chi cerca di infilare in un buco roton­do un piolo quadrato. E se recitate semplicemente le parole senza inserirle nella prassi, siete come chi ha la ricetta ma sbaglia nel comporre la medicina. Ripetere incessantemente la parola Bud­dha è come il continuo gracchiare delle rane nelle risaie: non ha assolutamente alcun significato. Coloro che sono inebriati da fama o ricchezza non possono rinunciare a queste prati­che; ve ne so­no stati nel passato e ve ne sono oggi. Costoro sono da commise­rare. Dovete comprendere che il sublime Dharma dei sette Buddha passati può essere ricevuto e preservato solo quando è tra­smesso da un maestro illuminato ad un allievo serio e dal retto pen­sare. Coloro che si limitano allo studio dei sūtra o di altre opere, non potranno mai afferrarlo. Ecco perché è necessa­rio abbandonare dubbi e sospetti, seguire un vero maestro, e giungere al samādhi di fruizione.

D. Gli insegnamenti delle scuole Hokke e Kegon, che si dice rappresentino il supremo insegnamento del Mahāyāna, sono giunti in Giappone. Inoltre è presente anche la scuola Shingon[24] i cui insegnamenti furono dati personalmente dal Buddha Vairocana[25] a Vajrasa­tva.[26] Questa scuola sottolinea che “La nostra mente è Buddha” e che “Questa stessa mente può raggiungere la Buddhità.” Essa ci insegna che il risveglio può essere raggiunto in una sola esistenza, senza passare attraverso innumerevoli kalpa[27] di prassi. Da alcuni è con­siderata la più sublime forma del Dharma del Buddha. Alla luce di tutto ciò, perché continuare ad affermare che lo zazen è superiore a ogni altra prassi?

R. Il punto non sta nel discutere quale insegnamento sia su­periore o inferiore, o quale sia il più profondo, ma nel trovare quale sia il più autentico. Alcuni sono portati al Dharma del Buddha dalla naturale bellezza di erbe e fiori, o di montagne e fiumi; altri trovano i tesori del Dharma tenendo in mano della terra, una pietra, della sab­bia o dei ciottoli. Anche se ogni cosa è contraddistinta da un nome o da una caratteristica, questi non esprimono la vera natura dell’Universo. La grande ruota della Legge gira anche in un granello di polvere. Di conseguenza, “La nostra mente è Buddha” è come la luna che si ri­flette nell’acqua e “Questa stessa mente può raggiungere la Bud­dhità” è come l’immagine riflessa nello specchio. Non gio­cate con le parole. Per realizzare il risveglio diretto dobbiamo seguire la splen­dida Via utilizzata dal Buddha per trasmettere il risveglio da maestro ad allievo, facendone così dei veri discepoli.

Dunque, per ricevere o trasmettere l’Insegnamento del Buddha è necessario avere un maestro che possegga il sigillo del ri­sveglio. Un erudito che da importanza alla letteratura, è inu­tile come maestro – è come un cieco che guida un cieco. Tutti gli al­lievi che seguono la corretta trasmissione di un maestro il­lumi­nato tramandano il Dharma del Buddha, di generazione in ge­ne­razione. Ecco perché, perfino gli spiriti che trasmigrano e gli arhat,[28] vanno da un vero mae­stro per trovare il loro sé reale. Un simile atteggiamento non si trova in altre forme d’insegnamento. Concentratevi sullo studio del Dharma del Buddha e cer­cate di comprendere che tutti possiedono l’insuperabile risveglio dei Buddha. Possediamo sempre il risveglio, ma spesso ciò non è com­preso nel modo corretto; appaiono opinioni errate e così si perde la grande Via. Immaginiamo fiori nel cielo e subito sorgono pensieri e punti di vista: i dodici legami dell’originazione interdipendente,[29] le venticinque forme di esi­stenza, i tre veicoli,[30] l’esistenza o la non-esi­stenza del Buddha, e così via. Tutto ciò certamente non conduce alla corretta prassi del Dharma del Bud­dha.

Abbandonate ogni concetto e concentratevi sullo zazen con mente intera; andate al di là delle nozioni di illuminazione, illusione, emozione o ragione. Allora sarete capaci di camminare liberamente e di utilizzare la grande illuminazione. Tutti coloro che danno impor­tanza alle parole e ai testi non hanno nulla da spartire con ciò.

D. Si ritiene che sia il samādhi,[31] sia il dhyāna,[32] siano la prassi di tutti i Bodhisattva, fin dall’inizio della loro vita religiosa, indipendentemente dalla loro intelligenza brillante o tarda. Proba­bilmente lo zazen può essere incluso tra questi esercizi e dunque, su cosa si basa l’affermazione che il vero Dharma del Tathāgata è fon­dato sullo zazen?

R. Questa domanda trae origine dal fatto che la denomina­zione ‘scuola Zen’ è stata applicata al supremo e insondabile grande Dharma del Tathāgata: l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge. Tut­tavia bisogna sapere che l’appellativo ‘scuola Zen’ è nato Cina e che era sconosciuto in India. Nel mo­nastero di Shorinji, sul Sūzan, vi erano monaci e laici che ignora­vano il vero Dharma del Buddha e consideravano il Grande Maestro Bodhidharma, che aveva passato là nove anni in zazen, nulla più che un monaco indiano che aveva posto un accento particolare sulla prassi dello zazen. Tuttavia i suoi discen­denti si dedicarono esclusivamente allo zazen e la loro trasmissione fu nota tra i laici come ‘scuola zazen’. Dunque, la vera natura dello zazen sta nelle parole dei Patriarchi, ed è chiaro che è di­versa dal samādhi o dal dhyāna prima citati.

Non siate in errore: il vero Dharma è stato trasmesso diret­tamente fin dal tempo di Mahākāśyapa. Molto tempo addietro, durante un’assemblea sul Picco dell’Avvoltoio, egli ricevette l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, e la Serena Mente del Nirvāna. Innumere­voli esseri celestiali[33] furono te­stimoni di ciò. Senza dubbio essi incessan­temente vegliano sul vero Dharma, senza mai riposare. Dunque possiamo affermare con precisione che lo zazen è l’incomparabile Via del vero Dharma.

D. Perché, per entrare nella Via del risveglio, la posi­zione seduta in forma di zazen dovrebbe essere preferita ad altre quali lo stare in piedi, il camminare o il giacere?

R. È impossibile classificare tutti gli innumerevoli me­todi nei quali i Buddha si sono addestrati e hanno raggiunto il risveglio, ma tutti si sono addestrati nello zazen; è la Via utilizzata da tutti i Buddha e non è necessario cercare altro. Lo zazen è stato elogiato da tutti i Patriarchi come la suprema porta della pace e della gioia. È il modo più facile, tra le quattro posizioni,[34] e non è stato utilizzato solo da uno o due Buddha, ma da tutti i Buddha e da tutti i Pa­triarchi.

D. Lo zazen potrebbe essere un efficace modo di esercitarsi per chi non ha ancora raggiunto il risveglio; ma per coloro che sono già illuminati?

R. Si dice che non dovremmo raccontare i nostri sogni al co­spetto degli stupidi, né dare remi ai boscaioli, ma cercherò di ri­spon­dere a questa domanda. È opinione della gente comune[35] che prassi e ri­sveglio non siano una cosa sola. La prassi stessa è illuminazione e anche la decisione iniziale di cercare la Via contiene la totale e perfetta illuminazione. Non vi è un risveglio disgiunto dalla prassi. È molto importante comprendere ciò.

Poichè la prassi è risve­glio, il risveglio è senza fine e la prassi è senza inizio. Così Śākyamuni e Mahākāśyapa, Bodhidharma e il sesto Patriarca Daikan Enō, e anche tutti i Buddha e i Pa­triarchi, sapevano che la prassi è risve­glio.

Fin dall’inizio, prassi e risveglio sono insepara­bili. Anche il nostro primo passo nella prassi della Via trasmette la mera­vigliosa prassi della realizzazione e contiene in sé l’originaria e innata illuminazione. I Buddha e i Patriarchi hanno sempre in­segnato che la prassi è illuminazione e che non dobbiamo mai ab­bandonare la prassi. Se eliminiamo la consapevolezza dell’originario risveglio, la meravi­gliosa prassi pervade corpo e mente e diviene vera prassi.

Durante i miei vari viaggi nella Cina della grande di­nastia Sung, ho visto molti monasteri Zen che ospitavano dai cinque o sei­cento monaci, fino a diverse migliaia, dove ci si se­deva in zazen, giorno e notte. Quando chiedevo agli abati di quei monasteri – erano tutti uomini che trasmettevano il sigillo della mente-di-Buddha – quale fossa l’essenza del Dharma del Buddha, mi dicevano che prassi e risveglio non sono due cose diverse.

Perciò ora esorto tutti i ricercatori del vero Dharma, non solo i discepoli di alta spiritualità ma ogni per­sona, dai principianti ai più esperti, risvegliati o meno, affinché aderiscano all’insegnamento dei Buddha e dei Patriarchi, e alla prassi dello zazen. Non avete forse sentito dire che: “Vi sono prassi e illumina­zione, ma non contaminatele aggrappandovi ad es­se”[36] e che: “Vedere la Via è praticare la Via.”?[37] Così pos­siamo comprendere che la cosa più importante è l’addestra­mento nell’ambito stesso del risveglio.

D. Cosa dite dei grandi maestri del passato che andarono in Cina e trasmi­sero il Dharma, ma insegnarono solo la dottrina, igno­rando lo zazen? [38]

R. I tempi non erano ancora maturi per la diffusione dello zazen.

D. Di fatto questi maestri compresero il merito dello zazen?

R. Se l’avessero compreso, l’avrebbero reso noto.

D. È stato detto: “Non ci si dovrebbe affliggere per il co­stante fluire di vita e morte. Vi è un modo semplice per essere li­beri dal ciclo di vita e morte: conoscere l’immutabile, costante Mente. Ciò significa che sebbene il corpo muoia, la vera essenza della mente non perisce mai. Quando comprenderete che l’es­senza della mente non è soggetta al ciclo di vita e morte, e che si trova solo temporaneamente nel corpo, allora vi accorgerete che essa continua a vivere in luoghi diversi, incessantemente. Essa è costante e immutabile, nel passato, nel presente e nel futu­ro. Al­lora si può dire che siete liberi dal ciclo di vita e morte. Questo ciclo viene interrotto e quando il corpo muore si entra nell’oceano della esistenza reale. Penetrando in questo oceano dell’es­sere, si pos­siedono le medesime virtù dei Buddha e dei Ta­thāgata. Anche se ottenete la comprensione di ciò nel corso della vostra vita attuale, siete comunque diversi da un essere perfettamente risvegliato, a causa dell’illusione accumulata nelle vite prece­denti. Se non riu­scirete a comprendere la costante ed immutabile natura della mente, non vi libererete mai dal ciclo di vita e morte. Senza ulte­riore indugio dovremmo afferrare l’immutabilità della mente. Che senso ha passare tutta la vita, tranquillamente seduti, senza fare nulla?” Un simile punto di vista concorda con la giusta interpre­ta­zione della Via dei Buddha e dei Patriarchi?

R. Ciò che è appena stato detto certamente non è il Dharma del Buddha, ma è piuttosto il punto di vista di quell’ordi­nario di Se­nika.[39] La sua teoria afferma che nel corpo esiste un intelletto, o mente, che distingue le cose in buone o cattive, giuste o sbagliate, piacevoli o dolorose, dolci o amare. Quando il corpo muore, la mente si separa da esso e rinasce da qualche altra parte. Anche se il corpo muore la mente si trasferisce altro­ve. Ma questo è l’insegnamento di Senika.

Se pensate che una simile teoria costituisca l’Insegnamento del Buddha, siete anche più stupidi di colui che raccoglie una tegola pensando sia una moneta d’oro. Nulla può essere paragonato ad una tale idiozia. Nan’yō Echū[40] della dinastia Tang ci mise in guardia da una simile erronea visione. Non è forse estremamente stupido pa­rago­nare al vero Dharma del Buddha, l’idea che la mente permanga quando il corpo muore? In verità, una simile opinione ge­nera proprio quel ciclo di vita e morte dal quale ci si sta cercan­do di liberare. Questa è la cosa più deplorevole. Riconoscete un simile fatto come falsa visione e non prestategli attenzione.

Per compassione, correggerò ora questi fraintendimen­ti. Fin dall’inizio, il Dharma del Buddha ha insegnato che corpo e mente sono una cosa sola, e che sostanza e forma non sono cose diver­se. Siate certi che ciò è stato insegnato sia in India, sia in Cina. Inoltre, immortalità e mortalità non devono esse­re separate, così come corpo e mente o sostanza e forma. Dov’è che il corpo muore e che la mente permane? Nel Dharma del Buddha non c’è un nirvāna[41] disgiunto dal ciclo di vita e morte. Per di più, se pensate erroneamente che la mente sia eterna e la considerate essere la vera saggezza che è al di là di vita e morte, dovreste riconoscere che proprio la mente che state usando è le­gata al ciclo di vita e morte – è una cosa del tutto vana.

Nel Dharma del Buddha mente e corpo sono una cosa sola, dunque come può essere che la mente permanga e il corpo muoia? Se in origine mente e corpo fossero una cosa sola e poi due cose diverse, allora l’Insegnamento del Buddha sarebbe falso. Inoltre non pensate che il ciclo di vita e morte debba essere sra­dicato; questo è un errore serio. Deve essere chiarito che la mente è la porta originaria al vero Dharma, e include l’intera essenza dei fenomeni che non può in al­cun modo essere divisa in aspetti diversi quali corpo o mente, vita o morte, illuminazione o nirvāna. Tutti i fenomeni e tutte le miriadi di forme di esistenza sono solo quest’unica Mente, nulla è escluso. Questo è il vero modo in cui gli studenti del Dharma interpretano la mente. Perciò non discriminate tra corpo e mente, tra vita, morte, e nirvāna. Tutti siamo fondamentalmente discepoli del Buddha; rifuggite dall’ascoltare le sciocchezze della gente ordinaria.

D. Per coloro che esercitano lo zazen è assolutamente ne­cessaria la stretta adesione ai precetti bud­dhistici?

R. Osservare i precetti e la purezza di vita sono la norma della scuola Zen ed è l’attributo dei Buddha e dei Patriarchi.

D. È per­messo a coloro che si esercitano nello zazen di utiliz­za­re i mantra[42] e la meditazione graduale?

R. In Cina inter­rogai su questo tema il mio Maestro. Egli disse di non aver mai sentito che qualcuno dei Patriarchi, in India o in Cina, facesse uso di tali strumenti. In verità, è necessario con­cen­trarsi su un solo me­todo altrimenti non si tro­verà mai la vera sag­gezza.

D. Lo zazen può essere esercitato da laici, uomini e donne, o è riservato ai monaci?

R. I Pa­triarchi insegnano che nel Dharma del Buddha non c’è distinzione tra uomini e donne, né tra le diverse condizioni so­ciali.

D. Quando qualcuno diviene monaco rinuncia ad ogni le­game secolare e la sua prassi non ha ostacoli. Ma come pos­sono i lai­ci, che sono sotto­posti a dure pressioni per poter vive­re, sforzarsi di ricevere la Via del Buddha?

R. I Buddha e i Patriarchi con la propria grande com­pas­sione, hanno aperto le porte e miseri­cordiosa­mente gui­dano tutti gli esseri sen­zienti al risveglio. Chiunque può attraver­sare quella porta. Storicamente vi sono molti casi; ad esempio gli Imperatori cinesi Daishū[43] e Junshū[44] che, sia pure pressati da gravi affari di stato, segui­vano la Via del Buddha; così anche i primi ministri Ri e Bo,[45] che erano consi­glieri dell’imperatore, studiavano la Via sedendo in zazen e conseguirono così la grande Via del Buddha. La cosa importante è la determina­zio­ne, ed essa non dipende dalla condizione di lai­co o mo­naco. Inoltre, non pensate che le azioni quoti­diane siano un impedi­mento; non vi è alcun Dharma del Buddha al di fuori della vita di tutti i giorni.

Uno tra gli ultimi ministri della dinastia Sung, Hyō-Shō-Kō,[46] aveva una profonda comprensione del Dharma. Egli compose que­sto poema su se stesso:

 

Sfuggendo per un po’ dai doveri pubblici, siedo in zazen. Raramente mi sdraio per dormire; pare che io sia un ministro di stato, ma sono meglio conosciuto come il Vecchio Monaco.”

 

Sebbene fosse estremamente affaccendato, egli rag­giunse il ri­sveglio grazie alla sua devozione alla Via. Analogamente, dovremmo riflet­tere sulla nostra vita e guardare agli esempi degli uomini dei tempi antichi.

Attualmente, nella Cina della grande dina­stia Sung, vi sono imperatori, ministri, ufficiali e laici che studiano la Via del Buddha. Sia i mili­tari, sia i civili si dedicano allo studio e alla prassi della Via e sicuramente molti di loro risve­glieranno la mente. Possiamo così vedere chiara­mente che né gli obblighi sociali né gli affari mondani sono di alcun impedimento al Dharma. Quando il vero Dharma si span­derà nel Paese, Buddha e deva[47] costantemente lo proteggeranno e la nostra terra godrà di tranquillità. Nel corso di un periodo di pace, l’influenza del Dharma aumenta e la nazione è governata armonio­samente. Inoltre, ai tempi del Buddha Śākyamuni, parecchi furfanti e criminali furono convertiti alla Via; da allora, anche cac­ciatori e boscaioli hanno raggiunto il risveglio sotto la guida dei Patriarchi. È poi inu­tile dire che chiunque può seguire questo sen­tiero, purché abbia un autentico maestro.

D. È possibile giungere al risveglio at­tra­verso la prassi dello zazen anche in questi tempi degenerati?

R. Le scuole buddhistiche basate su parole e testi, fanno sì distinzione tra gli stadi corretto, imitativo e finale del Dharma ma, nell’autentico insegnamento Mahāyāna non esiste una simile distinzione: chiunque si addestri, alla fine rag­giun­gerà la Via. Ma non solo. Se seguiamo la giusta trasmissione del Dharma possiamo utiliz­zare la cosa più preziosa che abbiamo, la nostra natura-di-Buddha,[48] e conse­guire così la Via. Pos­siamo poi sapere molto chiaramente se abbiamo otte­nu­to o no il risveglio, così come possiamo dire se stiamo be­vendo acqua calda o fredda.

D. Si dice che se com­prendiamo completa­mente il signifi­cato di “La no­stra mente è Buddha”, non vi è bisogno di cantare i sūtra né di addestrarsi fisicamente poiché è suffi­ciente comprendere che il Dharma dimora originariamente in noi per conseguire la Via, nella sua totalità. Non dovremmo cercarla in altri. Dunque, è davvero ne­cessario sedere in zazen?

R. Una simile visione è discu­tibile. Se ciò fosse corret­to, allora quasi tutti potrebbero af­ferrare il Dharma. La Via del Buddha è addestrarsi, studiare e abbandonare la dicotomia tra sé e al­tri. Se ciò avvenisse solamente comprendendo che “La no­stra mente è Buddha”, il Buddha Śākyamuni non si sa­rebbe mai sottoposto a certe austerità, né avrebbe sofferto privazioni al fine di aiutare gli altri a raggiun­gere il risveglio. Considerate il seguente esem­pio. Il rettore di un tempio, di nome Sokkō Gen­soku[49] era discepolo di Hōgen Mōn’eki.[50] Un giorno Hōgen gli chie­se: “Da quanto tempo sei qui?” “Da tre anni” ri­spose Gensoku. “E perché non mi hai in­terrogato sul Dharma del Buddha?” Gensoku disse: “Non voglio in­gannarti. Stando con il Maestro Zen Seihō ho speri­mentato la condizione di pace e gioia nel Dharma del Buddha.” “Per favore, dimmi come hai raggiunto quella condizione” volle sapere il Maestro. “Una volta chiesi a Seihō quale fosse il vero sé di un discepolo ed egli mi rispose: ‘Il lampionaio chiede del fuoco’.” “Una gran bella espressione” disse Hōgen “ma temo che tu non l’abbia capita.” Gensoku disse: “Ebbene, ho ritenuto significasse che cercare il fuoco col fuoco fosse come il sé che cerca il sé.” Hōgen dis­se: “Avevo ragione. Non hai capito. Se ciò che hai detto costituisse il Dharma del Buddha, questo non sarebbe mai stato trasmesso fino ai giorni nostri.” Gensoku rimase perplesso e lasciò il mona­stero. Per strada, tuttavia, pensò alla grande re­putazione di Hōgen e ai suoi cinquecento discepoli; doveva esserci qualcosa di giusto nella sua critica alla sua comprensione. Decise così di tor­nare da Hōgen e si prostrò davanti al Maestro. Quindi chiese: “Qual è il vero sé di un discepolo del Buddha?” “Il lampionaio chiede del fuoco” disse il Maestro. Udendo ciò, Gensoku fu illuminato. Possiamo così comprendere che non si può con­seguire il Dharma semplicemente compren­dendo che “La no­stra mente è Buddha.” Se ciò fosse vero, Hōgen non avrebbe mai usato simili parole per condurre Gensoku alla Via o per metterlo in guar­dia. Quando per la prima volta incontrate un buon mae­stro, semplicemente osservate le regole e dedi­catevi alla prassi dello zazen; non aggrappatevi ad una comprensione superficiale. Allora emergerà la meravigliosa Via del Dharma del Buddha e ciò non sarà vano.

D. Leggendo le cronache dell’India e del­la Cina tro­viamo che vi fu chi si risvegliò nell’udi­re il suono di un pezzetto di tegola che colpiva un bambù,[51] e chi conseguì la Via vedendo i peschi in fiore.[52] Il Buddha Śākyamuni realizzò la Via quando vide la stella del mat­tino, ed Ānanda realizzò il Dharma quando gli fu detto di tirar giù l’asta di una bandiera. Invero, dai tempi del sesto Patriarca fino al na­scere delle cinque scuole, molti sono stati risve­gliati da una sola parola o frase. È certo che tutte queste persone si addestrassero nella Via dello zazen?

R. Siate certi che tutti costoro si addestrarono sulla Via dello zazen, abbandonando le discrimi­nazioni di ogni tipo, e che anda­rono al di là della dua­lità.

D. In India e in Cina la gente è fondamen­tal­mente retta e onesta e, possedendo un alto li­vello di cultura, può facil­mente accettare il Dhar­ma. Al contrario, benevolenza e saggezza man­cano in Giappone cosicché il giusto seme del Dhar­ma ha incontrato difficoltà nel crescere. Il nostro paese è molto incivile. È una triste situa­zione. I nostri monaci non valgono nemmeno quanto i laici in Cina. La gente è di mentalità limitata, insulsa e dedita a fama e ricchezza mon­dane. Addestrandosi nello zazen possono simili persone realmente raggiun­gere il risveglio del Buddha?

R. Ciò che avete detto è proprio vero. Be­nevolenza e saggezza mancano alla nostra gente che è assai poco intelli­gente. Anche se fosse dato loro il net­tare del Dharma proba­bilmente si trasformerebbe in veleno Sono troppo attaccati a fama e ricchezza. Tuttavia, anche per loro è possibile raggiun­gere la Via. Ai tempi del Buddha, si raccontava di come una perso­na fosse passata attraverso gli stadi di un arhat, dopo essere stata colpita da una palla e di co­me una cortigiana fosse entrata nella Via, do­po aver indossato un kesa, per scherzo.[53] Entrambe que­ste persone erano poco più che stupidi animali. Eppure perfino lo­ro, attraverso la retta fede, fu­rono liberate dall’illusione. E anco­ra, una vecchia donna raggiunse il risveglio vedendo uno stupido vecchio monaco, quietamente seduto, mentre lei gli serviva il pasto. Ciò non dipendeva dalla conoscenza mondana né dai testi, dalle pa­role o dai sūtra, ma solo dalla giusta attitudine mentale. D’altra parte, l’Insegnamento del Buddha si è sparso per il mondo intero soli duecento anni. Ogni Paese ha le sue caratteristi­che regionali e culturali, non neces­sariamente compassione e comprensione sono diffuse, e non sempre la gente è intelligente o saggia. Nonostante ciò, il vero Dharma del Buddha possiede un insondabile potere, colmo di grande meri­to e virtù. Al momento adatto indipendentemente dall’intelligenza delle persone, il Dharma si diffonderà nel Paese, e con la giusta attitudine mentale esse conseguiranno la Via. An­che se la nostra terra manca di benevolenza e saggezza, e la gente ha una scarsa comprensione, ciò non significa che il vero Dharma non possa es­sere compreso, qui in Giappone. Ognuno possiede il seme della prajnā, per quanto raramente la nostra gente lo abbia manifestato.

Abbiamo esaminato a caso molte domande e risposte. Pro­babilmente abbiamo visto dei fiori dove non ce n’erano.[54] Ma, dopo tutto, la vera prassi della Via dello zazen non è ancora stata tra­smessa al Giappone. Questa è una grande sfortuna per tutti quelli che vo­gliono trovare la vera Via. Di conseguenza, ho riunito ciò che ho im­parato e sentito in Cina, ed ho trascritto gli inse­gnamenti dei miei Maestri dalla chiara mente, al fine di aiutare tutti i seri studenti. Non ho avuto la possibilità di spiegare in dettaglio tutte le pratiche, norme e regole dei monasteri cinesi, ma lo farò in un’altra occasione.

 Il Giappone è molto lontano dal centro del Dharma ma, fin dai tempi degli Imperatori Kimmei[55] e Yōmei,[56] la Legge si è mossa verso oriente. Tuttavia, qui il Dharma del Buddha è intrappolato in dispute dottrinali e nei rituali, e la situazione è assai confusa. Do­vete vi­vere in eremitaggio tra picchi e rocce, con le vesti rappezzate e una ciotola riparata, e dedi­carvi allo zazen; realizzerete in tal modo l’in­superata saggezza del Buddha e penetrerete la gran­de questione di vita e morte. Questo è l’insegnamento di Ryūge Kodon[57] ed è il lascito di Mahākāśyapa. Il giusto modo di addestrarsi nello zazen è spiegato nel mio Fukan-Zazengi, scritto nel 1227, durante il periodo Karoku.[58]

 Sebbene sia meglio avere la benedizione di un re per diffondere il Dharma in una na­zione, se consideriamo il lascito del Picco dell’Avvoltoio possiamo vedere che tutti i re, signori, ministri e generali di tutti i vari paesi sono sta­ti incaricati di preservare e diffondere il retto Dhar­ma. Se questa influenza esiste allora è una terra di Buddha, non è vero? Dun­que non bisogna aspettare circostanze favorevoli di tempo e luogo, per diffondere la Via dei Buddha e dei Patriarchi. E non pen­sate che la diffusione inizi da oggi.

In accordo a ciò, ho scritto questo trat­tato per tutti co­loro che cercano la vera Via.

 

 

Scritto, a metà autunno dell’anno 1231, da colui che tra­smette il Dharma: lo śramana Eihei Dōgen, che a suo tempo è an­dato in Cina.



[1] 1661-1673.

[2] 1688-1704.

[3] Lett. “Così arrivato”.

[4] Jijiyū samādhi. É il samādhi della fruizione del proprio risveglio.

[5] Il Maestro Myōzen (1184?-1225), successore del Maestro Myōan Eisai.

[6] Il Maestro Myōan Eisai (1141-1215), nella linea di trasmissione del Maestro Ōryū Enan. Egli è il fondatore del Kenninji a Kamakura.

[7] Il Dharma trasmesso dal se­sto Patriarca Daikan Enō (Ta-chien Hui-neng, 638-713), nel corso di alcune generazioni, diede vita a cinque diverse scuole ch’an, ciascuna come ‘Linea di Trasmissione’ e cioè:

. la scuola Sōtō Zen, dai nomi di Sōzan Honjaku [Ts’ao-shan Pen-chi, 840-901] e Tōzan Ryōkai [Tung-shan Liang-chieh, 807-869].

. la scuola Rinzai Zen, dal nome di Rinzai Gigen [Lin-chi I-shüan, 815?-867];

. la scuola Hōgen Zen, dal nome di Hōgen Mon’eki [Fa-yen Wen-i, 885-958];

. la scuola Igyō Zen, dai nomi di Isan Reyū [Kuei-shan Ling-yu, 771-853] e Kyōzan  Ejaku [Yang-shan Hui-chi, 833-887];

. la scuola Unmon Zen, dal nome di Unmon Bun’en [Yün-men Wen-yen, 864-949].

[8] Il Maestro Tendō Nyojō (1162-1227), nella linea di trasmissione del Maestro Tōzan Ryōkai. [T’ien-t’ung Ju-ching]

[9] Una delle sei pārāmita o perfezioni. Prajñā è la conoscenza intuitiva profonda, trascendente; è la forma più alta e completa di conoscenza, e non ha nulla a che vedere con la conoscenza concettuale.

[10] Il Maestro Bodhidharma (?-528), ventottesimo Patriarca in India e primo Patriarca in Cina. Visse nel tempio di Shaolin, uno dei vari monasteri buddhistici che già esistevano tra i monti Sung-shan, nel nord-ovest della Cina, introducendo la prassi dello zazen.

[11] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]

[12] Il Maestro Nangaku Ejō (677-744), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. [Nan-yüeh Huai-jang]

[13] Il Maestro Seigen Gyōshi (?-740), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. Egli fu il settimo Patriarca in Cina. [Ch’ing-yüan Hsing-ssu]

[14] 67 d.C. circa.

[15] La recitazione rituale del nome del Buddha Amida. Questa recitazione è tipica della scuola della Pura Terra, fondata dal Maestro Shinran (1173-1262).

[16] Le dieci direzioni sono: i quattro punti cardinali, i quattro punti intermedi, l’alto e il basso.

[17] Il Dhammapada riporta la divisione in kāma-loka (il mondo retto dal desiderio dei sensi), rūpa-loka (il mondo della forma sottile), ed ārūpa-loka (il mondo privo di forma).

[18] I sei mondi, o regni dell’esistenza, sono i sei stadi che attraversiamo, in accordo alla legge di causa ed effetto: la condizione di esseri negli inferi, la condizione di spiriti affamati, la condizione di animali, la condizione di dèmoni collerici, la condizione di esseri umani, la condizione di dèi.

[19] Cioè, dedicare ad altri i meriti derivanti dalle proprie azioni.

[20] La radice dell’intero reame del mondo fenomenico.

[21] Qui il colpire la campana simboleggia l’atto pratico dello zazen. Tuttavia, dobbiamo saper percepire la śūnyatā in ogni momento, sia prima che dopo che la campana venga colpita.

[22] La recitazione rituale del nome del Buddha Amida. Questa recitazione è tipica della scuola della Pura Terra, fondata dal Maestro Shinran (1173-1262).

[23] Si veda il Sūtra del Loto, pag. 80.

[24] La scuola Hokke è la scuola Tendai, introdotta in Giappone da Denggyo Daishi (767-822). La scuola Kegon fu portata in Giappone da monaci coreani e cinesi, nel periodo di Nara (646-794), mentre invece la scuola Shingon fu fondata dal famoso Kobo Daishi (774-835).

[25] Il Buddha Vairocana, conosciuto anche come Buddha Sole. In Giappone è conosciuto come Daichi Nyorai.

[26] Vajrasattva, il Buddha Diamante, successore del Buddha Vairocana.

[27] Un kalpa indica un tempo infinitamente lungo; rappresenta infatti un ciclo cosmico pari a circa trecentoventi milioni di anni. Si veda il Sūtra del Loto, pag. 60.

[28] Arhat, lett. “Colui che ha valore”. Nel Buddhismo Hīnayāna, si dice che lo śrāvaka (uditore della voce) attraversi quattro stadi. Il primo è srotāpanna (l'entrata nella corrente), il secondo è sakrdāgāmin (chi è soggetto a tornare una volta sola), il terzo è anāgāmin (chi non è soggetto al ritorno), e il quarto ed  ultimo è arhat.

[29] I dodici legami dell’originazione interdipen­dente son­o: ignoranza, azione, coscienza, nome e forma, i sei organi di senso, contatto, percezio­ne, desiderio, attaccamento, esistenza, nascita e mor­te.

[30] I tre veicoli sono: Śrāvaka-yāna, Pratyekabuddha-yāna e Bodhisattva-yāna. Il veicolo dello śrāvaka o “Uditore”, che si basa sulla teoria dei quattro stadi; il veicolo del pratyekabuddha o “Buddha solitario”, che si basa sulla teoria della originazione interdipendente (i dodici anelli della catena di causa ed effetto); e infine il veicolo del bodhisattva o “Essere di verità”, che si basa sulle sei pāramitā (le sei perfezioni, o perfezionamenti).

[31] Il samādhi è la condizione equilibrata della mente pacificata nello zazen; rappresenta una sintesi, una composizione in cui si trascende la discriminazione mente, soggetto, e oggetto. Il samādhi del Diamante (o vajra-samādhi) è estrema­mente chiaro e penetrante ed è il samādhi come condizione di grande stabilità; il  śūramgama-samādhi detto “Samādhi della Marcia eroica”, distrugge tutte le illusioni e porta ad un grande progredire. 

[32] Una delle sei pāramitā o perfezioni: dāna (il libero donare), śīla (l'integrità morale, l'etica), ksānti (la pazienza), vīrya (il vigore), dhyāna (l'assorbimento, la concentrazione), e prajñā (la saggezza trascendente). Il sanscrito pāramitā significa ciò che è arrivato alla sponda opposta, opera ben compiuta.

[33] Significa gli spiriti più elevati.

[34] Camminare, stare eretti, sedere, sdraiarsi.

[35] Chi non si coltiva e non crede nello studio del Sé.

[36] Parole del Maestro Nangaku Ejō al Maestro Daikan Enō. Si veda il cap. 54, Senjō.

[37] Parole del Maestro Honjō di Shikūsan (667-761).

[38] Si riferisce al Maestro Dengyo Daishi e al Maestro Kobo Daishi.

[39] Si veda il cap. 5, Sokushinzebutsu.

[40] Il Maestro Nan’yō Echū (675?-775), successore del Maestro Daikan Enō. Maestro Nazionale era il suo titolo quale insegnante dell’imperatore. [Nan-yang Hui-chung]

[41] Lett. “Estinzione”. Indica l’estinzione di una fiamma.

[42] Lett. mantra significa strumento di pensiero. È una breve formula dal potere mistico.

[43] Daiso, un Imperatore della dinastia Tang che regnò dal 763 al 779. Fu discepolo del Maestro Nan’yō Echū.

[44] Junso, anch’egli un imperatore della dinastia Tang. Regnò dall’805 all’806.

[45] Li e Tang, due ministri della dinastia Tang.

[46] Il Ministro Hyo Feng (?-1153).

[47] Divinità celestiali.

[48] La natura-di-Buddha è la ‘Natura propria’, o ‘Vera natura’, o ‘Volto originario’ (comunque si voglia chiamare) di ogni essere, anche se questi  lo ignora.

[49] L’Abate Soku-ko(?).

[50] Il Maestro Hōgen Mōn’eki (885-958), nella linea di trasmissione del Maestro Seppō Gison e fondatore della scuola Hōgen. [Fa-yen Wen-i]

[51] Si veda il cap. 25, Keiseisanshoku.

[52] Ibidem.

[53] Si veda il cap. 78, Kesa Kudoku.

[54] Si riferisce ai “Fiori nello spazio” e cioè alle immagini astratte e illusorie, in opposizione alla realtà. Si veda il cap. 14, Kuge.

[55] L’Imperatore Kimmei regnò dal 539 al 571.

[56] L’Imperatore Yōmei regnò dal 585 al 587.

[57] Il Maestro Ryūge Kodon (835-923), uno dei successori del Maestro Tōzan Ryōkai. [Lung-ya Chü-tun]

[58] 1225-1231.