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KOKŪ

Vacuità Universale

 

 

Il Maestro Dōgen affronta il basilare argomento del vuoto o meglio del vuoto-spazio (ākāśa), principal­mente attraverso il commento a due kōan che trattano il tema della vacuità universale. Il primo è la famosa storia del Maestro Shakkyō che afferra con forza il naso del suo discepolo, il secondo è una di­scussione tra il Maestro Baso ed il monaco Seizan, sullo spiegare i sūtra attraverso la vacuità universale.

 

Nel riflettere sulla nostra esperienza e prassi dello zazen, rea­lizziamo la Via dei Buddha e dei Patriarchi e ri­ceviamo la loro corretta trasmissione, che è stata tramandata di generazione in genera­zione. Il nostro soggetto oggi è la vacuità universale; vacuità univer­sale che è nel nostro corpo intero, pelle, carne, ossa e midollo. La vacuità universale ha molti significati ed interpretazioni: i venti tipi, gli ottantaquattromila tipi ecc., e se riuscite a definirla corretta­mente si può dire che siete un Buddha o un Patriarca.

Il Maestro Zen Shakkyō Ezō,[1] una volta chiese al Maestro Zen Seidō Chizō,[2] che gli era più anziano: “Sai come comprendere la vacuità universale?” “Certamente!” rispose Seidō. “E come?” volle sapere Shakkyō. Seidō afferrò una mancia­ta di aria. “Aha! Allora non sai come afferrarla!” esclamò Shakkyō. Seidō sfidò Shakkyō a mostrar­gli la vacuità universale. Shakkyō afferrò il naso di Seidō e lo torse fino a farlo piangere di dolore. “Ci sono arrivato!” disse Seidō. “Sì, ora sai cos’è” con­fermò Shakkyō.

Lo scopo della prima domanda di Shakkyō  era di scopri­re se il nostro intero corpo sia o no, mani e occhi. Il “Certo!” di Seidō era una profanazione del Dharma del Bud­dha. Affermare che capite la vacuità universale è contaminare la verità; la vacuità universale cade sulla terra. Quando Shakkyō chiese a Seidō in che modo comprendesse la vacuità univer­sale, gli stava chiedendo di mostrare la quiddità della vacuità universale,[3] di mostrare cioè il vero stato della realtà. Tutta­via dobbiamo stare attenti su questo punto, perché le circostan­ze mutano di continuo la forma della quiddità. Seidō, afferrando una mancia­ta d’aria, mostrò di aver compreso solo la testa e non la coda della vacuità univer­sale.

Shakkyō  vide dunque che la comprensione di Seidō era limitata e che egli non poteva nemmeno sognarsi della vacuità univer­sale: era troppo profonda e assoluta per lui. Perciò Seidō chiese a Shakkyō  di mostrargli la vacuità universale. Metà della risposta era già contenuta nella richiesta di Seidō, ma do­veva scoprire il rima­nente da sé. Shakkyō  gli afferrò il naso. Per così dire,  si nascose nella narice di Seidō. In quel momento la vacuità universale in forma di Seidō e la vacuità universale in forma di Shakkyō si unirono e ri­mase solo la vacuità universale.

Prima che gli fosse strizzato il naso, Seidō riteneva che la vacuità universale esistesse al di fuori di sé, ma ora aveva la­sciato cadere corpo e mente. Eppure dovete stare attenti a non attaccarvi ad una simile scoperta della vacuità universale; non con­taminatevi ma ad­destratevi all’interno della vostra propria vacuità universale. Shakkyō confermò la comprensione di Seidō ma non cercò di afferrare con le sue mani la vacuità universale; di fatto, non si può afferrarla con le mani. Dopo tutto, il mondo intero è vacuità universale; non vi è assolutamente spazio per alcun dubbio. Ora possiamo capire perché questo kōan è così famoso.

Dopo di Shakkyō e Seidō, nelle cinque scuole[4] furono molti colore che, procla­matisi maestri, adottarono questo kōan e la questione della vacui­tà universale, ma pochi lo compresero corretta­mente. Essi non spe­ri­mentarono mai la vacuità universale, come fece Shakkyō, e nemmeno eb­bero una grande illuminazione, lasciandola poi cadere, come fece Seidō. Ora, mi piacerebbe dire a Shakkyō: “Molto tempo fa hai torto il naso di Seidō, ma se veramente volevi comprendere la va­cuità universale avresti dovuto torcere il tuo.” Se vuoi co­noscere i polpastrelli, devi utilizzarli.

Shakkyō sapeva come comprendere la vacuità universa­le ma doveva poi anche apprendere gli aspetti interni ed esterni, il potere di animare e distruggere, e i princìpi di leggero e pesante, di mor­bido e duro. Ogni prassi, ogni dialogo ed ogni conseguimento della Via dei Buddha e dei Patriarchi rivelano la vacuità universale. Il mio defunto Maestro Nyojō, disse: “L’intero corpo è la bocca sospesa nell’aria.” Possiamo così chiaramente vedere che il corpo della va­cuità universale è sospeso nell’aria.

Una volta Ryō,[5] primo abate del monte Sei­zan nel Kō­shū, si recò in visita da Baso[6] per porgli una domanda. Tuttavia, prima che Ryō potesse parlare, Baso gli chiese: “Quale sūtra stai commentando in questi giorni?” “Il Shingyo”[7] rispose Ryō. Allora Baso chie­se: “Quale mente usi nel commentare?” “La mente” gli disse Ryō. “In questa recita la mente è l’attore principale, la co­scienza è l’attore di sostegno e le sei sensazioni[8] sono il resto della com­pagnia. Come puoi commentare con questi attori?” disse Baso. Allora, Ryō domandò: “Se la mia mente non è capace di commentare quel sūtra, come posso essere capace di spiegare la vacuità universale?” “Usa la vacuità universale per spiegare il sūtra” gli disse Baso. Improvvi­samente Ryō si alzò per andarsene. Ma Baso lo chiamò e, quando Ryō si voltò, disse: “Dal momento in cui sei nato, fino a quando mori­rai, vi è solo vacuità universale!” Ryō fu illuminato. Dopo di ciò si ritirò sul monte Seizan e non se ne seppe più nulla.

Possiamo vedere che tutti i Buddha e i Patriarchi com­men­tano il sūtra della vacuità universale. Commentare i sūtra è commentare la vacuità universale. Se non commentate con un corpo e mente di vacuità universale, non sarete capaci di spiega­re un solo sū­tra. Dovete commentare usando la vacuità univer­sale. La vacuità uni­versale non è realizzata solo nella coscienza, ma emerge anche nella condizione di non-pensare. Vi è una saggezza che viene risvegliata con l’aiuto di un in­segnante, e una saggezza che si trova da soli. Vi è una innata intel­ligenza, e ce n’è una che si ottiene attraverso lo studio. Eppure, entrambe sono vacuità universale. Divenire un Buddha o un Patriarca è essere va­cuità universale. Il ventunesimo Patriarca Vasuban­dhu scrisse: “La nostra mente è la stessa cosa che l’Uni­verso, e ogni dharma è la mente stessa. Quando si percepisce la vacuità universale non vi è più negazione o affermazione.”

Quando sedete in zazen di fronte ad un muro, sembra che chi è seduto ed il muro siano due cose differenti, ma in realtà non vi è separazione. Per comprendere questo è necessaria la mente di muro, tegole e pietre, oppure quella di un albero rinsec­chi­to; vale a dire che assu­miamo un corpo e poi proclamiamo la Legge. Questa è ancora un’altra forma della vacuità universale. Noi uti­lizziamo le dodici ore del giorno ed esse utilizzano noi; è il mo­mento in cui la vacuità uni­versale viene sperimentata e ri­sve­gliata. Una pietra grande è grande, una pietra piccola è pic­co­la; questa è la funzione della vacuità uni­versale. Non vi è af­ferma­zione, né negazione. La vacuità universale è l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, e la Serena Mente del Nirvāna. Questo è ciò che dob­biamo chiarire.

 

 

Trasmesso il 6 marzo del 1245, ai monaci del Daibutsuji, nell’Echizen.

Ricopiato da Giun il 17 maggio 1279, nel Shizenji, a Nagahama nell’Echizen.

 



[1] Il Maestro Shakkyō Ezō (?), uno dei successori del Maestro Baso Dōitsu (704-788). [Shih-kung Hui-tsang]

[2] Il Maestro Seidō Chizō (735-814), uno dei successori del Maestro Baso Dōitsu. [Hsi-t’ang Chih-tsang]

[3] Cioè, il suo scorrere o fluire.

[4] Rinzai, Sōtō, Ummon, Igyō e Hōgen.

[5] Il Maestro Seizan Ryō (?).

[6] Il Maestro Baso Dōitsu (704-788), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō.  Daijaku Zenji è il suo titolo postumo. [Ma-tsu Tao-i]

[7] Mahapāramitā Hridaya Sūtra, il “Sūtra del Cuore”.

[8] Cinque relative ai sensi, una relativa alla mente.