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SANGAI YUISHIN

I Tre Mondi Sono Solo Mente

 

 

Il mondo del pensiero, della sensazione e dell’azione, rappresentano un’idealistica suddivi-sione del mondo reale, ma non significa che sono prodotti dalla nostra mente. “I tre mondi sono solo mente” sin­tetizza l’insegnamento che la realtà esiste nel contatto tra soggetto e oggetto. Partendo da questo punto di vista, il Maestro Dōgen ana­lizza alcuni insegnamenti del Buddha, su questo tema, e chiude il capitolo con un commento ad un kōan del Maestro Gensha.

 

Il Grande Maestro Śākyamuni disse: “I tre mondi so­no solo mente; al di fuori della mente nulla esiste. Mente, Buddha ed esseri sen­zienti non sono tre cose diverse.” In questa frase è contenuto l’insegnamento dell’intera vita di Śākyamuni. Tali parole furono pro­nunciate intenzionalmente; dovevano essere dette. Dunque, l’affermazione del Tathāgata[1]: “I tre mondi sono soltanto mente” è la realizzazione dell’intero Ta­thā­gata. Tutta la sua vita è espressa in un’unica e perfetta frase. “I tre mondi” sono l’Universo in­tero. Tuttavia, non do­vremmo affermare che i tre mondi sono la mente, dal momento che si manife­stano chia­ramente in ogni direzione ma, pure, re­stano tre mondi.

Potremmo, erroneamente, ritenere che i tre mondi non esi­stano; malgrado ciò, non possiamo se­pararci da essi. Interno, esterno e centro, e inizio, metà e fine, sono i tre mondi. Tre mondi, è il mon­do visto come tre mondi. Chi afferma che i tre mon­di non esi­stono, è in errore. Qualcuno può pensare che essi rappresentino un vecchio punto di vista o un nuovo punto di vi­sta.[2] I tre mondi sono per­cepiti sia come il­lusione, sia come risveglio.

Perciò Śākyamuni, il Grande Maestro, dis­se: “I tre mondi che vedo non sono i tre mondi del­la gente comune.” Questo è il corretto punto di vi­sta. I tre mondi dovrebbero esse­re visti in que­sto modo: non sono l’originaria o l’attuale esi­stenza né sono creati ex novo, e nemmeno sono formati dal karma né sono l’inizio, la metà o la fine. Vi sono tre mondi distac­cati dal mondo della soffe­renza; questi sono gli attuali tre mon­di. C’è un incontro della funzione del non attaccamento con la funzione generata dall’essere distaccati. La prassi svilup­pa la prassi. Gli attuali tre mondi sono i mondi che vediamo. ‘Ve­dere’ è vedere i tre mondi. Vedere i tre mondi è vedere la realizzazione dei tre mondi, ed è la realiz­zazione dei tre mondi visti: questa è la realizza­zione della realtà. Attraverso i tre mondi sorgono determina­zione, prassi, illuminazione e nirvāna.

Questo è: “Tutte le cose sono miei possedi­menti.” Ecco perché Śākyamuni disse: “Negli attuali tre mondi tutte le cose sono miei possedimenti; tutti gli esseri senzienti all’interno dei tre mondi sono figli miei.”

Poiché gli attuali tre mondi sono i posse­dimenti di Śākyamuni, l’intero Universo è i tre mondi, e i tre mondi sono l’intero Universo. Gli attuali tre mondi comprendono passa­to, pre­sente e futuro. La realizzazione di passato, presente e futuro non osta­cola il mondo attuale. La realizza­zione del mondo attuale non ostacola né il passato, né il presente, né il futuro. “I miei possedimenti” si­gnifica che il vero corpo dell’uomo copre le dieci dire­zio­ni dell’Universo.[3] “L’intero Universo è dentro l’occhio di un monaco.” Gli esseri senzienti sono il vero corpo dell’intero Universo. Ogni essere senziente esiste come essere; ne consegue che, presi as­sieme, essi formano la totalità degli esseri sen­zienti.

Tutti figli miei” è il principio dell’e­mer­gere della totale e completa at­tività dei figli. Certamente i ‘figli miei’ hanno ricevuto corpo, ca­pelli e pelle dal loro compassionevole padre. Di conseguenza, non dovrebbero nuocere a se stessi separan­dosi dal Dharma, né mostrare una qualsiasi inade­guatezza. Dunque, essi possono essere realizzati come figli. Qui non viene prima il padre e poi il figlio, né prima il fi­glio e poi il padre, e nemmeno c’è nascita simultanea; questo è il principio di ‘figli miei’. Il padre non da vita al figlio, ma la riceve egli stesso come figlio. Il figlio non trae la pro­pria vita dal padre, solo la riceve. Non si tratta del fatto che il padre se ne va, e il figlio appare; non è una mi­surazione di grande o piccolo, e nean­che una comparazione tra vec­chio e giovane.

Il rapporto tra vecchio e giovane dovrebbe essere con­cepito come la relazione esistente tra un Buddha e un Patriarca. Il padre è giovane e il fi­glio vecchio, il padre è vecchio e il figlio gio­vane, pa­dre e figlio sono vecchi, padre e figlio sono giovani. Non è che il fi­glio ha ap­preso che suo padre è vecchio, né possiamo dire che il pa­dre non fu, un tempo, giovane. Do­vremmo inve­stigare accurata­mente il signifi­cato di ‘vecchio’ e ‘giovane’, nel padre e nel figlio. Non do­vremmo es­sere superfi­ciali. C’è un padre e un figlio che ap­paiono e scom­paiono si­multaneamente come padre e figlio, e un pa­dre e un fi­glio che non lo fanno. Né il padre né il figlio creano alcun ostacolo; dun­que si manifestano sia il figlio, sia il padre com­passio­nevole. Vi sono esseri senzienti con una mente, ed esseri senzienti senza una mente. Vi sono figli con la mente e figli che ne sono privi. Così, ‘i figli miei’ e ‘i figli con me’ diventano eredi nel Dharma di Śākyamuni, padre compassionevole.

Tutti gli esseri senzienti del passato, del pre­sente e del futuro, nell’intero Universo, sono tutti i Buddha di passato, presente e futuro, nel­l’intero Universo. I figli di tutti i Buddha sono es­seri senzienti; gli esseri senzienti sono il pa­dre compassionevole di tutti i Buddha. Ecco perché dunque, fiori e frutti di cento erbe, e grandi o piccole rocce, sono i possedimenti di tutti i Buddha. Anche per questo, le foreste e i campi sono luoghi di pace, liberi da ogni soffe­ren­za. Possiamo parlare di questo, ma l’essenza dell’affermazione del Buddha è riferita ai ‘figli miei’. Non disse ‘mio padre’. Dobbiamo investigare questo.

Il Buddha Śākyamuni disse: “Il corpo-di-­Dha­r­ma, [4] il corpo-di-beatitudine e il corpo-di-nirvāna, del Buddha, non so­no mai separati dai tre mondi. Non vi sono esseri senzienti al di fuori dei tre mondi. In quale altro luogo possono insegnare i Buddha? È per questo che affermo: ‘Chiunque sostenga che esi­ste un mondo di esseri senzienti fuori dai tre mon­di, sta citando gli scritti dei profani e non l’insegnamento dei sette Buddha’.”              

Dobbiamo aver chiaro che i corpi-di-Dharma, di beati­tu­dine e di nirvāna, di tutti i Buddha, costituiscono i tre mondi. Nulla esiste fuori dal Buddha, e nulla fuori da steccati e muri. Proprio come nulla esiste fuori dai tre mondi, nulla esiste fuori dagli esseri senzienti. Se non vi fossero gli esseri senzienti, il Buddha come potrebbe mai insegnare? E là dove i Buddha inse­gnano, di certo vi sono esseri senzienti.

Do­vremmo sapere che solo nei testi dei profani ci si riferisce ad un mondo di esseri senzienti, fuori dai tre mondi; non nei sūtra dei sette Bud­dha. ‘Soltanto mente’, non è propria­mente uno o due, né i tre mondi, e nemmeno sor­ge dai tre mon­di. Non contiene al­cunché di falso ed è sia il pos­sesso, sia il non-possesso di pen­siero, conoscenza, percezione e risveglio. È muro, te­gole e pie­tre, montagne, fiumi e terra. La mente è la pelle, carne, ossa e mi­dollo; è il solle­vare il fiore da parte del Buddha ed è il sorriso di Mahākāśyapa. La mente è esi­sten­te, non-esistente, dotata di corpo, sprovvista di corpo, esi­stente prima della comparsa del corpo e dopo la sua scom­parsa. Vi sono diverse specie di nascita corporale: da esse­re vivente, da uovo, da umidità, e in modo spontaneo. La mente nasce se­con­do le mede­sime modalità. La mente è blu, gial­la, rossa e bianca, è lar­ghezza, lun­ghezza, forma, è il venire e l’andare di nascita e morte, è anni, mesi, giorni e minuti, è sogni, illusioni, fiori di va­cui­tà,[5] è foschia e aria tersa, è fiori primaverili e luna d’autunno, ed è l’insieme delle azioni della nostra vita quotidiana. Nessuna di queste cose può essere ab­bando­nata né gettata via. La realtà di tutte le forme è la mente; solo i Buddha trasmettono il Bud­dha.

Una volta, il Grande Maestro Genshain Soitsu,[6] chiese al Grande Maestro Jizō-in Shinō:[7] “Qual è la tua comprensione de ‘I tre mondi sono solo men­te’?” Shinō indicò una sedia e disse: “Come chiami questa?” E Gensha: “Una sedia.” Shinō replicò: “Al­lora tu non sai nulla su ‘I tre mondi sono soltanto mente’.” Gensha quindi disse: “Io chiamo questo una pianta di bambù. Tu come lo chiami?” E Shinō: “An­ch’io lo chiamo una pianta di bambù.” Gensha allora re­plicò: “In nessun luogo da un capo all’altro del­la grande terra, è pos­sibile trovare qualcuno che abbia conseguito il Dharma del Bud­dha.”

Il succo della domanda del Maestro Gensha: “Qual è la tua com­prensione de ‘I tre mondi sono soltanto men­te’?” è che, sia che lo comprendiate o meno, è an­cora sempre “I tre mondi sono sol­tanto mente”. In entrambi i casi si può dire che i tre mondi sono solo mente. Shinō in­dicò la sedia e disse: “Come chiami que­sta?” Dobbiamo sapere che la domanda di Gensha: “Quale è la tua comprensione?” è la stessa cosa della domanda di Shinō: “Come la chiami?”

Il termine ‘sedia’, di Gensha, è una parola utilizzata nei tre mondi? Ha attinenza con le parole utilizzate nei tre mondi? Fu la se­dia a pronunciarla o fu Gensha? Dovremmo esaminare a fondo simili do­mande e trarne una qualche intuizione.

Il Maestro Shinō disse: “Allora tu non sai nulla su ‘I tre mondi so­no soltanto mente’.” Questa frase è un esempio delle porte orientale e meridionale di Jōshū, che possono essere anche le porte occiden­tale e settentrionale.[8] In più, vi sono le porte orien­tale e occi­dentale della provincia di Jōshū. Anche se compren­diamo che i tre mondi sono solo l’unica Mente, dobbiamo anche chiarire il ‘non sai nulla’. In più, i tre mondi sono soltanto mente perché vi è un: “I tre mondi sono soltanto mente” che trascende ogni comprendere e non comprendere.

Il Maestro Gensha disse: “Io lo chiamo una pianta di bambù.” Questo ci mostra una parola senza parola e un tempo senza tempo. “Io lo chiamo una pianta di bambù.” In quale altro modo lo si può chiamare? Originariamente, ogni cosa è magnifica sotto ogni aspetto: all’inizio, a metà o alla fine, proprio co­me una pianta di bambù. Qui “Io lo chiamo una pian­ta di bambù” ha a che fare o no, con “I tre mon­di sono soltanto mente?” Se affer­riamo il signifi­cato de “I tre mondi sono soltanto mente” al mat­tino, essa diventa una se­dia, o solo mente, o i tre mondi. Se ne comprendiamo il signifi­cato al­la se­ra, diventa: “Io lo chiamo una pianta di bam­bù.”

Il Maestro Shinō disse: “Anch’io lo chiamo un bambù.” Do­vrem­mo sapere che un simile dialogo tra maestro e allievo implica una completa, reciproca e corretta comprensione. Ciò nono­stante, dobbiamo ancora sta­bilire se “Io lo chiamo un bambù” di Gensha e “An­ch’io lo chiamo un bambù” di Shinō, siano uguali o diversi, giu­sti o sbagliati.

Il Maestro Gensha disse: “In nessun luogo, da un capo all’altro della grande terra, è possibile trovare qualcuno che ha conse­guito il Dharma del Buddha.” Dobbiamo assimilare con attenzione que­sto punto. Gen­sha disse: “Io lo chiamo un bambù” e Shinō replicò: “Anch’io lo chiamo un bambù.” Non è chiaro se en­trambi avessero ben compreso il significato di “I tre mondi sono soltanto mente.”

Comunque sia, cerchiamo di interrogare il Maestro Gen­sha. Hai detto: “In nessun luogo, da un capo all’altro della grande terra, è possibile trovare qual­cuno che abbia conseguito il Dharma del Bud­dha.” Che cosa intendevi con ‘grande terra’? È questo che si do­vrebbe chiarire e agire nella prassi.

 

 

Tra­smesso ai monaci, nel luglio 1243, sul Picco di Zenjihō nell’Echizen,.

Trascritto da Ejō, il 25 luglio dello stesso anno, nell’alloggio dell’abate.

 

 

 



[1] Lett. “Così arrivato”.

[2] Cioè, illusione o risveglio.

[3] Le dieci direzioni sono: i quattro punti cardinali, i quattro punti intermedi, l’alto e il basso.

[4] Dharma-kāya, il corpo della Legge, o corpo della realtà ultima, che è priva di forma e onnipervadente. È uno dei tre corpi di un Buddha, assieme al sambhoga-kāya, che è il corpo di ricompensa, la manifestazione sottile risultante dalla prassi, e al nirmāna-kāya, il corpo mani-festato per il bene degli esseri senzienti.      

[5] Si veda il cap. 14, Kuge.

[6] Il Maestro Gensha Shibi (835-907), un successore del Maestro Seppō Gison. Noto anche come Sōitsu Daishi. [Hsüan-sha Shih-pei]

[7] Il Maestro Jizō Keichin (867-928), nella linea di trasmissione del Maestro Seppō Gison. Noto anche come Rakan. [Ti-tsang Kuei-ch’en]

[8] Una volta un monaco chiese al Maestro Jōshū: “Cos’è Jōshū?” Il Maestro rispose: “La porta occidentale, la porta meridionale, la porta orientale e la porta settentrionale.”