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YUIBUTSU YOBUTSU

Soltanto i Buddha, Assieme ai Buddha

 

 

Il titolo di questo ultimo capitolo riprende la famosa frase del Sūtra del Loto: “I Buddha da soli, assieme ai Buddha sono direttamente capaci di perfettamente realizzare che tutti i dharma sono forma reale.” Il Maestro Dōgen qui enfatizza come non sia in alcun modo possibile comprendere il risveglio prima di averlo sperimentato. Ecco perché si dice che i Buddha insegnano ai Buddha.


Non si può capire il Dharma del Buddha attraverso l’ana­lisi razionale e intellettuale. Nessuno tra coloro che hanno af­frontato il Dharma in questo modo ha mai conseguito il ri­sveglio. Né gli śrāvaka[1] né i se­guaci dell’Hīnayāna possono chiarire il Dharma; solo i Buddha possono farlo. Il Sūtra del Loto afferma che “Solo un Buddha può inse­gnare ad un Buddha, e solo un Buddha comprende pienamente la verità.”

È impossibile comprendere l’illuminazione prima di averla sperimentata; limitarsi a riflettere su questo argomento è pura perdita di tempo. Chi si risveglia all’illuminazione non sa che cosa l’abbia causata e comprende che tutti i precedenti tentativi di adeguare il suo  addestramento ad un’idea precon­cetta di illuminazione sono stati inu­tili. La constatazione che le nostre idee preconcette e la realtà del risveglio sono così profondamente diverse, non solo è una rifles­sione su quanto la nostra  immaginazione sia sviata, ma è essa stessa illuminazione.

Chiunque ritenga che risvegliarsi all’illuminazione sia un evento tanto schiacciante ed immenso, quando questo si verifi­cherà, scoprirà di essere stato del tutto fuori strada. Chiunque non nutre idee precon­cette, invece, permette all’illuminazione di sorgere naturalmente. Do­vremmo sapere che né l’illumina­zione né l’illusione esistono. Tutti co­loro che ne sono consapevoli hanno conseguito il risveglio all’assoluta ve­rità e sono chiamati Buddha.

Chi non conosce la forma dell’illuminazione, di fatto non ha  compreso nulla. Il termine ‘forma’, in questo contesto, significa lo stato di non-mente, la condizione mentale che è in­contaminata e libera da discriminazione. Non ci si dovrebbe porre il traguardo del risveglio ma addestrarsi solo per amore della prassi. Guardando un  uomo dovremmo vedere solo un uomo, non un apparato di valuta­zioni discriminative. Nel guardare la luna e i fiori do­vremmo vedere solo luna e fiori, non un’immagine distorta, creata seguendo un’idea preconcetta. Vivete la primavera come primavera e l’autunno co­me au­tunno. Accettate sia la bellezza che la malinconia di en­trambi. Anche se nelle stagioni e nella natura stessa il muta­mento è inevitabile, alcuni non lo accettano e cercano con ogni mezzo di evitarlo. Chi ha la mente pura, tuttavia, non isola questi pensieri ma comprende che anch’essi fanno parte di sé. Una persona può falsamente credere di essere lei stessa ad  udire gli uccelli che cantano in primavera, e vedere le foglie che ca­dono in autunno, ma non è così.

La condizione di non-mente, o mente non contamina­ta, non può essere suscitata da noi e non è innata. Questo si­gni­fica che i quat­tro elementi[2] e i cinque skandha,[3] non sono costi­tuenti né di noi stessi né degli altri. La gente comune ri­tiene che la mente mossa dalla luna e dai fiori sia la vera mente; in realtà ciò non è vero ed è contrario al Dharma. La decisione di riuscire a vedere tutte le cose come sono re­almente, senza idee preconcette, risulta nell’emergere del vero adde­stramento. Un vecchio saggio ha detto: “Benché il mondo intero sia il nostro dharma-kāya,[4] non dovremmo lasciarcene ostaco­lare né dovremmo aggrapparci ad esso. L’attaccamento al dharma-kāya  impedi­sce la percezione della verità. Perseverate nel superare questi ostacoli; in caso contrario cadrete senza dubbio nel mondo della sofferenza e ci resterete per un’eternità.” All’even­tuale domanda: “Come è possibile far sorgere il dharma-kāya senza esserne osta­colati?” si può rispon­dere che: “Come ha detto un vecchio saggio, ‘Il mondo intero è il nostro dharma-kāya’.” Questa risposta può es­sere data solo da coloro che hanno fatto sorgere il dharma-kāya senza aggrapparsi ad esso. Coloro che non sono riusciti a farlo non possono dire altret­tanto e dovrebbero starsene zitti.

Senza usare le parole, un Buddha disse una volta: “C’è vita nella morte e morte nella vita; c’è morte nella morte e vita nella vita.” Questo è un fatto indiscutibile che non dipende dai desideri degli uo­mini. Questo è il Dharma. Il Buddha Śākyamuni, nel proclamare la Legge,  disse che vita e morte sono una cosa sola, e che questa è la fondamentale verità del Dharma. Egli ne parlò apparendo come luce splendente e come voce di saggezza.

La comparsa del Buddha nel mondo fu caratterizzata da questa luce splendente e da questa voce di saggezza. Per­ce­pire questa luce e questa voce è realizzare il risveglio. La frase “Il Buddha com­parve  nel mondo per salvare gli esseri senzienti” non dovrebbe essere soltanto interpretata come “Com­parve e li salvò.” Salvare gli esseri senzienti coincide con il mani­festarsi del Buddha. L’azione di salvare gli esseri sen­zienti fa sì che il dharma-kāya  si manifesti come corpo storico del Buddha. Essere salvato significa passare sull’altra sponda.[5] È questo il cul­mine dell’addestramento ed è l’inevi­tabile conseguenza del vedere il Buddha. Dovremmo subito proclamare questa verità agli altri e cer­care di raggiun­gere noi stessi l’altra sponda. Il manifestarsi del Bud­dha equiva­le ad esse­re salvati; questa è la conseguenza della comparsa del Buddha Śākyamuni  nel mondo. Colui che si è risvegliato sa che anche se il Buddha Śākyamuni  predicò molto nel  periodo tra il risveglio e l’ingresso nel parinirvāna, in realtà non pronunciò una sola parola.

Un vecchio Buddha ha detto: “Il mondo intero è il vero corpo dell’uomo, la porta al non-attaccamento, l’occhio del Buddha Vairocana,[6] e il nostro proprio dharma-kāya .” Ciò significa che la verità è il vero corpo o, in altre parole, che il mondo intero non è parte del nostro corpo ma è il vero e proprio corpo stesso. Su questo argo­mento fu posta una  domanda: “Perché non sono consapevole che il mondo intero è il vero corpo?” La risposta fu: “Perché l’ignoranza impedisce una vera comprensione di queste parole.” Se non si riesce a capire il si­gnificato de “Il mondo intero è il vero corpo”, non si do­vrebbe ri­petere questa frase a pappagallo. Il fatto che, in genere, la gente non sia consapevole del fatto che il mondo intero è il vero corpo dell’uomo, non ha alcuna impor­tanza; le opinioni degli uomini non possono alterare i fatti; que­sto dovremmo saperlo.

La frase “Il mondo intero è la porta al non-attacca­mento” ci fa comprendere che, giunti a questo stadio, siamo li­beri dalla confu­sione e dall’attaccamento. Il mondo intero, si ri­ferisce allo stretto rapporto esistente tra tempo, pensiero e paro­la; in sé invece, il mondo è al di là delle limitazioni di spazio e tempo. Una mente discriminante impedisce di varcare la porta del non-attaccamento. Riflettendo ulteriormente sulla  frase “Il mondo intero è la porta al non attaccamento”, capiremo che è inutile cercare questa porta fuori da se stessi.

Nella frase “Il mondo intero è l’occhio del Buddha Vairo­cana” la parola occhio non designa l’organo fisico. Gli occhi corpo­rei generalmente sono due; quelli di cui si parla nell’espressione “L’occhio di  un essere umano” non sono sol­o due o tre, così come nelle espressioni “L’occhio-di-Buddha”, “L’occhio-del-Dhar­ma” e “L’occhio soprannaturale”[7] non si intende l’organo fisico. È ve­ramente un grande pecca­to che la nostra comprensione della parola occhio sia limitata all’organo fi­sico. Dovremmo comprendere che l’occhio bud­dhistico è il mondo intero;  esso può essere formato da mille o diecimila occhi, e il mondo intero rappresenta uno di essi. In ogni caso, questo punto di vista è solo uno tra i tanti. Quest’ul­tima af­fermazione non contraddice la precedente, secondo cui il Buddha ha un occhio, perché quest’unico occhio non è di un solo genere ma può essere di tre, mille o ottantaquat­tromila generi. Non dovremmo sor­prenderci nell’apprendere questo.

A proposito della frase “Il mondo intero è il nostro dharma-kāya”, si può dire che è naturale per l’uomo voler co­no­scere il proprio vero sé; pochi tuttavia ci riescono perché sol­o i Buddha possono comprendere pienamente la loro vera natura. Coloro che non seguono la Via pensano, sbagliando, di essere una cosa diversa dalla loro vera esistenza. Il Buddha ha insegnato che noi stessi siamo il mondo intero. Non è importante comprendere questo proprio ora; lo si capisce quando lo si sperimenta direttamente.

Molto tempo fa un monaco chiese ad un alto sacer­dote:[8] “O monaco eccellente, se all’improvviso e contemporaneamente sorges­sero davanti a me centomila oggetti, cosa dovrei fare?” Il sacerdote ri­spose: “Non ti curare degli oggetti.” Pos­sia­mo così capire che non dobbiamo né ag­grapparci a quegli eventi impre­visti che inevitabilmente si pre­sen­tano, né cercare di evitarli. Questo è il vero spirito del Dharma del Buddha. Non consi­de­rate gli oggetti come vostri nemici; simili pensieri sorgono quan­do siete impigliati nella situazione, una situazione che in realtà non esiste.

Un vecchio Buddha ha detto: “Le montagne, i fiumi e la grande terra sono apparsi contemporaneamente alla vita umana, e lo stesso vale per i Buddha dei tre mondi.” Qualcuno sostiene che le montagne, i fiumi e la grande terra esistevano, in quella stessa forma, ancora prima di  manifestarsi. Se questo fosse vero, allora di ogni cosa esisterebbero due copie. Anche se accettiamo questo punto di vista, non dovremmo considerare in­sensate le parole del Buddha, ma deci­dere piuttosto di esami­nare la  questione più a fondo. Questo è vero perché è stato in­segnato da un vecchio Buddha. La prima domanda che dob­biamo porci è: “C’è qualcuno che può chiarire o definire na­scita e morte?” La risposta, ovviamente, è no; eppure siamo nati. Analogamente nessuno può determinare i limiti  delle monta­gne, dei fiumi e della grande terra; anche se viviamo su di essa, possiamo os­servare solo alcune parti del tutto. Invece di lamentarci perché l’esistenza di montagne, fiumi e della grande terra è sepa­rata dalla nostra vita, dovremmo sfor­zarci di chiarire le parole del Buddha: “Le montagne, i fiumi e la grande terra esistono si­multaneamente a noi.”

Se siamo consapevoli che i Buddha realizzano la per­fetta prassi e sono esseri pienamente risvegliati, è dif­ficile capire il concetto che noi coesistiamo con loro. Per chiari­re questo punto dobbiamo esaminare più a fondo le loro azioni. I Buddha agiscono simultanea­mente con il mondo intero e con tutti gli es­seri senzienti. Se non è in grado di soddisfare le ne­cessità dell’addestramento, non è l’azione dei Buddha. Tutte le cose si risvegliano insieme ai Buddha. Non poche persone nu­trono dubbi su questo punto; noi, invece, dovremmo accet­tare sia la nostra coesistenza con i Buddha, sia il fatto che tutte le cose si risvegliano  contemporaneamente ai Buddha. Dubitare di ciò è denigrare i Buddha nei tre mondi. Questo è il Dharma del Buddha, e conforme al Dharma è quel principio secondo cui tutti gli esseri senzienti possono risvegliare la mente che cerca il Buddha, così come hanno fatto i Buddha stessi.

Se, alla luce della saggezza del Buddha, riflettiamo sulla no­stra vita com’era prima e com’è dopo del risveglio della mente che cerca il Buddha, comprendiamo che ciò che cer­chiamo non è né in noi stessi né negli altri. Quale forma di at­tac­camento, dunque, ha provocato la frattura tra i tre mondi? L’esigenza di affermare il nostro ego diventa, di conseguenza, inutile. Perché dubitare del fatto che i Buddha provengono dalla vera mente di tutti i Buddha nei tre mondi?

Una volta si diceva: “La Via trascende il pensiero discrimi­nante e conduce ad un giudizio non contami­nato.” Le molte incom­benze che ci capitano addosso e che ci as­sediano non sono altro che il re del Dharma.[9] Non sono necessarie altre considerazioni. Anche le montagne, i fiumi e la grande Terra non sono altro che manife­stazioni del re del Dharma. I nostri contemporanei dovreb­bero chiarire queste parole degli antichi.

Le cose che ci cascano addosso sono manifestazioni del re del Dharma, così come lo è l’innalzarsi delle monta­gne; la mente ri­svegliata e quella non risvegliata stanno in que­sto rap­porto, cioè coe­sistono senza interferire. Sono come la prima­vera e l’autunno. Chi non è ricettivo non ricava nulla da queste parole, e tanto varrebbe predi­care al vento. Chi è ricettivo, invece, si ri­sveglia all’illuminazione e diventa una cosa sola con tutto il manifesto. Coloro che non si sono ancora risvegliati dovrebbero smettere di pensare che ciò dipenda dal fatto che la voce che insegna il Dharma è troppo debole, o troppo forte. I nostri sforzi personali non bastano a risvegliare l’il­luminazione; essa si manifesta come effetto del re del Dharma. Re del Dharma indica l’unità di occhio, di mente e di risveglio con il corpo intero. Con il risveglio ogni diffe­renziazione tra corpo e mente è soppressa e ci si rende conto che sono una cosa sola. Il Buddha, che fu illuminato dall’infinita luce della saggezza, proclama la Legge agli es­seri senzienti sotto forma di re del Dharma.

Nei tempi passati si riconobbe che soltanto i pesci pos­sono conoscere la mente dei pesci e solo gli uccelli sanno indi­viduare il percorso delle migrazioni. Oggi, tuttavia, pochi possie­dono questa co-noscenza. Gli esseri umani non possono cono­scere la mente dei pesci o degli uccelli. Bisogna chiarire questo a fondo; una conoscenza superficiale non è sufficiente. Se la no­stra comprensione è profonda, ca­piamo che i pesci co­noscono la mente dei loro simili e che, in questo, sono diversi dagli esseri umani. C’è unità della mente quando i pesci nuota­no controcor­rente o superano un fiume che scorre rapido e tor­tuoso. Soltanto i pesci sanno coordinarsi in questo modo.

Gli uccelli in volo non possono essere inseguiti per­ché non lasciano impronte, né tracce. Per gli animali al suolo, uno stormo di centomila piccoli uccelli migratori appare come una fila ininterrotta di grandi uccelli che volano verso nord o verso sud. Un carro che scende  lungo un sentiero fangoso, o un ca­vallo in un campo, sono facili da in­seguire perché lasciano tracce chiare e riconoscibili. Un uccello, in­vece, non ha biso­gno di tracce per seguire gli uccelli che lo hanno pre­ceduto. In linea di principio è la stessa cosa per chi segue la Via. I Bud­dha conoscono tutti i Buddha che li hanno preceduti, i piccoli e i grandi Buddha, ed anche i Buddha meno noti. Solo i Buddha possono riconoscere i Buddha. A chi interroghi in pro­posito, si deve rispondere: “Questo perché solo i Buddha pos­siedono l’oc­chio-di-Buddha, e senza quest’occhio la Via non si può né ve­de­re né riconoscere.” Dun­que, solo i Buddha co­noscono e comprendono gli insegnamenti. Coloro che non rie­scono a  capi­re questo, dovrebbero cercare di se­guire la traccia lasciata dai Buddha.

Una volta rilevata la traccia, dovremmo usarla come pietra di paragone per verificare la via che noi stessi stiamo percorrendo. Questo genere di confronto permette una più profon­da comprensione delle orme  lasciate dai Buddha. Si può vedere se esse sono corte o lunghe, profonde o superficiali. Solo chia­rendo le orme lasciate dai Buddha possiamo conoscere intuiti­vamente le impronte che formano il nostro stesso sentie­ro. Una volta individuate e comprese, le orme lasciate dai Buddha, do­vrebbero es­sere seguite con corpo e mente indivisi. Que­sto è il Dharma del Buddha.

 

 

Questo fu trascritto il 31 marzo 1288 ad Eiheiji, sul monte Kichijō, Echizen, nell’alloggio riservato agli ospiti del Maestro.

 


 

 

[1] Lett. “Colui che ascolta”, in origine si riferiva a coloro che avevano udito direttamente l’insegnamento dalla voce del Buddha. Più tardi, la parola śrāvaka fu utilizzata più genericamente per distinguere gli studenti Hīnayāna da quelli Mahāyāna.

[2] I quattro elementi, dal sanscrito catvā mahābhūtāni, sono: terra (peso e leggerezza), acqua (coesione e fluidità), fuoco (caldo e freddo), vento (impulso e movimento).

[3] I cinque skanda o aggregati sono: rūpa (il corpo-forma), vedanā (la sensa­zione), samjñā (la percezione, la nozione), samskarā (le impressioni risultanti, gli elementi della coscienza, lett. “I formati e i formanti”), e vijñāna (la coscienza individuale, la conoscenza discriminante).

[4] Dharma-kāya, il corpo della Legge, o corpo della realtà ultima, che è priva di forma ed è onnipervadente. È la natura assoluta della mente-di-Buddha. È uno dei tre corpi di un Buddha, assieme al sambhoga-kāya, il corpo di ricompensa, la manifestazione sottile risultante dalla prassi, e al nirmāna-kāya, il corpo manifestato per il bene degli esseri senzienti.

[5] Dalla sponda dell’ignoranza alla sponda del risveglio.

[6] Il Buddha Sole, simbolo di luce universale.

[7] Si tratta di uno dei sei poteri mistici: il potere di concentrazione penetrante (per acquisire una visione profonda). Gli altri sono: il potere di determinazione (per divenire multipli), il potere di trasformazione (per adottare un’altra forma), il potere di formazione di un corpo mentale, il potere di conoscenza penetrante (per dimorare salvi nel pericolo), il nobile potere (per dimorare in modo imperturbabile ed equanime).

[8] Il Maestro Chinshū Hōju (?), un successore del Maestro Hōju Enshō che era il successore del Maestro Rinzai Gigen (815?-867).

[9] Dal sanscrito Dharma-svāmin, la totale e completa maestà del Dharma.