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ANGO

Il Periodo di Addestramento

 

 

In India, i circa tre mesi della stagione monsonica erano utilizzati per l’addestramento intensivo allo zazen. Questo capitolo è interamente dedicato dapprima all’elogio di questa tradizione che lo stesso Mae­stro Dōgen aveva sperimentato in Cina, e poi ad una precisa descri­zione delle regole e dei tanti aspetti formali relativi ad alcuni momenti del grande ritiro estivo di novanta giorni.

 

Una volta, durante il periodo di addestra­mento estivo, il mio defunto Maestro Tendō, un vec­chio Buddha, disse: “In questo momento voi monaci state sviluppando la struttura della vera e corretta prassi, e state scavando una caverna nella vacuità univer­sale. Completate que­sti due aspetti e otterrete un secchio di lacca nera.” Dunque, se facciamo l’esperienza dell’intima essenza del periodo di addestramento, siamo in gra­do di progredire e tutte le no­stre azioni quali prendere cibo, spostare i piedi, e dormire, diverranno per tutta la nostra vita aspetti dell’ad­de­stramento. Comprendendo ciò saremo scrupo­losi e non ci rilasseremo neppure per un istante. Agire in tale modo è il riti­ro di novanta giorni. Questo è il punto chiave e il volto origina­rio dei Buddha e dei Patriarchi; qui tocchiamo la loro pel­le, carne, ossa e midollo.

I giorni e i mesi che compongono un ritiro e­stivo di no­vanta giorni recano in sé la visione illuminata e l’essenza dei Bud­dha e dei Patriarchi. Co­loro che partecipano anche ad una sola ses­sione del ri­tiro estivo sono riconosciuti come Bud­dha e Patriarchi. Sia l’inizio, sia alla fine del ri­tiro sono Buddha e Patriarchi. Nulla esiste al di fuori di questo, né grande, né pic­colo. Il periodo di addestramento estivo non è né nuovo né vec­chio, né viene né va in alcun luogo. Il suo va­lore è quello di un pugno e la sua forma è torcere il naso.[1] Quando ini­ziamo un ritiro estivo, l’intero Universo è pervaso da questo ritiro e nient’altro, e quando lo terminiamo, la grande terra è stata capo­volta. Dunque, quando il periodo di ad­destramento e­stivo inizia, si manife­sta la realizzazione del risveglio e quando è finito tutti gli ostacoli sono ri­mossi; è lo stesso dall’inizio alla fine. Eppure, vi sono persone a cui questa prassi è familiare e che sviluppano un attaccamento per l’inizio e per la fine del periodo di addestra­mento. Ricordate che non si trovano erbacce, fin dall’origine. Non limitatevi ad un ritiro estivo di novanta giorni.

Il Sacerdote Shishin Ōryū[2] disse: “Il mio pellegrinare per trent’anni assomiglia ad un peri­odo di addestramento di no­vanta giorni, giorno più, giorno meno.” Questo è per dire che la compren­sione intui­tiva conseguita dopo trent’anni di prassi può es­sere conden­sata in un ritiro estivo di novanta giorni. E anche se aggiungiamo o togliamo un gior­no, novanta giorni sono suffi­cienti e completi. Non cercate di evitare questi novanta giorni; concen­tratevi semplicemente su questi novanta giorni come novanta giorni. I novanta giorni di un periodo di addestramento esti­vo sono lo strumento della prassi. Esso è nato ben prima dei Buddha e dei Patriarchi, e da questi è stato corret­tamente trasmesso fino ad oggi.

Perciò partecipare ad un ritiro estivo è incontrare e vedere tutti i Buddha e i Patriarchi. La quantità di tempo in un singolo ritiro estivo è immensa, maggiore di uno, dieci o perfino cento kalpa[3] illi­mi­tati. Il tempo opera all’interno del tempo illi­mi­tato. Anche il ritiro estivo di novanta giorni opera all’interno del tempo illimitato. Perciò, chi si addestra in questo periodo e vede il Buddha, sicuramente va al di là del tempo illimitato. Per questo dobbiamo sapere che un periodo di addestra­mento di novanta giorni è l’assoluta vi­sione illuminata e nien­te altro, e tale è esatta­mente il corpo e mente di colui che così si ad­destra. Dob­biamo sia utilizzare sia trascendere la vitalità e li­bertà proprie del ri­tiro estivo. Esso non soprav­viene, né si svolge in qualche altro luogo, o mo­mento. Se ne cercate la ragione o il fondamento, non troverete altro che novanta giorni. La gente comune e i saggi vivono al suo in­terno; è la ra­dice della loro vita. Eppure esso va ben al di là dei condi­zionamenti mondani cui sottostanno sia i saggi sia la gente comune e non può essere pene­trato né mediante il pensiero ordinario, né col non-pensiero, né è limitato alla condizione al di là di pensiero e non-pensiero.

L’Universalmente Venerato, nel proclamare il Dharma per tutti gli esseri senzienti, nel Magadha,[4] decise di istituire il ritiro estivo e così disse ad Ānanda: “Io proclamo ininterrottamente il Dharma per gli uomini, per gli dèi, per gli allievi più stretti e per tutti gli esseri senzienti, ma essi non lo tengono nella dovuta considerazione. Isti­tuirò così la prassi del trascorrere i novanta giorni estivi meditando nella propria stanza. E se qualcuno vuole porre una domanda sul Dharma, si risponda al posto mio dicendo: ‘Tutte le cose non sono né prodotte, né distrutte’.” Detto questo, rientrò nella stanza e sedette in zazen.

Da allora sono trascorsi 2194 anni.[5] Tutti quei discendenti del Buddha che non han­no approfondito l’intima essenza di questo ultimo episodio, ritengono che il periodo di addestramento nella pro­pria stanza sia un “Procla­mare senza parole.” Anche oggi spesso que­sto tema viene frainteso e si pensa che il Bud­dha abbia istituito un periodo di addestramento speciale per evi­denziare l’inadeguatezza delle parole nello spiegare il Dharma. In altri termini, le parole non sarebbero altro che mezzi abili. Si sostiene, anche, che la verità ul­tima non possa essere esposta a parole e che essa si manife­sti solo quando sia cessato il lavorìo della mente. Per questo, “Nessuna pa­rola, nessun pen­siero” è la via verso la verità ultima. Parole e pen­siero sono fuorvianti. Si dovrebbe perciò trascorrere il periodo di addestra­mento estivo completamente sepa­rati dagli altri.

Tale interpre­tazione non coglie affatto il vero in­tento del Buddha Śākyamuni. Vale a dire, se “Le parole non possono de­scrivere la verità”, e la verità stessa “Si manife­sta solo quando la mente è stata arre­stata”, allora anche le attività sociali ed economiche non possono essere spiegate a parole e appaiono solo dopo che la mente ha interrotto il suo lavorio. In re­altà, “Al di là delle parole” in­clude in sé tutte le parole, e “La mente cessa il suo lavorio” com­prende ogni lavorio della mente. Inoltre, questo episodio che ha come prota­gonista il Buddha, non accenna minimamente ad una qualche proclamazione senza parole. Śākyamuni entrò nell’acqua sporca[6] e con il suo intero corpo proclamò la Legge, più e più volte, a tutti. Il suo unico in­tento era di far girare la ruota della Leg­ge. Vorrei ora chiedere a questi discendenti che sostengono che il ritiro estivo di no­vanta giorni sia una proclamazione senza parole: “Fatemi vede­re, per favore, questo ritiro estivo.”

Il Buddha Śākyamuni disse ad Ānanda: “Rispondete al mio po­sto dicendo: ‘Tutte le cose non sono né pro­dotte, né distrutte’.” L’intenzione del Buddha non deve essere presa alla leggera. Per­ché si sostiene che il periodo di addestramento estivo è una pro­clamazione senza parole? Mettiamoci per un momento nei panni di Ānanda, e chiediamoci quale sia l’essenza di “Tutte le cose non sono né pro­dotte, né distrutte”, e come dovremmo spiegarlo. È questo il modo in cui dovremmo ascoltare le parole di Śākyamuni. Qui, l’interesse del Buddha è incentrato sulla verità ultima e assoluta del far girare la ruota della Legge, più che sulla proclamazione senza parole. Consi­derare questo suo scopo come una proclamazione senza parole sa­rebbe una cosa meschina e inutile, equivalente alla spada lunga tre piedi di Ryūsen,[7] o a un’antica e costosa scul­tura. Per questo, dunque, il ritiro estivo di no­vanta giorni è l’eterno girare e proclamare la Legge degli antichi Buddha e Patriarchi.

Decise allora di istituire il ritiro esti­vo.” Non possiamo evitare questi novanta giorni di addestramento estivo; chi lo fa è un profano. Il Buddha Śākyamuni trascorreva il suo ritiro estivo di no­vanta giorni nel paradiso delle trentatré divinità, o in un po­sto tran­quillo sul Picco dell’Avvoltoio, con cin­quecento monaci. In qualun­que delle cinque re­gioni dell’India si trovasse, Egli sempre osservò il ritiro di novanta giorni nel pe­riodo prescritto. Anche i Bud­dha e i Patriarchi dei giorni nostri, vi si appli­cano considerandolo il loro compito più impor­tante. Questa è la suprema Via della prassi e illuminazione. Il Brama Jāla Sūtra[8] cita un periodo di addestramento invernale che, in re­altà, non è mai stato istituito. Soltanto que­sto ritiro estivo di novanta giorni è stato tramandato, e questo è stato corret­tamente trasmesso fino al cinquantunesimo Pa­triarca.

Nello Shingi,[9] è scritto: “I monaci erranti che inten­dano parte­cipare ad un ritiro estivo devono fer­marsi nel monastero pre­scelto una quindicina di giorni prima dell’inizio del periodo di addestra­mento. È molto im­portante che i responsabili del mona­stero valu­tino il comporta­mento del postulante nel momento in cui gli offrono il tè e lo autorizzano a fermarsi durante la notte.”

Una quindicina di giorni prima” significa alla fine di marzo; bisogna dunque entrare nel mo­nastero nel corso di que­sto mese. Dopo il 1° di aprile i monaci non possono più uscire e i can­celli sono chiusi per chiunque chieda di entrare. Entro tale data tutti i monaci dovrebbero aver scelto un mona­stero per l’addestramento. Avviene, talvolta, che un monaco trascorra il periodo di addestra­mento nella casa di un laico; questo è stato fatto dai Buddha e dai Pa­triarchi ed è perciò ammissibile che se ne segua l’esempio. Quindi, i monaci diligenti saranno capaci di scegliere un monastero adatto, o un altro luogo, per il loro ad­destramento. Certe persone affermano in mala fede: “Il punto di vi­sta Mahāyāna è l’essenza del Dharma del Buddha e il ritiro estivo è sol­o una prassi e usanza degli śrāvaka.[10] Perciò non è neces­sario parteci­parvi.” Coloro che la pensano così non hanno mai visto, né udito il Dharma del Buddha. La suprema e perfetta illuminazione non è altro che il ritiro estivo di novanta giorni, e le fi­nalità ultime tanto del Mahāyāna che dell’Hīnayāna, non sono altro che i rami, le foglie, i fiori e i frutti del ritiro di novanta giorni.

La sessione di addestramento ha inizio dopo il pasto mattu­tino del 3 aprile. Il monaco incari­cato di dirigere il ritiro deve prepa­rare, entro il 1° aprile, una tabella contenente il nome e il rango di tutti i monaci. Terminato il pasto mattutino del 3 aprile, la tabella viene af­fissa nell’alloggiamento dei monaci, a sinistra della finestra, sul lato opposto dell’ingresso. Tutte le fi­nestre devono essere munite di grate. La ta­bella rimane esposta da quel momento fino al 5 aprile, giorno in cui viene tolta, dopo il rintocco della campana hossu.[11] La ta­bella deve rimane­re appesa dal 3 al 5 aprile, ed essere appesa e tolta nel medesi­mo momento della giornata. I nomi sono scritti sulla tabella se­condo un ordine particolare. La loro posizione non di­pende dall’eventuale carica di Chiji o di Chosu, [12] ma dipende solo dall’anzianità di ordinazione dei monaci. Se un monaco ha fatto una certa esperienza in qualità di Chiji o di Chosu, bisognerebbe scriverne la qualifica dopo il nome; ciò vale anche per il titolo di Seidō, che spetta a chi sia stato sacerdote respon­sabile di qualche tempio. Tuttavia, se questo tempio è molto piccolo e non è conosciuto dagli altri monaci, è d’uso non trascrivere Seidō dopo il nome. Inoltre, il nome di coloro che si stanno addestrando sotto il proprio maestro, non dovrebbe essere seguito da alcun titolo, anche se qualcuno è stato Seidō in un altro luogo. Talvolta, al nome di alcuni monaci segue il titolo di Jōza.[13]

I monaci responsabili del vestiario e dell’incenso do­vreb­bero assistere il maestro; que­sta è un’usanza antica e conso­lidata. Tut­ti gli altri monaci che hanno qualche respon­sabi­lità devono, inoltre, seguire sempre le istruzioni del maestro. Allievi di altri maestri, o monaci in pos­sesso di qualche esperienza amministrativa, che giun­gono al monastero per unirsi alla ses­sione di addestramento, dovreb­bero essere destinati a qual­che incarico; questa è la prassi corretta. Non è di certo opportuno sottolineare di aver esercitato le funzioni di sa­cerdote in un pic­colo tempio; ciò per non attirarsi la derisione degli altri monaci. Un buon monaco non ne farà cenno.

Le tabelle che ebbi modo di vedere in Cina erano siffat­te:

 

Paese ... Provincia di ... monte ... Tempio di ...

I preparativi per il ritiro estivo di quest’anno sono stati ulti­mati. La lista dei monaci è la seguente:

 

Il Venerabile Ājñatā-Kaundinya[14]

L’Abate ...

 

Monaci che hanno preso i precetti nell’estate dell’anno ...

                        ...jōza                                    ...zōsu

                        ...jōza                                    ...jōza

 

Monaci che hanno preso i precetti nell’inverno dell’anno ...

                        ...seidō                                  ...ino

                        ...shuso                                 ...shika

                        ...jōza                                    ...yusu

 

Monaci che hanno preso i precetti nell’estate dell’anno ...

                        ...shussui                               ...jisha

                        ...shuso                                 ...shuso

                        ...keishu                                ...jōza

                        ...tenzo                                  ...dōshu

 

Monaci che hanno preso i precetti nell’estate dell’anno ...

                        ... shoki                                 ...jōza

                        ... sei­dō                                 ...shuso

                        ... jōza                                   ...jōza

 

Questa tabella è stata scritta con cura e rispetto; se contiene qualche errore, per favore informatemi.

 

3 aprile dell’anno ...

Scritto dal monaco ...

 

Questa tabella dovrebbe essere scritta su carta bianca, in stampatello, non in caratteri cor­sivi o in stile irregolare. La corda usata per ap­penderla è spessa circa come due chicchi di riso; la ta­bella, corredata di questa corda, potrà essere appesa come una tendina di paglia. Dopo il rintocco della campana che annuncia la conclusione delle cerimonie di apertura, il 5 di apri­le, la tabella deve essere tolta e ritirata.

Il giorno della nascita del Buddha, l’8 di aprile[15] è ricor­dato con una cerimonia. Il 13 di aprile, dopo il pasto di mezzogiorno, tutti i mo­naci ritornano nei loro alloggi e viene servito un piccolo des­sert. Si cantano poi cantati alcuni sūtra per l’acqui­sizione di meriti. I monaci assistenti devono approntare l’incenso e l’ac­qua calda. Le loro stanze dovreb­bero essere ubicate nella parte centrale del mona­stero, mentre l’alloggio dell’istruttore anziano si troverà a destra della statua di Mañjuśrī. L’incenso deve essere preparato soltanto dai monaci assistenti e non dai responsabili di altri servizi. Il responsabile degli affari generali dovrebbe pre­pa­rare in anticipo il cartello che an­nuncia il ri­tiro e appenderlo sulla metà superiore del muro orientale, cioè di fronte all’in­gresso del mona­stero che sta sul lato occidentale, dopo il pasto mattutino del 15 di aprile.

È scritto nello Zenen Shingi: “Il responsabile degli af­fari generali deve preparare, per tempo, il cartello di avviso e or­narlo con fiori e incenso. Il 14 di aprile, dopo il pasto di mez­zogiorno, davanti ad ogni edificio del monastero deve essere ap­pesa una tabella conte­nente i nomi dei dieci Buddha. La sera stessa, davanti a questa tabella, nel Dōjidō,[16] i responsabili del mona­stero dovrebbero offrire fiori e incenso. Tutti i monaci devono lì riu­ni­rsi per salmodiare i nomi dei dieci Buddha,[17] se­condo la modalità che segue. Dopo che i monaci si sono radunati, il sacerdote an­ziano offre dell’incenso. Quindi i diversi responsabili e ad­detti recano le loro offerte, come si usa fare nella ce­rimonia che ricorda la nascita del Buddha. In se­guito, il responsabile degli affari gene­rali si alza dal seggio, va davanti all’edificio, si in­china al sacer­dote anziano ed entra nel Dōjidō. Egli poi, rivolto verso nord, salmodia i seguenti versi:

 

Impercettibile, il vento d’autunno soffia dolce­mente sui campi, e il Dio del Fuoco[18] do­mina tutte le direzioni. Il Re del Dharma non può andarsene. Questo è il giorno natale di Śākyamuni. Tutti i monaci si sono radunati qui e venerano gli spiriti degli dèi cantando i nomi dei Buddha che possiedono merito incommensurabile. Che il potere degli dèi che proteg­gono questo monastero e tutti i suoi edifici si trasferisca in noi. Chiediamo pro­tezione per tutta la durata di questo ritiro e che esso giunga serenamente a conclusione. Salmodiamo insieme i nomi dei Buddha, con rispetto e venera­zione:


Il puro, incontaminato corpo-di-Dharma,  Buddha Vairoca­na.[19]

Il perfetto, integro corpo-di-beatitudine, Buddha Vairoca­na.

L’illimitato corpo-di-trasformazione, Buddha Śākyamuni.

Colui che verrà, Buddha Maitreya.

Tutti i Buddha delle dieci direzioni e dei tre mondi.

Il grande Venerabile Bodhisattva Mañjuśrī.

Il grande Venerabile Bodhisattva Samantabhadra.

Il Compassionevole Bodhisattva Avālokiteśvara.

Tutti i Venerabili Bodhisattva e Mahāsat­tva.

La Mahā-prajñā-parāmitā.[20]


La virtù acquisita col salmodiare i nomi dei dieci Bud­dha protegge la vera Legge ed elargisce il trasferimento di meriti degli dèi del­la terra. Noi li imploriamo di voler spartire con noi il loro potere spirituale e di concedere che le nostre azioni rechino frutto, che la no­stra gioia sia pura, che la nostra beatitu­dine eterna e disinte­ressata. Recitiamo di nuovo:


Sia lode a tutti i Buddha delle dieci direzioni e dei tre mondi, a tutti i Venerabili Bodhisattva e Mahāsattva, nonché alla grande Perfezione di Saggezza.”

 

Viene poi suonato il grande tamburo, e i monaci tornano a sedere nella sala, mentre si offre del tè al Bud­dha. La preparazione e lo svolgi­mento di questa funzione sono responsabilità del segretario generale. I monaci devono entrare nella sala compiendo un giro at­torno ad essa, in fila uno dietro all’altro, per poi prendere posto rivolti al centro. Questa parte della funzione è condotta da uno dei Chiji; questi si occuperà anche dell’incenso. È scritto nello Shingi: “Di norma le funzioni do­vrebbero essere officiate dal direttore del mona­stero, tuttavia il segretario generale lo può fare, al suo posto, qualora necessa­rio.”

Nello stesso giorno si svolge un’altra cerimonia per la quale viene predisposto e portato al discepolo principale uno speciale av­viso. Il responsabile che porta tale avviso al discepolo principale, deve indossare un kesa e recare con sé uno zagu.[21] Prima che venga consegnato l’avviso, egli esegue una serie di pro­strazioni sokurei e ryoten,[22] che ver­ranno ricambiate dal discepolo principale, nello stesso numero. Questi poi prende l’avviso e lo pone in una cassetta con un panno sul fondo. L’assistente del discepolo principale prende quindi in consegna la cassetta, e il responsabile è conge­dato. Il testo dell’avviso deve essere redatto in questo stile: “Que­sta sera il segretario generale terrà una cerimonia del tè nel monastero. Il disce­polo principale risponderà alle domande che i mo­naci vor­ranno porgerli, per dimostrare la sua capa­cità di succe­dere al maestro. Che la luce della compassione risplenda su tutti noi. Scritto il 14 aprile dell’anno... dal segretario generale, mo­naco ... ”

Il monaco responsabile apporrà su di esso le proprie iniziali. L’avviso, dopo essere stato mo­strato al discepolo princi­pale, deve es­sere affisso sulla facciata del monastero, sulla de­stra, da uno degli as­sistenti. Sul lato meridionale del cancello esterno c’è un’altra tavola per le comunicazioni; questa tavola dovrebbe essere dipinta. Lì vicino si trova una cassetta laccata[23] per contenere i documenti, appesa con un chiodo di bambù. I caratteri scritti sull’avviso non de­vono superare l’altezza di cinque bun.[24] Sul fronte della cassetta laccata deve esserci scritto: “Invito a tutti i monaci da parte del discepolo principale.” A questa scritta segue il sigillo del monaco. Quando la cerimo­nia del tè è conclu­sa, l’annuncio deve essere tolto.

Prima del pasto mattutino del 15 aprile, tutti i respon­sabili, gli addetti, i monaci anziani ed il discepolo principale, de­vono salutare l’Abate. Questi, se è molto indaffarato può ignora­re la prescrizione di preparare una lezione formale e di compor­re un gāthā.[25] In questo caso, la sera pre­cedente egli farà apporre degli avvisi all’in­gresso del suo alloggio, su entrambi i lati, non­ché sulla facciata del monastero.

Il giorno quindici, una volta esposto il discorso sul Dharma,  l’Abate scende dalla piattaforma dell’insegnamento e si ferma, in piedi, al centro del tem­pio vicino all’haishiki.[26] Allora tut­ti i responsabili si avvicinano ed effettuanot re prostrazioni ryoten. Nel dispiegare il loro tappe­tino per le prostrazioni, tutti recitano questi versi: “Abbiamo ini­ziato ora il periodo di adde­stramento, durante il quale è proibito uscire. Noi pratichiamo sotto di te come nostro maestro, per via della forza della tua Legge. Ci auguriamo sincera­mente di completare il nostro addestramento senza difficoltà o inconvenienti.”

Seguono quindi un’altra prostrazione ryoten, i saluti per la nuova stagione e infine tre prostrazioni sokurei. Dopo la prostra­zione ryoten, essi ripiegano il tappetino dicendo: “L’estate è comin­ciata, e fa sempre più caldo. Avete un ottimo aspetto, Abate, e ci per­vade una profonda emozione nel pen­sare al signifi­cato di questo ri­tiro.” Eseguono quindi le tre pro­strazioni sokurei e dicono: “È una grande fortuna che tutti noi, insieme, possiamo partecipare a que­sto ritiro. Auguriamoci che tutti i responsabili e gli addetti si aiutino l’un l’altro attraverso il potere del Dharma, e che non incontrino difficoltà alcuna.”

Tutti partecipano a questa cerimonia.

A questo punto, il discepolo principale, i responsabili, gli addetti, i monaci anziani e tutti gli altri monaci si volgono a nord e si prostrano; l’Abate è l’unico rivolto a sud. Il tap­petino per le prostra­zioni dell’Abate viene disteso sull’haiseki da un as­sistente. Il disce­polo principale e gli altri monaci rivolgono quindi tre prostrazioni ryoten all’Abate, mentre i monaci anziani, gli allievi più importanti e i no­vizi stanno allineati, lungo il muro orientale della Sala del Dharma, e non si prostrano. Se sono già presenti dei laici, che siedono su questo lato, i monaci anziani e gli altri stanno in piedi vicino al grande tamburo o presso il muro occidentale.

Quando i monaci hanno terminato le loro prostra­zioni, i re­sponsabili rientrano nelle proprie stan­ze, rimanendo però in piedi; il discepolo princi­pale e gli altri monaci ritornano ai loro posti e com­piono tre prostrazioni sokurei. Contemporanea­mente a ciò, i monaci anziani, gli assistenti e gli allievi più importanti rivolgono tre prostra­zioni ryoten all’Abate, che ricambia le tre pro­strazioni degli allievi. I monaci anziani, gli as­sistenti e gli altri eseguono nove prostrazioni, e i novizi nove o dodici prostrazioni che l’Abate non ricambia, limitandosi a fare gasshō.[27] Il discepolo principale si sposta poi sul lato frontale della sala, vicino ai posti riservati ai re­sponsabili,[28] e si rivolge a sud, proprio di fronte all’assemblea. Tutti i monaci, che sono rivolti a nord, gli indirizzano tre pro­strazioni sokurei. Allora il discepolo principale conduce i mo­naci tutto intorno alla sala, fino ai rispettivi posti.[29] In seguito, i respon­sabili rientrano nella sala e compiono tre prostrazioni daiten davanti all’immagine del Bud­dha Maitreya e tre prostrazioni sokurei davanti al discepolo principale. Tutti i monaci si prostrano di rimando. I responsabili fanno poi il giro della sala e raggiungono i loro posti, mante­nendo la po­sizione shashu.[30] L’Abate entra, offre incenso all’immagine di Mañjuśrī, effettua tre prostrazioni daiten e rimane in piedi, lì dove si trova. In quel momento, i monaci anziani si trovano dietro la statua, in piedi, men­tre gli altri monaci stanno alle loro spalle. Poi l’Abate rivolge tre pro­stra­zioni sokurei al discepolo principale, e tutti i monaci si prostrano dopo di lui.

L’Abate percorre quindi il peri­metro della sala ed esce, mentre il discepolo prin­cipale, recatosi all’ingresso meridionale, lo guar­da allontanarsi. Quando l’Abate è uscito, il discepolo principale e gli altri monaci si scam­biano a vicenda tre prostra­zioni dicendo: “È una grande fortuna per noi condividere lo stesso peri­odo di addestra­mento; forse i nostri tre karma[31] non sono buoni, ma cerchiamo di es­se­re compassionevoli l’uno con l’altro.”

Per queste prostrazioni si utilizza l’apposito tap­petino. Il discepolo principale e i responsabili tornano poi ai ri­spettivi alloggi, mentre gli altri addetti e i monaci eseguono tre prostrazioni sokurei, dicendo le stesse parole. L’Abate, in seguito, ispeziona gli al­loggi dei monaci ed essi lo accompagnano in questo giro finché egli giunge alla propria stanza; ognuno ri­torna quindi nel proprio alloggio. Più in detta­glio, l’Abate visita in primo luogo le stanze dei responsa­bili porgendo loro il suo sa­lu­to; continua quindi l’ispezione seguito da que­sti. Essi procedono fino al corridoio orientale senza visitare l’infermeria, muovendosi da oriente ad occidente, attraverso l’ingresso principale. I monaci che si trovano attorno all’ingresso princi­pale si unisco­no poi alla processione che si muove lungo il cor­ridoio meridio­nale e quindi verso occi­dente. A partire di qui, i diversi monaci che vi­vono nell’Anrō, nel Gonkyū, nell’Idō e nel Tairyō,[32] nonché gli altri responsabili e atten­denti, si uniscono alla proces­sione via via che passa dalle loro stanze. Questa è chiamata “Daishu Shōsō”, la Grande Proces­sione.

L’Abate sale quindi quei gradini che, sul lato occidenta­le, conducono al suo allog­gio e si ferma di fronte alla sua stan­za, rivolto a sud e con le mani incrociate sul petto. I respon­sabili si pongono di fronte a lui, rivolti a nord, mentre gli altri monaci si allineano dietro a loro. Tutti fanno un profondo inchino all’Abate, che ricambia. In se­guito, ognuno ritorna al proprio po­sto. Il mio defunto Maestro non guidava tutti i monaci fino alla propria stanza, ma raggiungeva con gli altri la Sala del Dharma e si fermava, rivolto a sud con le mani incro­ciate sul petto; i mo­naci e­seguivano allora le loro prostrazioni. Questo è lo stile anti­co. Quindi tutti i monaci si inchinavano l’un l’altro.

A volte può capitare che monaci provenienti da uno stesso distretto si incontrino nelle sale o nei corridoi; in tal caso essi dovrebbero non solo inchinarsi l’un l’altro ma anche saluta­re gli al­tri monaci presenti, congratulandosi a vicenda per il fatto di intraprendere il me­desimo ritiro. Si possono usare le forme di saluto già descritte, oppure un’altra di propria scelta. Se un giovane monaco incontra il suo mae­stro, deve effettuare nove prostrazioni; gli allievi anziani del abate e gli altri monaci ese­guono invece tre prostrazioni daiten o ryoten.  Inoltre, quando i monaci si incontrano tra di loro, devono eseguire il prescritto numero di prostrazioni. Prostratevi ogni­qualvolta incontrate i monaci alloggiati vicino a voi, i vecchi e i nuovi amici. Per quanto riguarda coloro che vivono in stanze separate,[33] dobbiamo recarci nel loro alloggio e lì eseguire le prostra­zioni. Se, nel momento in cui vi recate in visita, sono pre­senti troppe persone potete lasciare un mes­saggio, scritto su un foglio di carta bianca largo uno ts’un e lungo due ts’un,[34] con la scrit­ta:

 

 “... (il vostro nome), haiga.”

 

Altre forme consentite sono:

 

... (il vostro nome) ... (il nome del re­sponsabile), haiga.”

... (il vostro nome), reiga.”

... (il vostro nome), raihai.”[35]

 

In effetti, questi messaggi possono essere scritti in pa­recchie forme diverse anche se, gene­ralmente, si seguono gli esempi succitati. Per questo presso ogni porta vi sono così tanti biglietti col nome; questi devono essere appesi non a si­ni­stra ma a destra della porta, e tolti dopo il pa­sto di mezzogiorno.

A partire da questo giorno,[36] l’ingresso di tutti gli edifici, pic­coli e grandi, e degli alloggiamenti deve essere chiuso con una ten­da di canne. Spesso si serve un tè in onore dell’Abate, o del segretario generale, o dell’allievo principale. Tuttavia questa cerimonia può es­sere anche tralasciata se il mo­nastero si trova in una località remota o isolata; essa viene tenuta in segno di rispetto e non è necessaria in modo assoluto. Se la cerimonia viene organizzata, gli anziani che partecipano al ritiro e gli allievi anziani devono attendere al servizio del tè.

Anche quando il periodo di addestramento e­stivo è termi­nato, lo studio della Via continua. Per quanto una persona possa van­tarsi delle varie forme di ascesi cui si è sottoposta, se non ha affrontato un ritiro estivo non può essere un erede dei Buddha e dei Patriarchi. In un periodo di addestramento estivo sono manifestati sia il Parco di Jetavana, sia il Picco dell’Avvoltoio. Il dōjō[37] in cui si svolge questo addestramento è il cuore dei Buddha e dei Patriarchi, ed è il mondo in cui tutti essi dimorano.

L’addestramento estivo termina il 13 luglio. La sera del 14 luglio chi di­rige il monastero in quel mese deve ese­guire una cerimonia del tè. L’indomani l’Abate tie­ne una lezione nella Sala del Dharma. Vengono poi compiute le stesse cerimonie già ef­fettuate all’inizio del ritiro: lo scambio dei saluti, l’ispezione del mo­nastero e la cerimonia del tè. Cambiano solo il testo degli avvisi e i versi recitati:

 

 “Questa sera terrò nel monastero una ce­rimonia del tè, per mostrare al discepolo principale e a tutti i monaci quanto io ab­bia apprezzato i loro sforzi nel corso della sessione di addestra­mento testé conclusa. Mi auguro sinceramente che tutti i monaci vorranno dimostrare la loro compas­sione e presenziare alla cerimonia.”

 

Le seguenti strofe devono essere poi reci­tate nel Doji­do:

 

Il vento autunnale soffia sui campi, la divinità dell’ equinozio d’autunno domina ogni direzione. Sorge il re dell’illuminazione e, in questo giorno, in ogni luogo tutto è con­forme al Dharma. Niente ci ha disturbato per no­vanta giorni e tutti i monaci hanno vissuto in pace. Salmodiamo i nomi dei Buddha e inchiniamoci alla divinità che protegge questo nostro monastero.

Salmodiamo insieme ... .”[38]

 

Dopo che l’Abate ha terminato il suo discorso, i respon­sabili gli rivolgono alcune parole di ringraziamento: “Gioiosamente, ovun­que si è adempiuto al Dharma, e nulla ci ha disturbato. Il potere e la virtù del vostro insegnamento ci hanno protetti e noi siamo profonda­mente grati, anche se incapaci di mostrare il nostro apprezzamento.” Al che l’Abate risponde: “Si è adempiuto al Dharma, e stimo grande­mente gli sforzi di tutti i responsabili e di tutti gli addetti. Vi ringrazio dal profondo del cuore.”

Il discepolo principale e il direttore dei monaci si rivolgono poi all’Abate dicendo: “Tutti noi ci siamo qui riuniti per questo ritiro di novanta giorni. Il nostro karma non è buono e vi abbiamo arrecato disturbo, ma ora chiediamo la vo­stra compas­sione e il vostro per­dono.” In seguito, i responsabili e gli ad­detti dicono ai monaci: “Noi tutti siamo affratellati nello stesso cammino. Il periodo di addestra­mento termina oggi. Terminata la cerimonia del tè, sentitevi liberi di andare dove più vi piaccia.” I monaci possono tuttavia restare nel mo­nastero, se impossibilitati a muoversi per qualche motivo.

Questa cerimonia, tramandata da tempo immemorabile, è la più elevata forma del Dharma del  Buddha ed è l’evento più signi­fica­tivo per tutti i Buddha e i Patriarchi. Profani e démoni non possono osta­colarla. Ogni vero discendente dei Buddha e dei Patriarchi nei tre Paesi[39] ha parteci­pato a questa cerimonia, mentre la gente comune non ne ha mai nemmeno sentito parlare. Dato che que­sta cerimonia è la principale opera dei Buddha e dei Pa­triarchi, il ritiro estivo contiene ogni cosa, dal con­seguire la Via al mattino, all’entrare nel nirvāna alla sera. I monaci delle cinque scuole indiane pos­sono anche non esse­re d’accordo, ma tutti coloro che han­no partecipato ad un ritiro di no­vanta giorni con­dividono la stessa prassi e illuminazione. In Cina vi sono nove scuole ma nessuna di queste trascura il periodo di adde­stramento estivo. Se non fate questa esperienza una volta nella vostra vita, non potete essere considerati monaci né discepoli del Buddha. Non si intraprende l’addestramento per divenire illuminati; è lo stesso addestramento che è pra­ssi e risveglio, al di là del risveglio. Śākyamuni, l’Uni­versalmente Venerato dalla grande illuminazione, senza saltarne uno nel corso della sua in­tera vita, in ogni ritiro estivo re­alizzò la prassi e il risveglio. Dobbiamo sa­pere che la prassi e l’illuminazione di Śākyamuni è l’illuminazione del Buddha, al di là di ogni illuminazione. Tuttavia, coloro che non comprendono la prassi e illuminazione del ritiro estivo di novanta giorni e che si con­siderano, ciò nonostante, discendenti dei Buddha, sono ridicoli, o peggio. Non dovremmo prestare ascolto a questi sciocchi, né parlare, sedere o viaggiare con loro. Nello stile del Dharma del Buddha, do­vremmo persua­dere questi disgraziati col silenzio.

Tenete a mente che il ritiro estivo di no­vanta giorni non è altro che Buddha e Patriarchi. La corretta trasmissione è stata ininter­rottamente tramandata a partire dai sette Buddha fino a Māhākashyapa, e poi passata ai ventotto Pa­triarchi In­diani. Il ventottesimo Patriarca andò in Cina e trasmise la Legge al secondo Patriarca cinese, il Grande Maestro Taiso Shōshū Fukaku.[40] La trasmissione è poi continuata intatta e senza alcuna alterazione, dal secondo Patriarca fino ai tempi nostri. Io sono andato in Cina e ho portato in Giappone la corretta trasmissione dei Buddha e dei Patriarchi.

Vivendo il ritiro di novanta giorni come corretta trasmissione, esso diventa la corretta trasmissione. Ogni­qualvolta il periodo di addestramento estivo viene trascorso in compagnia di monaci esperti, è un vero periodo di addestra­mento. In verità, è proprio il ri­tiro che esisteva al tempo di Śākyamuni che è stato rettamente e di­rettamente trasmesso, viso a viso, dai Buddha e dai Patriarchi. Poiché il corpo e mente dei Buddha e dei Patriarchi è donato nell’interiorità, vedere un ritiro è vedere il Buddha. Illuminare l’essenza del ritiro è illumi­nare il Buddha, adde­strarsi durante il ritiro è addestrare il Buddha, udire il ritiro è udire il Bud­dha, comprendere il ritiro è comprendere il Buddha.

Il periodo estivo di novanta giorni è l’unica cosa che tutti i Bud­dha e i Patriarchi devono curare in modo particolare. Perciò, i re, Indra, Brahmā e tanti altri si fanno monaci e parteci­pano almeno ad un ritiro estivo; in altre parole, essi vedono il Buddha. Chiunque, uomo, divinità o drago, si faccia monaco o monaca, e partecipi almeno ad una sessione estiva di addestra­mento, può vedere il Buddha proprio così come lo vedono colo­ro che si uniscono ai Bud­dha e ai Patriarchi, e passano novanta giorni ad adde­strarsi. È una grande fortuna aver partecipato al­meno ad un ritiro estivo, poiché ciò significa che la pelle, carne, ossa e midollo di Bud­dha e Patriarchi diventano la nostra pelle, carne, ossa e midollo. I Buddha e i Patriarchi vengono a noi e ci fanno addestrare nel ritiro estivo. La nostra indivi­duale prassi del ritiro estivo, e il ritiro estivo stesso, ci fanno addestrare. Si può dunque affer­mare che il pe­riodo di addestramento estivo è l’origine di innumerevoli Buddha e Patriarchi. Il ritiro e­stivo è la pelle, carne, ossa e midollo dei Buddha e dei Patriarchi, e contiene il loro corpo, mente, testa, visione illumi­nata, pugno e narici, nonché la loro completa e perfetta natura-di-Buddha.[41] Il peri­odo dell’addestra­mento estivo è uno scacciamosche, un bastone, uno shippei,[42] un cuscino per lo zazen. Il pe­riodo di addestra­mento estivo non è fatto di cose nuove, né utilizza solo cose antiche.

L’Universalmente Venerato, durante una grande assem­blea di monaci, rivolgendosi al Bodhisat­tva della Perfetta Il­lumina­zione e a tutti gli esseri senzienti, disse: “Chiunque fac­cia l’esperienza del ritiro estivo conseguirà, fin dall’inizio, la con­dizione di un puro e incontami­nato Bodhisattva. La sua condi­zione mentale è di­versa da quella degli śrāvaka. Senza fare as­segna­mento sul potere altrui, una volta giunto il giorno in cui inizia il ritiro estivo, ci si può porre di fronte al Buddha con fi­ducia e dire: ‘Noi tutti, monaci e monache, laici e laiche, vivia­mo come Bo­dhisattva e stiamo studiando la Via della Libera­zione. Siamo entrati nella condizione pura ed in­contami­nata, e in essa dimoriamo. La grande e perfetta illuminazione è la no­stra casa, questo corpo e mente è il luogo in cui compiamo il ritiro. Siamo in uno stato di equanimità; la nostra sag­gezza e il nirvāna  sono privi di attaccamento. Noi rispettiamo la virtù e, senza seguire gli in­segna­menti degli śrāvaka, ci uniamo a tutti i Tathāgata[43] e ai Bodhi­sattva delle dieci direzioni, in questo ritiro estivo di novanta giorni.’ Se vogliamo rea­lizzare il supremo e perfetto risveglio e con­seguire un grande karma, non dob­biamo seguire gli sciocchi. O gente virtuosa! E' così che si realizza il ritiro estivo dei Bodhisattva.”

Ecco perché monaci e monache, laici e lai­che, che si adde­strano nel ritiro di novanta giorni, sicuramente realizzano la suprema e perfetta illu­minazione e il grande karma, assieme a tutti i Tathāgata e Bodhisattva delle dieci direzioni. Notate che qui si afferma chiara­mente che anche i laici e le laiche do­vrebbero partecipare al ritiro. La grande e perfetta illumina­zione esiste là dove ha luogo il ritiro. Per­ciò, la grande e perfetta illuminazione del Ta­thāgata si trova sia nel Parco di Jetavana, sia sul Picco dell’Avvoltoio. Tutti i Tathāgata e i Bodhisattva delle dieci dire­zioni si addestrano insieme, durante il ri­tiro estivo, secondo le istruzioni del Buddha Śākyamuni.

Una volta, l’Universalmente Ve­nerato tenne un ritiro estivo di novanta giorni; durante l’ultimo giorno, nel quale tutti chiedono perdono agli altri, giunse il Bo­dhisattva Mañjuśrī che si unì alla ses­sione di addestramento. Allora Mahākāś­yapa chiese: “Dove hai trascorso il periodo di addestramento, quest’estate?” Mañjuśrī ri­spose: “Quest’estate l’ho effettuato in tre luoghi.”[44] Mahākāśyapa stava quindi per suonare il byakusui[45] per mandare nelle celle i monaci ed espellere Mañjuśrī, quando all’improvviso innumerevoli stūpa e templi apparvero dal nulla. Mañjuśrī e Mahākāśyapa erano visibili in ognuno di questi edifici, Mahākāśyapa nell’atto di suo­nare il bya­kusui. Allora Śākyamuni chiese a Mahākāśyapa: “Quale Mañjuśrī stai per espellere?” A ciò Mahākāśyapa fu incapace di rispondere.

Il Maestro Zen Engo[46] interpretò così questa storia: “Se la campana non è percossa, non c’è suo­no. Se il tamburo non è battuto, non possiamo udire nulla. Mahākāśyapa afferrò il punto, cioè che Mañjuśrī realizzava un illimitato zazen. En­trambi manifestarono quella comprensione intuitiva propria del Dharma, ma manca una cosa. Ovvero, quando il vecchio e saggio Śākyamuni chiese: ‘Quale stai per espellere?’ avrebbe dovuto suonare lui stesso il byakusui, dicendo: ‘Guardate! C’è qualcuno qui che possa uccidere Mahākāśyapa tanto quanto Mañjuśrī?’”

Engo compose poi questi versi:


Un grande elefante non può calcare le orme di un coniglio.

Come possono rondini e passeri sapere qualcosa di un grande cigno?

Entrambi i monaci osservano le regole,

Come uno scalpellino al lavoro o un arciere

che prende la mira e fran­tuma il bersaglio.

Questo mondo di relatività è Mañjuśrī, è Mahākāśyapa.

Entrambi sono di fronte al Buddha,

tra loro non vi è differenza. Perchè Mañjuśrī

deve es­sere esplulso quando si suona il byakusui?

Il Buddha Dorato[47] lascia cadere ogni impedimento.”


Perciò il ritiro condotto da Śākyamuni in un singolo luogo, e la prassi di Mañjuśrī in tre luoghi diversi, sono la stessa cosa. Senza il periodo di addestramento estivo non vi sono né Bud­dha, né Bodhisattva. Tutti i discendenti dei Buddha e dei Patriarchi devono addestrarsi nel corso di un ritiro estivo. Partecipando al ritiro estivo siamo i di­scendenti dei Buddha e dei Patriarchi.

Addestrarsi in un ritiro estivo è possedere corpo e mente dei Bud­dha e dei Patriarchi; è la loro visione il­luminata ed è la radice della loro vita. Se non partecipiamo ad un periodo di addestra­mento estivo non siamo gli eredi nel Dharma dei Buddha e dei Pa­triarchi, e non possiamo neppure diventare dei Buddha e dei Patriarchi. Tutti i Buddha e i Bodhi­sattva fatti d’argilla, legno, oro, o con i sette preziosi gio­ielli, sono presenti in un periodo di addestra­mento di tre mesi. Du­rante tale periodo viviamo all’interno dei Tre Tesori: Buddha, Dharma e Samgha. Questa è la nostra giustificazione e questo è il nostro metodo d’insegnamento. Chiunque intenda es­sere un vero di­scepolo dei Buddha e dei Patriarchi sicuramente partecipa al riti­ro estivo di tre mesi.

 

 

Trasmesso ai monaci del Daibutsuji nell’Echizen, il 13 giu­gno 1245 durante il ritiro estivo.

Trascritto da Giun, nel Shinzenkōji, a Nakaha­ma nell’Echizen, il 20 maggio 1279, du­rante il pe­riodo di addestramento estivo.



[1] Si veda il cap. 70, Kokū.

[2] Il Maestro Shishin Goshin (1043-1114), nella linea di trasmissione del Maestro Ōryū Enan. Noto anche come Ōryū Shishin. [Ssu-hsin Wu-hsin]

[3] Un kalpa indica un tempo infinitamente lungo; rappresenta infatti un ciclo cosmico pari a circa trecentoventi milioni di anni. Si veda il Sūtra del Loto, pag. 60.

[4] Un antico regno la cui capitale era Rājagrha. È nel Magadha che il Buddha realizzò il risveglio e mise in moto la ruota della Legge.

[5] Correndo l’anno 1245.

[6] Cioè, in questo mondo.

[7] Si riferisce ad una storia cinese che narra di un uomo che pescò, dal lago Rai-taku, quello che credeva essere la spoletta di un telaio. Portatala a casa, la appese al muro. Un giorno, durante una tempesta, questa si trasformò in un drago che salì al cielo. Si trattava infatti della preziosa Spada Drago-di-Primavera.

[8] Una raccolta di precetti per monaci e monache.

[9] Si tratta del Ch’anyüan Ch’ing kuei (Criteri per monasteri Zen), un testo scritto nel 1103 dal Maestro Chōro Sōsaku (?) [Ch’ang-lu Tsung-tse]

[10] Lett. “Colui che ascolta”, in origine si riferiva a tutti coloro che avevano udito direttamente l’insegnamento dalla voce del Buddha. Più tardi, la parola śrāvaka fu utilizzata più genericamente per distinguere gli studenti Hīnayāna da quelli Mahāyāna.

[11] Una campana per i segnali, che annuncia lo scadere del tempo dedicato ai colloqui con il maestro.

[12] Oltre all’Abate, in un monastero Zen esistono sei Chiji (responsabili) e sei Chosu (addetti). I sei Chiji sono: Tsūsu (il segretario generale), Kansu (il priore, segreta­rio), Fūsu (l’assistente priore, responsabile delle finanze), Ino (il responsabile degli affari generali), Tenzo (il responsabile della cucina), e Shissui (il responsabile della manutenzione). I sei Chosu sono: Shuso (l’addetto all’addestramento), Shoki (l’addetto ai documenti del monastero), Zōsu (l’addetto ai sūtra), Shika (l’ad­detto agli ospiti), Dōshu (l’addetto agli edi­fici del monastero), e Yusu (l’addetto ai bagni). Vi sono poi due altre posizioni: Jisha, il sacerdote assistente, e Keishu, il direttore degli affari esterni.

[13] Anziano.

[14] Ājñāta-Kaundinya era uno dei cinque monaci che furono i primi allievi di Śākyamuni dopo il suo risveglio. Conseguì il Dharma prima che Śākyamuni termi­nasse il suo primo discorso ed è citato come esem­pio per i monaci. Gli altri quattro sono: Aśvajit, Mahānāman, Bhadrika e Vāspa.

[15] Si tratta di una data convenzionale, che cambia secondo le varie tradizioni.

[16] La Sala in cui è custodita l’immagine di colui che protegge il monastero.

[17] Questa tradizionale recitazione è detta Jubutsu-myo, “I Nomi dei Dieci Buddha”. Vedi oltre.

[18] Il Sole.

[19] La recitazione di ogni nome è seguita da un colpo di campanella (inkin).

[20] Si veda il cap. 2, Makahannyaharamitsu.

[21] Tappeto per le prostrazioni.

[22] Sokurei è la prostrazione eseguita poggiando la fronte sullo zagu steso a terra e piegato in quattro; nella prostrazione ryo­ten lo zagu è piegato in due, e nella prostrazione daiten è invece comple­tamente disteso.

[23] Korosu.

[24] Un bun equivale a circa un centimetro e mezzo.

[25] Una composizione poetica.

[26] L’haishiki è una particolare stuoia di paglia che l’abate usa per le prostrazioni.

[27] Lett. “Con il palmo delle mani unito”. Si tratta di un saluto tradizionale, nei monasteri. Le mani giunte sono tenute all'altezza del petto, con la punta delle dita grossomodo allineata con le narici.

[28] Sul lato destro.

[29] Fissati in ordine di anzianità.

[30] In questa posizione, le mani sono tenute all’altezza del plesso solare, con le dita della mano destra adagiate sul pugno sinistro.

[31] Relativi a corpo, parola, e pensiero.

[32] Si tratta rispettivamente degli alloggiamenti dei monaci anziani, dei responsabili e degli addetti, dei monaci ultracentenari e dei monaci che vivono ritirati.

[33] Per esempio, il discepolo principale, i vari responsabili e addetti, ecc.

[34] Circa tre centimetri per sei.

[35] Haiga, reiga, e raihai indicano diversi tipi di prostrazione.

[36] Il 15 di Aprile.

[37] Lett. “Luogo della Via”. È il luogo dedicato alla prassi e all’addestramento.

[38] Si ripetono qui i versi già recitati il primo giorno.

[39] India, Cina e Giappone.

[40] Il Maestro Taiso Eka (487-593), il successore del Maestro Bodhidharma. Noto anche come Jinkō Eka. [Shen-kuang Hui-k’o]

[41] La natura-di-Buddha è la ‘Natura propria’, o ‘Vera natura’, o ‘Volto originario’ (comunque si voglia chiamare) di ogni essere, anche se questi  lo ignora.

[42] Un piccolo scettro simbolico, di bambù.

[43] Lett. “Così arrivato”.

[44] Un mese in un palazzo, uno in un asilo d’infanzia, uno in un bordello.

[45] Un piccolo blocco di legno, dotato di un batacchio, anch’esso di legno, che si utilizza per dare dei segnali all’interno del tempio.

[46] Il Maestro Engo Kokugon (1063-1135), nella linea di trasmissione del Maestro Yōgi Hōe. Ha scritto la “Raccolta della Roccia Blu”. [Yüan-wu K’o-ch’in]

[47] Mahākāśyapa.