Introduzione   |   Indice sinottico   |   Capitoli   |   Ricerca   |   Contatti

(74)

ŌSAKUSENDABA

La Richiesta del Maestro

 

 

Sendaba’ è la resa fonetica del sanscrito ‘saindhava’, parola utiliz­zata per indicare diversi prodotti generici. Tradizionalmente, il si­gnificato multiplo delle parole è utilizzato per esprimere i molteplici aspetti della realtà. In questo capitolo il Maestro Dōgen ci mostra un punto di vista più alto, dove questa ambiguità sparisce, lasciando il posto all’azione non più soggettiva, ma guidata dalla reale intui­zione.

 

Parola e silenzio, glicini e alberi, ca­valli, e asini, acqua e nuvole: tra di essi, lo stes­so rapporto. Su questa base è possibile il seguente rac­conto.

L’Universalmente Venerato disse: “Quando un re ordina ai suoi servi di portare sendaba, quest’unica parola ha quattro signi­ficati: del sale, una coppa, dell’acqua oppure un cavallo. Così, nelle mede­sima parola sono contenute quattro cose. Un servo ac­corto lo sa molto bene. Se il re vuole lavarsi e dice ‘Sendaba’, il servo porta un bacile d’acqua, se vuole mangiare e dice ‘Sendaba’, il servo porta del sale, se vuole bere, dopo mangiato, e dice ‘Sendaba’, viene portata una coppa, se poi vuole uscire e dice ‘Sendaba’, viene portato un cavallo. Così, un servo accorto com­prende i quattro intimi significati del­le pa­role del re.”[1]

Questo ōsakusendaba[2] è quello che il re vuole, e shinbusendaba[3] è esaudire la richie­sta del re. Una tale consuetudine è esistita per molto tempo ed è simile alla trasmissione del kesa del Buddha. Poiché il Buddha Śākyamuni ha affrontato questo tema, tutti i Suoi discendenti do­vrebbero investigarlo. Riflettendo su quest’ar­gomento, vedia-mo che tutti coloro che studiano sotto Śākyamuni si addestrano su sendaba. Tutti coloro che non studiano sotto Śākyamuni devono, per contro, continuare a pellegrinare per conseguire il primo gradino della prassi. Sendaba, fu dap­prima utilizzato tra i Buddha e i Patriarchi, per nume­rose genera­zioni, fu poi adottato dalle famiglie reali.

Il vecchio Buddha Wanshi[4] del monte Tendō, nel Keigenfu, durante la grande dinastia cinese Sung, disse ad un’as­semblea: “Una volta Secchō[5] chiese a Jōshū:[6] ‘Cos’è chiedere sendaba?’ Jō­shū incrociò le mani sul petto e s’inchinò. Secchō disse: ‘È stato chiesto del sale, ma è stato portato un cavallo’.”  Il Maestro Wanshi proseguì: “Secchō era un grande monaco di circa un secolo fa e Jōshū era un vecchio Buddha di centoventi anni. Se la risposta di Jōshū è cor­retta, Secchō sbaglia, e vice­versa. Qual è la ri­sposta migliore?” Wanshi diede questa inter­preta­zione: “Se si commette un errore, questo sarà enorme. Usare solo le parole è come percuotere l’erba per spaventare un ser­pente. Non usare le parole è come fondere monete per farne uscire i dèmoni. Nessuno dei due sceglie un campo incolto per i suoi vaga­bondaggi. Essi sono come Gutei[7] quando alza un dito.”

Il mio defunto Maestro, un vecchio Buddha, disse una volta a proposito di questa storia: “Wanshi è un vecchio Bud­dha.” Tuttavia, il vecchio Buddha Wanshi fu riconosciuto come tale solo dal mio de­funto Maestro. Ai tempi di Wanshi, viveva un altro Maestro Zen chiamato Dai-e[8] del monte Kinzan, che appar­teneva alla linea di discendenza di Nangaku.[9] All’epoca della grande dinastia Sung, la maggioranza dei cinesi considerava Wanshi e Dai-e del tutto simili. Occasionalmente, qualcuno considerò Dai-e superiore a Wanshi. Un simile errore deriva dal fatto che i monaci e i laici della dinastia Sung studiavano con superficialità, non aprivano gli occhi alla Via, e non avevano la capacità di co­noscere gli stati più interiori delle altre per­sone.

La frase di Wanshi dimostra una vera determinazione. Dob­biamo investigare il significato del vecchio Buddha Jōshū che incro­cia le mani sul petto e s’inchina. In quel momento, l’atto di Jōshū fu chiedere sendaba o fu offrire sendaba? Dobbiamo anche inda­gare intorno all’essenza della frase di Secchō “È stato chie­sto del sale, ma è stato portato un cavallo.” Questa affermazione è tanto chiedere sendaba, quanto offrire sendaba. La risposta al sendaba di Śākyamuni fu il sorriso di Mahākāśyapa. In risposta al sendaba del primo Patriarca, i suoi quattro allievi porta­rono un ca­vallo, del sale, dell’acqua, e una coppa.[10] Quando cavallo, sale, acqua e coppa, sono chiedere sendaba, essi diventano anche servire sendaba.[11] Dobbiamo studiare questa con-dizione.

Un giorno, Tō-inpō[12] si recò in visita da Nansen. Questi in­dicò una brocca d’acqua e disse: “Lì c’è una brocca piena d’ac­qua. Senza muoverla, porta l’acqua a questo vecchio monaco.” Tō-inpō prese la brocca e versò l’acqua sulla testa di Nansen. Que­sti non disse nulla. Possiamo constatare che Nansen chiese dell’acqua, l’acqua di un oceano che si è completamente prosciugato, e Tō-inpō portò una coppa, completamente riempita e svuotata. An­che se questo è ciò che accade, tuttavia, dobbiamo ancora inda­gare su “C’è acqua nella brocca”[13] e su “Una brocca nell’acqua.”[14] Né l’acqua né la brocca si sono mosse.

Una volta, un monaco chiese al Grande Maestro Kyōgen Shuto:[15] “Che cos’è chiedere sendaba?” Kyōgen disse: “Vai là!” Il monaco se ne andò. Kyōgen osservò: “Quel mo­naco mi sta prendendo in giro.”

Chiediamoci: il “Vai là!” di Kyōgen è chiedere sendaba, o è servire sendaba? Rispondete per favore! “Il monaco se ne andò” è chiedere sendaba, servire sendaba, o è una semplice afferma­zione a sé stante, indipendente dall’iniziale domanda e dalla risposta? Tuttavia, che lo sia o meno, non dovremmo dire “Mi sta prendendo in giro.”

Benché questa frase sia fondata sul potere dell’intera vita di Kyōgen, è come un generale che ha perso la guerra ma mantiene la sua fierezza nel­la sconfitta. Spesso i Buddha e i Pa­triarchi dicono nero per significare giallo, cercando così di rive­lare la visione illumi­nata. Questa condizione è, in modo naturale, il diligente e meticoloso chiedere e servire sendaba. Chi può dire che sollevare un bastone, o uno scac­ciamo­sche, non sia un tipo di sendaba? Nondimeno, vi sono per­sone che incollano il ponticello alla cassa del koto, o che ne ten­dono troppo le corde.[16]

Un giorno, l’Universalmente Venerato sedette sulla piattaforma da cui impartiva l’insegnamento, senza proferire parola. Mañ-juśrī suonò il gong che annun­ciava il termine del di­scorso e disse: “In questo modo è spiegata chiaramente la Legge del Re del Dharma.” Allora il Buddha Śākyamuni lasciò la piattaforma.

Il Maestro Zen Myōkaku,[17] del monte Secchō, commentò così questo episodio: “Di tutti i presenti in quell’as­semblea, solo i più saggi sapienti percepi­rono correttamente la Legge del Re del Dharma. Non­dimeno, se qualcuno in quel consesso conosceva sendaba, per­ché Mañjuśrī dovette suonare il gong?”

Secchō intendeva dire che se un solo colpo di gong è del tutto sufficiente, suonarlo o non suo­narlo è totale non-attacca­mento, comunque. Se è così, un singolo colpo di gong è sendaba. Dunque, Mañjuśrī è colui che comprende sendaba, e tutti i saggi presenti nella assemblea sono suoi ospiti. Essi capi­scono che “Questa è la Legge del Re del Dhar­ma.” Le dodici ore del giorno liberamente utiliz­zano, e sono utilizzate, dal chiedere sendaba. La richiesta di un pugno ottiene un pugno, e la richiesta di uno scacciamosche ottiene uno scacciamosche.

Ai giorni nostri, tuttavia, nella Cina della dina­stia Sung gli anziani non possono neppure sognarsi di sendaba. È veramente un peccato; la Via dei Pa­triarchi è scomparsa. Non cercate di evitare le difficoltà dello studio; dovete trasmettere la linfa vitale dei Bud­dha e dei Patriarchi. Ad esem­pio, se chiediamo: “Cos’è il Buddha?” la risposta è: “La nostra mente è Buddha.” Qual è l’essenza di tutto ciò? È sendaba, no? Dobbiamo investigare più in dettaglio le parole “La nostra mente è Buddha.” Eppure, quanti veramente conoscono il signifi­cato di sendaba?


Trasmesso, il 22 ottobre 1245, ad un’assemblea di monaci del Daibutsuji, nel-l’Echizen.




[1] Dal Mahāparinirvāna Sūtra.

[2] Lett. “Il re chiede sendaba

[3] Lett. “Offrire sendaba

[4] Il Maestro Wanshi Shōgaku (1091-1157), nella linea di trasmissione del Maestro Tōzan Ryōkai [Hung-chih Cheng-chüeh]

[5] Il Maestro Kyōgen Chikan (?-898), nella linea di trasmissione del Maestro Isan Reiyū. [Hsiang-yen Chih-hsien]

[6] Il Maestro Jōshū Jūshin (778-897), uno dei successori del Maestro Nansen Fugan. [Chao-chou Ts’ung-shen]

[7] Il Maestro Kinka Gutei (?), nella linea di trasmissione del Maestro Baso Dōitsu. [Chin-hua Chü-chih]

[8] Il Maestro Daie Sōkō (1089-1163), nella linea di trasmissione del Maestro Engo Kokugon. Egli era uno dei principali sostenitori del Kōan-zen (basato sulla considerazione intenzionale di domande e risposte), contrapposto al Mokusho-zen (Zazen silenzioso, riflessivo), sostenuto dal contemporaneo Maestro Wanshi Shōkaku. [Ta-hui Tsung-kao]

[9] Il Maestro Nangaku Ejō (677-744), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. [Nan-yüeh Huai-jang]

[10] Ovvero, diedero quattro risposte diverse. Si riferisce alla trasmissione da parte del Maestro Bodhidharma ai suoi quattro discepoli. Si veda il cap. 38, Kattō.

[11] Cioè la condizione in cui la funzione oggettiva e soggettiva sono unificate nell’azione.

[12] Il Maestro Godai Tō Inpō (?), un successore del Maestro Baso Dōitsu (704-788). [Wu-t’ai Teng Yin-feng]

[13] Nella realtà delle circostanze vi è l’acqua.

[14] Nella realtà dell’acqua vi sono le circostanze.

[15] Il Maestro Kyōgen Chikan (?-898), nella linea di trasmissione del Maestro Isan Reiyū. [Hsiang-yen Chih-hsien]

[16] Vale a dire che gli stupidi non possono comprendere sendaba.

[17] Il Maestro Setchō Jūken (980-1052), nella linea di trasmissione del Maestro Unmon Bun’en. Myōkaku Zenji è il suo nome postumo. [Hsüeh-tou Chung-hsien]