Introduzione   |   Indice sinottico   |   Capitoli   |   Ricerca   |   Contatti

(73)

TASHINTSU

Leggere la Mente degli Altri

 

 

Il capitolo è interamente dedicato alla storia sull’incontro tra il Mae­stro Echu e l’indiano Daini Sanzō, e sulla presunta capacità di questi di leggere la mente degli altri. A questo, seguono le relative inter­pretazioni di cinque famosi maestri che, tuttavia, il Maestro Dōgen non ritiene soddisfacenti. Il capitolo si conclude con l’esortazione a sforzarsi di leggere la propria mente, piuttosto che disperdersi nel cercare di leggere la mente altrui.

 

LInsegnante Nazionale Echū,[1] dell’Eshū, fu un uomo coraggioso. Il nome della sua famiglia era Zen. Dopo aver ricevuto il Sigillo della Trasmissione della mente andò a vi­vere nella valle di Tōshi, vicino al monte Hakugai, nel Nanyō. Mai, in più di quarant’anni, varcò il can­cello del mona­stero. La fama della sua prassi rigorosa giunse fino alla capitale e l’Imperatore Shukushū, della dinastia Tang, mandò un cor­riere per invitarlo ad insegnare a Rakuyō, la capitale. Que­sto avvenne nel secondo anno di Jogen.[2] Echū accettò l’invito e si trasferì al Saizenin, un tem­pio an­nesso al Senpukuji. Più tar­di, Daishū fu incoronato Impe­ratore ed Echū venne invitato a trasferirsi nel Kōtakuji, dove ri­mase per più di sedici anni utilizzando taiki-seppō[3] e cioè, insegnando a misura delle doti e delle capacità dei suoi al­lievi.

Un giorno, un mo­naco letterato chiamato Daini[4] Sanzō giunse nella capitale, provenendo dall’India. Poiché costui affermava di saper leggere nella mente altrui, l’Impera­tore volle metterlo alla prova e lo condusse al cospetto dell’Inse­gnante Nazionale. Sanzō salutò il Maestro Echū con un inchino e si pose alla sua destra. Allora Echū gli disse: “Ho sentito che sai leggere la mente degli altri.” “Solo un poco” rispose Sanzō. “Bene, allora dimmi dov’è proprio adesso questo vecchio prete?” Sanzō disse: “O monaco, tu che sei l’Insegnante Nazionale, per­ché ti trovi a Seisen per guardare le gare annuali di barche?” Echū gli chiese allora: “Per favore, dimmi dove mi trovo ora.” E Sanzō: “Tu sei l’Insegnante Nazionale. Perché stai osservando la ruota delle scimmie, sul ponte di Ten­shin?” Echū ripeté quindi la domanda una terza vol­ta: “Dove sono ora?” Sanzō pensò per un po’, ma non rispose. Allora Echū gli disse: “Tu, volpe selva­tica! Dov’è mai la tua capacità di leggere la mente altrui?” Sanzō ri­mase in silenzio.

Una volta, un monaco chiese al Maestro Jōshū:[5] “Perché Daini Sanzō non rispose alla terza domanda? Dov’era l’Insegnante Nazionale?” Jōshū disse: “Sulla punta del naso di Sanzō.” Lo stesso monaco chiese a Gen­sha:[6] “Se l’Insegnante Nazionale è nella narice di Sanzō, perché questi non può vederlo?” “È trop­po vicino per ve­dere” rispose Gensha.

Un altro monaco chiese al Maestro Gyōzan:[7] “Perché, la terza volta, Daini Sanzō non riuscì a vedere l’Insegnante Nazionale?” Gyōzan disse: “Le prime due risposte avevano a che fare col mondo ogget­tivo. Sanzō non possedeva però il samādhi di fruizione,[8] perciò non riu­scì a vedere l’In­segnante Nazionale.”

Il Maestro Kai-e Shutan[9] disse: “Perché Sanzō non riu­scì a ve­dere l’Insegnante Nazionale, pur restando sul­la punta del suo stesso na­so? Perché non sapeva che l’Insegnante Nazionale era già nel suo occhio.”

Il Maestro Gensha disse: “Ma tu hai visto veramente l’In­segnante Nazionale, le prime due volte?” A questo proposito il Mae­stro Zen Secchō Jūken[10] affermò: “Sanzō non ci riuscì.”

Come si vede, esistono molti commenti e in­terpretazioni della prova a cui Sanzō Daini fu sottoposto dall’Insegnante Nazionale. I cinque commenti che abbiamo considerato sono di differenti maestri; nessuno di questi, tuttavia, evidenzia l’essenza dell’episodio, né afferra la condizione in cui si trovava l’Inse­gnante Nazionale Echū. Quasi tutti, nel passato come oggi, riten­gono che le prime due risposte di Sanzō non fossero sbagliate, e che indicassero esattamente il luogo in cui si trovava l’Insegnante Nazionale. Questo è un gra­ve errore e dobbiamo, perciò, chiarire l’intera que­stione. Questi cinque commenti li possiamo considerare alla luce di due considerazioni: la prima, che Sanzō non conosceva il vero significato delle domande rivoltegli; la seconda, che Sanzō non conosceva affatto il corpo e mente dell’Insegnante Nazionale.

Per ciò che riguarda il primo aspetto pos­siamo dire che lo scopo della domanda ini­ziale del Maestro Echū “Dove sono ora?” fosse quello di verificare se Sanzō possedesse l’illuminata visione che consente di vedere e udire il Dharma del Buddha; se fosse ca­pace di leggere l’altrui mente, attraverso il Dharma. Se Sanzō avesse posseduto il Dharma del Buddha, in quel momento avrebbe potuto ri­spondere in base alla sua esperienza del Dharma, utilizzandolo li­beramente e con profitto. Quando l’Insegnante Nazionale domandò “Dove sono ora?” in realtà chiedeva “Chi sono io?”, o “Che momento è que­sto?”, o anche “Che cosa sono io?” Non senza motivo Echū utilizzò l’espressione “Vec­chio mo­naco.” Egli non era necessariamente vecchio in quel tempo; vecchio monaco è colui che possiede l’originaria mente-di-Buddha.

Benché Daini Sanzō provenisse dall’India, non com­prendeva la mente-di-Buddha perché, limitandosi agli insegnamenti dei profani e dei seguaci dell’Hīnayāna, non a­veva studiato cor­rettamente il Dharma. L’Insegnante Nazionale chiese: “Dove sono ora?” Per la se­conda volta, Sanzō diede un’inutile risposta e, la terza, rimase in silen­zio. Allora Echū lo redarguì: “Tu, volpe selvatica! Dov’è la tua capacità di leggere la mente altrui?” Anche dopo essere stato così rimproverato, Sanzō non ri­spose. Non c’era nessuna risposta e nes­suna solu­zione. Tuttavia, i nostri predecessori hanno af­fermato che l'Insegnante Nazionale redarguì Sanzō solo per non aver sa­puto rispondere alla terza domanda. Questo è un grave errore. Sanzō fu rimproverato perché non aveva la più palli­da idea di dove si tro­vasse il Dharma del Buddha. Non crediate che Sanzō conoscesse la ri­sposta alle prime due domande; questo sarebbe uno sbaglio.

Sanzō possedeva quella certa capacità di leggere la mente altrui, di cui si vantava, ma no­n aveva la comprensione di tale potere. È per que­sto che venne rimproverato. In primo luogo, il Maestro Echū volle mettere Sanzō alla prova chiedendogli in so­stanza: “Esiste, nel Dharma del Buddha, il potere di leggere la mente altrui?” “So che ce n’è un poco” fu la risposta. L’Inse­gnante Nazionale al­lora ne am­mise la capacità; tuttavia pensò che, pur esistendo un tale potere all’interno del Dharma, se non lo si penetra totalmente ne derivano per­sone come Sanzō.

Anche se Sanzō avesse risposto alla terza domanda, come alle prime due, sarebbe stato inutile. Tutte le risposte di Sanzō dovrebbero essere biasi­mate. Echū lo interrogò per la terza volta perché ancora conservava qualche speranza che egli riu­scisse a cogliere il suo intento. Occorre aggiungere che, a quanto si narra, la gente di quel tempo non conosceva il corpo e mente dell’Insegnante Na­zionale; dunque Sanzō non avrebbe potuto facilmente né ve­dere né compren­dere il corpo e mente di Echū. Dal momento che neppure i dieci san­ti e i tre saggi,[11] i Bodhisattva e i pratyekabud­dha[12] sono in grado di chia­rire questo, come avrebbe po­tuto un simile comune studioso del Tripitaka,[13] cono­scere l’intero corpo dell’Insegnante Nazionale?

Dobbiamo chiarire questo principio. Se par­liamo del corpo e mente dell’Insegnante Nazionale a uno studioso del Tripitaka, allora stiamo diffamando il Dharma del Buddha. È pura follia, per un cultore dei sūtra e dell’abhidharma, paragonarsi a Echū. Coloro che desiderano il potere di leggere la mente al­trui non dovrebbero credere di aver com­preso dove si trovi l’In­segnante Nazionale.

In India non è inconsueto che certe persone possegga­no il potere di leggere la mente degli al­tri. Tuttavia, ciò non ha nulla a che vedere con la mente che cerca il risveglio, e nemmeno è la vera intui­zione propria del Mahāyāna. Non si è mai verificato un solo caso in cui il Dharma del Buddha fosse rivelato attraverso il po­tere di leggere la mente al­trui. Comunque, l’eventuale possesso di tale capacità non ci esenterebbe dalla necessità di sviluppare la tradi­zionale mente, fatta di determinazione e prassi, per poter illuminare gradual­mente la Via. Se fosse possibile percepire la Via del Buddha mediante il potere di leggere la mente altrui, tutti i venerabili del passato avrebbero dovuto possedere questa ca­pacità per così comprendere l’efficacia del Dharma, immediatamente. Ciò non si è mai verifi­cato per nessuno degli innu­merevoli Buddha e Pa­triarchi. Di quale aiuto ci può essere il potere di leggere la mente altrui, se non conosciamo la Via dei Buddha e dei Patriarchi?

Nella Via del Buddha una tale capacità non è necessaria, e ciò vale per tut­ti, sia per chi possiede qualche potere, sia per la gente comune. Tanto questi ultimi, quanto coloro che leggono nella mente altrui, entrambi possie­dono la stessa natura-di-Buddha.[14] Gli studenti del Dharma non dovrebbero ritenere che posse­dere i poteri sovranormali[15] dei profani o dei se­guaci dell’Hīnayāna, renda superiori alla gente comune. Piuttosto, sono coloro che possie­dono semplicemente una mente ver­sata nel­la Via e che studiano il Dharma del Buddha, ad essere supe­riori a chi è dotato di tali poteri.

Il Dharma è come un uovo di kalavinka.[16] Il canto di questo uccello è superiore a quello di ogni altro. Inoltre, questa capacità posseduta da certi indiani di leggere la mente altrui, dovrebbe essere definita, più precisa­mente, come capacità di leggere i pensieri altrui. La facoltà di cogliere i pen­sieri superficiali degli altri è un talento del tutto inutile e risibile. ‘Mente’ non è necessaria­mente ‘pensiero’ e vi­ce­versa; anche nel caso in cui lo fosse, leggere la mente degli altri non è comunque possibile. Perciò i poteri so­vra­normali dell’India non sono paragonabili al la­voro che qui svol­giamo, di ri­pulire un terreno e farne una risaia.

I poteri sovra­normali sono del tutto inutili; perciò non venivano utilizzati nella Cina orientale. È utile un muro largo un piede, non i po­teri miracolosi. Quel muro non è prezioso, ma anche una breve porzione di tempo è molto importante. Chi è consapevole di ciò come può sprecare tempo cer­cando di ottenere poteri sovranormali? Ab­biamo dunque stabilito, con precisione, che il potere di leggere la mente altrui non è supe­riore alla saggezza buddhi­stica. Malgrado ciò, tutti i venerabili monaci prima ci­tati, stimarono che le prime due rispo­ste di Sanzō indicassero con precisione dove fosse l’Insegnante Nazionale. Questo è un grossolano errore. L’Insegnante Nazionale è un Buddha e un Patriarca, mentre Sanzō è solamente una persona comune; co­me possono dun­que essersi visti e aver realizzato un reciproco incontro di menti?

Il Maestro Echū chiese dapprima: “Dov’è, proprio ora, que­sto vecchio prete?” Questa domanda non ha in sé nulla di nascosto; la risposta è infatti rivelata nel quesito stesso. Sanzō non do­vrebbe es­sere bia­simato per la sua ignoranza; ciò che è grave è che i venerabili monaci, prima citati, non avessero alcuna idea circa la ri­sposta. L’Insegnante Nazio­nale chiese: “Dov’è, pro­prio ora, questo vecchio prete?”; non chiese “Dov’è la mente?” né “Dov’è il pensiero di questo vec­chio prete?” Dobbiamo stare molto attenti su questo pun­to.

I venerabili monaci di cui sopra, tuttavia, non furono in grado di cogliere l’essenza della domanda dell’Insegnante Nazionale. Essi furono quindi inca­paci di conoscerne corpo e mente; di lui conobbero solo le sue parole. Dal momento che Echū non re­plicò, essi ritennero che quello fosse tutto e che non vi fosse altro. Come possono conoscere corpo e mente dell’Insegnante Nazio­nale se non sanno tra­scendere grande e piccolo, sé e altri? È come di­menticare il volto e le narici dell’Insegnante Nazionale. Il Maestro Echū, pur addestrandosi incessantemente, non cercò mai di diventare un Buddha. Non aveva dunque alcuna inten­zione o desiderio di diventare un Bud­dha. L’In-segnante Nazionale pos­sedeva già il corpo e mente del Dharma del Buddha; questo non può essere valutato nei termini di prassi e illuminazione ba­sati su po­teri sovranormali, conoscenza, o karma. È al di là di conoscenza e non-conoscenza. L’Insegnante Nazionale non è natura-di-Buddha, non è non-natura-di-Buddha, né è un corpo universale; il corpo e mente dell’Insegnante Na­zionale non possono essere trovati. Dopo Sōkei,[17] a fianco di Seigen[18] e Nangaku,[19] c’è stato un solo Buddha e Pa­triarca: l’Insegnante Nazionale Daishō. I vene­rabili monaci di cui so­pra, devono chiarire questo stesso punto.

Il Maestro Jōshū affermò che l’Insegnante Nazionale si tro­vava sulla punta del naso di Sanzō e che questi non riuscì a vederlo. Tale interpretazione non co­glie nel segno. Come può Echū esse­re così vicino a Sanzō, quando Sanzō non riesce neppure a ve­dere il suo stesso naso? Se Sanzō fosse in grado di scorgere il proprio naso, al­lora, l’Insegnante Nazionale potrebbe aver visto Sanzō. Ma, anche concedendo che Sanzō abbia visto Echū, si tratterebbe sempre di una semplice conti­guità fisica. Sanzō deve, ancora oggi, vedere e in­con­trare real­mente l’Insegnante Nazionale.

Il Maestro Gensha disse: “Era troppo vicino per ve­dere.” È vero, era troppo vicino, ma ciò non co­glie il punto essenziale. Cosa significa trop­po vicino? Sembra che Gensha non ne avesse né compreso né chiarito il significato; sapeva solo che troppo vicino significa che non vi fu un incon­tro di menti, e viceversa. Si dovrebbe piuttosto dire che è troppo lontano dal Dharma del Buddha. Se la terza domanda è troppo vicina, le prime due sono troppo lontane. Ora chie­diamo a Gensha: “Cos’è esat­ta­mente ‘Troppo vicino’?” È un pugno? È la vi­sione illuminata? D’ora in avanti, faresti meglio a non affermare che qualcosa è troppo vicino per essere visto.”

Il Maestro Gyōzan disse: “Le prime due risposte ave­vano a che fare col mondo oggettivo; Sanzō, non possedendo il samā­dhi di fruizione, non riuscì a vedere l’Insegnante Nazionale.” Gyōzan, tu sei vis­suto in Cina ma, in India, sei considerato un pic­colo Śākyamuni. Eppure, la tua interpretazione è completamente errata. Non c’è differenza tra il mondo oggettivo e il samādhi di fruizione. Non do­vremmo affermare che non possiamo vedere l’uno o l’altro, a causa di qualche differenza che esiste tra loro. Non vi possono essere motivi plausibili per creare distin­zioni tra i due. Se sosteniamo questa tesi allora, trovandoci nel samādhi di fruizione, gli altri non po­trebbero vederci. Ci sa­rebbe allora impossibile sperimentare questo samādhi o realiz­zare prassi e risveglio. Caro Gyōzan, se vera­mente pensi che le prime due volte Sanzō sapesse dove si trovava l’Inse­gnante Nazionale, non puoi essere considerato un vero studente della Via.

Daini Sanzō non sapeva dove l’Insegnante Na­zionale si tro­vasse, non solo la terza volta; anche nelle prime due ri­sposte non lo vide né lo conobbe. Se Gyōzan affermò che Sanzō vide Echū, al­lora neppure lui sapeva dove questi fosse. Chiediamo a Gyōzan: “Dov’è ora l’Insegnante Nazio­nale?” e, prima che apra bocca per ri­spondere, appioppiamogli un sonoro “Katsu![20].”

Il Maestro Gensha criticò Sanzō chiedendosi: “Le prime due volte, sapeva dove si trovava l’Insegnante Nazionale?” Avrebbe dovuto riflettere meglio sulle sue parole che sembrano buone, ma che in realtà vogliono dire che egli vide qualcosa che non vide. Gensha non colse il punto. A questo proposito Myokaku[21] Juken ebbe a dire: “Sanzō fallì.” Quest’affermazione è esatta solo nel caso in cui le pa­role di Gensha fossero corrette; altrimenti non si può dire una cosa si­mile.

Il Maestro Kai-e[22] Shutan disse a questo riguardo: “Per­ché Sanzō non riuscì a vedere l’Insegnante Nazio­nale, malgrado questi fosse sulla punta del suo stesso naso? Perché non sapeva che l’Inse­gnante Nazionale era già nel suo occhio.” Anche questo commento ri­guarda solo la terza domanda, mentre bisognerebbe criticare anche le pri­me due risposte. Come può l’Insegnante Nazionale sapere di essere sulla punta del naso di Sanzō o nel suo occhio? Se è così, dob­biamo concludere che Kai-e non comprese le parole di Echū. Sanzō era privo sia di naso sia di occhi.[23] E se pure Sanzō cercasse di conservare naso e occhi, essi verreb­bero distrutti nel momento in cui l’Insegnante Na­zionale vi pe­netrasse; se questi sono distrutti, egli non può dimorarvi.

I cinque venerabili monaci, sopra citati, non conoscono nulla dell’Insegnante Nazionale. È un antico Buddha per tutte le generazioni, ed è un Tathāgata[24] per il mondo intero; egli il­luminò e tra­smise l’Occhio e il Tesoro della vera Legge del Buddha e preservò l’Occhio dell’Illuminazione. Il Maestro Echū trasmise il Buddha per se stesso e per gli altri. Pur es­sendo vissuto nel ciclo storico di Śākyamuni, aveva anche studiato sotto i Buddha delle ere pas­sate. Fondamentalmente, egli conseguì la Via prima del Kūō Buddha.[25] Benché la casa di Echū sia originariamente in questo mondo, non sempre questo mondo è il mondo ordinario, né es­so è de­finito dalle dieci direzioni dell’intero Universo. Il Buddha Śākyamuni è Mae­stro di questo mondo, ma l’Insegnante Na­zionale conserva ancora qui la sua casa e nulla può osta­colarlo. Per esempio, tutti i Buddha e i Patriarchi che precedettero e se­guirono Śākyamuni, con­seguirono la Via senza osta­co­larsi l’un l’altro.

È ormai appurato che Sanzō non conobbe l’Insegnan­te Na­zionale; ciò dimostra, anche, che gli śrāvaka, i pratyeka­buddha e i seguaci dell’Hīnayāna non sono in grado di com­prendere neppure l’aspetto più superficiale dei Buddha e dei Patriarchi. Te­nete a mente questo. Dobbiamo capire chiaramente perché Echū abbia rim­prove­rato Sanzō. Se le prime due volte egli aveva azzeccato la risposta, perché mai l’Insegnante Nazionale avrebbe dovuto re­darguirlo per via solo della terza? Questo è molto strano.

Comprendere due terzi di un problema è suf­ficiente, dunque, Sanzō non avrebbe dovuto essere rimproverato. Il rim­provero mosso da Echū è diverso da quello che si riceve quando non si è capito nul­la del tutto; pensare questo, da parte di Sanzō, è un insulto all’Insegnante Nazionale. Se Echū avesse re­darguito Sanzō solo perché non rispose alla terza domanda, nessuno avrebbe alcuna fiducia nell’Insegnante Nazionale. Piuttosto, se Sanzō avesse saputo rispondere alle prime due domande, la forza delle sue risposte dovrebbe indurci a rimpro­verare Echū. L’essenza del rimprovero mosso a Sanzō sta nel fatto che in realtà, dalla prima all’ultima domanda, egli non sapeva dove si trovasse il corpo e mente dell’Insegnante Nazionale. Egli fu redarguito per non avere mai studiato né rettamente compreso, il Dharma del Buddha. Perciò l’Insegnante Nazio­nale ripeté per tre volte la stessa domanda.

Sanzō rispose: “Perché ti trovi a Seisen a guardare le gare di barche?” L’Insegnante Nazio­nale non disse “Sanzō tu sai dove mi trovo!” ma si limitò a ripetere la domanda. A partire dall’epoca del Maestro Echū, per secoli, molti nostri predecessori hanno formulato le loro egocentriche opinioni su questo e­pisodio, senza chiarirne esatta­mente il principio. Tutto ciò che essi hanno detto va contro le inten­zioni dell’Insegnante Nazionale e non si confà all’essenza del Dharma del Buddha. È un peccato che tali nostri predecessori abbiano com­piuto un simile errore. Se nel Dharma del Buddha esiste la capacità di leggere la mente altrui, deve anche esistere una corri­spondente capa­cità di leggere gli altrui cor­pi, pugni, teste e oc­chi. Ma se è così, al­lora, deve esistere per ciascuno anche la ca­pacità di leggere la propria stessa mente e corpo. Realizzando una simile com­prensione possiamo liberamente leggere le menti altrui. Poniamoci questa domanda: “Cos’è meglio, la capacità di leggere l’altrui mente o la capacità di leggere la propria?” Rispondete in fretta, in fretta! Eppure ciò richiede un po’ di tempo.

La capacità di leggere la mente degli altri è: “Tu possiedi il mio midollo.”


Trasmesso ai monaci del Daibutsuji, nell’Echizen, il 4 lu­glio 1245.




[1] Il Maestro Nan’yō Echū (?-775), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. Daishō Kokushi è il suo titolo postumo. [Nan-yang Hui-chung]

[2] 761 d.C.

[3] Lett. “Dare l’insegnamento in base alla qualità.”

[4] Daini significa “Grandi orecchie”.

[5] Il Maestro Jōshū Jūshin (778-897), uno dei successori del Maestro Nansen Fugan. [Chao-chou Ts’ung-shen]

[6] Il Maestro Gensha Shibi (835-907), un successore del Maestro Seppō Gison. Noto anche come Sōitsu Daishi. [Hsüan-sha Shih-pei]

[7] Il Maestro Kyōzan Ejaku (833-887), successore del Maestro Isan Reiyū. [Yang-shan Hui-chi]

[8] Jijiyū samādhi. Si tratta della la fruizione del proprio risveglio, nella condizione di equilibrio naturale. Si veda il cap. 88, Bendōwa.

[9] Il Maestro Hakuun Shutan (1025-1072), nella linea di trasmissione del Maestro Rinzai. [Pai-yün Shou-tuan]

[10] Il Maestro Setchō Jūken (980-1052), nella linea di trasmissione del Maestro Unmon Bun’en. [Hsüeh-tou Chung-hsien]

[11] Un Bodhisattva, prima di divenire un Buddha, deve attraversare cinquantadue stadi o condizioni. Il primo gruppo di dieci sono i dieci stadi della fede. I successivi tre gruppi da dieci sono i tre abili stadi. Il quinto gruppo di dieci sono le dieci sacre condizioni. Il cinquantunesimo stadio è “L’equilibrata condizione della verità”, ed il cinquantaduesimo stadio è “La sottile condizione della verità”.

[12] Il pratyekabuddha o “Buddha solitario”, è il veicolo che si basa sulla teoria dell’originazione interdipendente (i dodici anelli della catena di causa ed effetto). Gli altri due veicoli sono: il veicolo dello śrāvaka o “Uditore”, che si basa sulla teoria dei quattro stadi, ed il veicolo del bodhisattva o “Essere di verità”, basato sulle sei pāramitā (le sei perfezioni, o perfezionamenti).

[13] Tripitaka: i tre canestri dell’Insegnamento del Buddha. Sono suddivisi in Sūtra (i discorsi), Vinaya (i precetti), e Abhidharma (i commentari).

[14] La natura-di-Buddha è la ‘Natura propria’, o ‘Vera natura’, o ‘Volto originario’ (comunque si voglia chiamare) di ogni essere, anche se questi  lo ignora.

[15] Poteri sovranormali, per esempio: camminare senza toccare terra, leg­gere la mente degli altri, vedere tutto, venire senza esse­re chiamati, passare attraverso le monta­gne, e così via.

[16] Si tratta di un uccello indiano, che si riteneva vivesse nell’Himālaya, dotato di un irresistibile canto melodioso.

[17] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]

[18] Il Maestro Seigen Gyōshi (?-740), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. Egli fu il settimo Patriarca in Cina. [Ch’ing-yüan Hsing-ssu]

[19] Il Maestro Nangaku Ejō (677-744), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. [Nan-yüeh Huai-jang]

[20] Un grido tipico del Maestro Rinzai, per risvegliare i suoi allievi alla realtà.

[21] Il Maestro Secchō Jūken (980-1052). [Hsüeh-tou Chung-hsien]

[22] Il Maestro Hakuun Shutan (1025-1072), nella linea di trasmissione del Maestro Rinzai. [Pai-yün Shou-tuan]

[23] Cioè, privo sia dell’essenza del Dharma sia della visione illuminata.

[24] Lett. “Così arrivato”.

[25] Buddha Re dalla Voce Maestosa. È il primo Buddha ad apparire nel kalpa della vacuità ed è quindi il Buddha preesistente alla formazione di tutti i mondi. Il kalpa della vacuità è l’ultimo dei quattro kalpa che intercorrono tra il fondamento di un mondo e quello del mondo successivo. Questi sono: kalpa della creazione, kalpa dell’esistenza, kalpa della distruzione, e kalpa della vacuità.